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Microplastiche sui ghiacciai. Claudio Smiraglia: “L’uomo è riuscito a intaccare ogni ambiente”

I ghiacciai come il mare, non esiste più ambiente incontaminato. A dircelo è la ricerca condotta da un team dell’Università degli Studi di Milano e Milano Bicocca.

Sono 75 particelle per chilogrammo di sedimento quelle identificate dai ricercatori sul Ghiacciaio del Forni, nel Parco Nazionale dello Stelvio. Un dato che non sorprende, spiegano gli studiosi. “Estrapolando questi dati, pur con le dovute cautele, abbiamo stimato che la lingua del Ghiacciaio dei Forni, uno dei più importanti apparati glaciali italiani, potrebbe contenere da 131 a 162 milioni di particelle di plastica. Cosa significa però tutto questo? Cosa significa a livello di “salute” del ghiacciaio? Ne abbiamo parlato con il dott. Claudio Smiraglia, professore ordinario di geografia fisica e geomorfologia all’Università degli Studi di Milano e componente del Comitato Scientifico Ev-K2-CNR.

 

Claudio, quando si è iniziato a pensare che sui ghiacciai ci potessero essere delle microplastiche?

Prima di rispondere premetto che non mi sono occupato direttamente di questo lavoro. La ricerca è stata portata avanti da alcuni miei ex allievi e dai colleghi della Bicocca.

Negli ultimi tempi stiamo lavorando su temi abbastanza insoliti per la glaciologia, intesa nel suo senso più stretto. Da circa sei anni stiamo portando avanti ricerche legate alla microbiologia e alla presenza di inquinanti nei ghiacciai. Le ricerche microbiologiche hanno portato alla scoperta di una gran quantità di batteri e altri organismi che popolano i ghiacci dimostrando che non si tratta di un substrato sterile o privo di vita.

Cos’hanno invece dimostrato le altre ricerche?

Già prima dei nostri studi, una decina di anni fa circa, si erano trovate tracce di pesticidi e sostanze inquinanti sul ghiaccio. Prodotti che entrano nella circolazione atmosferica per poi cadere in forma liquida o solida sui ghiacciai e nei corsi d’acqua.

Oggi abbiamo voluto scoprire se queste microplastiche, di cui si è fatto un lungo parlare ultimamente, fossero presenti anche sui ghiacciai. Si tratta del primo lavoro in assoluto che affrontato questo tema, un lavoro preliminare che poi andrà approfondito.

Cosa significa a livello di “vita del ghiacciaio” la presenza di microplastiche?

Non credo sia una cosa fondamentale, anche se le cifre evidenziate sono notevoli. La chiave di questo studio, secondo la mia personale opinione, stia nel mostrare come l’uomo sia riuscito a intaccare ogni ambiente, contaminandolo. È la dimostrazione, da divulgare il più possibile, di come anche quelle aree che possono sembrarci lontane dall’inquinamento, dall’azione antropica, in realtà sono testimoni dell’invasione di ogni territorio.

Dal ghiaccio queste microplastiche arriveranno ai torrenti, ai fiumi e poi al mare…

Esatto. Il ghiacciaio non è solo una riserva idrica, ma accumula tutto quello che arriva dall’atmosfera e quindi sì, tutte le sostanze che si depositano su di esso, prima o poi, raggiungono il mare.

Claudio, viste le quantità trovate, da dove pensi arrivino tutte queste particelle di plastica?

Questo è un tema certamente interessante e da approfondire. Non ci sono milioni di persone che camminano sul ghiacciaio, anche se è vero che durante le escursioni o le salite alpinistiche i materiali vengono usurati rilasciando qualcosa. Credo però che la maggior quantità di questa plastica sia trasportata da correnti aeree. Una bottiglietta abbandonata in giro, che lentamente si degrada rilasciando frammenti; le microsfere dei dentifrici o degli scrub per la pelle. Sostanze che vengono rilasciate in ambiente e poi trasportate sul ghiacciaio.

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