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Donne, Islam e montagne

 

Paolo Petrignani è un fotografo di Latina, me lo ha presentato Jacopo, un giornalista scientifico e naturalista che da anni documenta il lavoro dell’Associazione EvK2CNR.

Paolo ha lavorato per riviste importanti, tra le quali National Geographic, e non aveva esperienza particolare nel fotografare le montagne, ma il risultato dopo un viaggio in Karakorum e sul Baltoro a documentare le operazioni di pulizia del ghiacciaio – fatte da EvK2CNR insieme al personale del Central Karakorum National Park e supportate da Moncler e dalla Cooperazione Italiana del Ministero degli Esteri – fu sorprendente. Fu sorprendetene perché Paolo quelle montagne, la natura e le brutture imposte dagli uomini con la loro immondizia le interpretò in maniera magistrale nelle luci, negli spazi e pure nella drammaticità a volte tranquilla altre prorompente dello scorrere, immoto, delle azioni e del tempo, come direbbe qualche filosofo con passioni montanare. E lo ha fatto anche ritornando nella regione per raccontare una parte dell’umanità di quelle terre verticali poco considerata come quella femminile.

Le donne del Baltistan, di Hunza, del Kashmir sono state per me un grande mistero per anni: le incontrai fin dalle mie prime missioni a metà degli anni ‘70 solo da lontano, accovacciate nei campi o in fila al tramonto mentre di ritorno portavano la gerla dell’erba sradicata tra l’orzo e il miglio o la fascina della legna. Non tanto diverso da ciò che accadeva sulle nostre montagne fino agli anni ‘70.

Poi le ho incontrate durante i progetti prima scientifici e poi di cooperazione socioeconomica e allo sviluppo. Donne che raccoglievano albicocche, che si mostravano nelle stradine di villaggi come Askole, di volta in volta polverose o percorse dall’acqua irreggimentata per irrigare i campi; donne che accudivano bambini lerci, ma che li accompagnavano anche a scuola; donne che scomparivano ogni qualvolta ero invitato nella casa di un sirdar o un portatore a mangiare il dal-bhat o le prelibatissime ali di pollo, bevendo il loro chai. Mai vista una donna fare il portatore, lavoro da uomini e commerciale e il commercio non fa per le donne, dice l’Imam.

Ma con EvK2CNR ho anche scoperto che l’Università del Karakorum a Gilgit in pochi anni si era riempita di ragazze, dentro il compound universitario alcune portano il più castigato chador, la maggior parte il shayla, velo poggiato sul capo e sulle spalle, altre se ne vanno in giro a capo scoperto. Certo fuori dal portone di ferro del Campus si torna al severo protocollo islamico, ma per le duemila ragazze che oggi frequentano quell’università esiste un’oasi.

Paolo Petrignani ha ora documentato i nuovi mestieri delle donne e cosa incredibile e meravigliosa, alla quale la rivista VanityFair ha voluto dedicare la pagina di apertura di ampio servizio giornalistico, la pratica del calcio, anzi la nascita della prima squadra femminile di calcio. Ma ha anche documentato l’elettricista, la donna falegname, la lavoratrice del prodotto e non solo raccoglitrice di albicocche, l’albergatrice.

Di strada ce n’è ancora molta da fare in Gilgit Baltistan per arrivare almeno alla considerazione e al rispetto che alcune donne, nemmeno poche, si sono guadagnate in questo complesso Paese di 200.000 milioni di persone, basti pensare alla due volte primo ministro Benazir Bhutto.

Ma anche sulle montagne più belle, aspre e difficili del mondo le donne stanno camminando e  acquisendo un loro ruolo. L’esplosione turistica che ha portato da 35.000 presenze di turisti pakistani a 2,5 milioni in pochi anni è un ulteriore speranza per l’accelerazione di questo processo di civiltà.

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