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Dal luogo più caldo della Terra a quello più freddo, sempre di corsa. Intervista a Paolo Venturini

Atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Oro Paolo Venturini è un maratoneta che, con gli anni, ha iniziato a cercare nuove esperienze che l’hanno portato al di fuori dei tracciati di gara. I primi grandi viaggi sono sulle due ruote, in Africa la prima esperienza, sulle sponde del lago Vittoria poi Madagascar, Nuova Zelanda e ancora Australia. Gira il mondo su pedali fin quando, nel 2000, si cimenta in una vera e propria esperienza estrema: pedalare per 17 ore no-stop per 530 chilometri unendo Roma a Padova. Da qui inizia una nuova fase della sua esperienza sportiva con sfide al limite della sopportazione fisica e mentale. Un crescendo di sforzi che, con il tempo, lo portano a volersi cimentare con le condizioni più estreme proposte dalla natura è così che nel 2014 nasce il progetto “Maximum Quota” dove Paolo corre per 231 chilometri andando dal livello del mare a una quota di 5500 metri, ai piedi de vulcano Chimborazo. Dalla massima quota passerà poi alla massima temperatura con il progetto “Maximum Temperatus” che lo porterà a correre per 75 chilometri attraverso il luogo più caldo della terra che, in quei giorni, registrava 67 gradi sopra lo zero.

Dopo essere stato nel luogo più caldo è normale che l’atleta, classe 1968, sia andato in cerca di quello più freddo, la Siberia.

 

Ciao Paolo, raccontaci come si corre a -52,6 gradi?

È una cosa molto complicata. Per spiegarla solitamente dico che è come prepararsi a un’immersione subacquea a una profondità impegnativa: le fasi di vestizione, lo studio dei materiali e il tempo di permanenza all’esterno sono gli stessi. Se invece vogliamo fare un altro esempio si potrebbe dire che è come fare una passeggiata spaziale, dove il tempo di permanenza all’esterno è ovviamente molto limitato.

Stare in un luogo estremamente freddo e correrci implica poi molte altre difficoltà. Innanzitutto perché per correre è necessario essere vestiti poco, altrimenti si è goffi nei movimenti, e questo comporta che se ti fermi sei perduto. La resistenza con abbigliamento da running, per quanto tecnologico possa essere, è di circa 20 minuti. Per fare un esempio con cui mi trovo d’accordo, Messner ha dichiarato che a temperature come quelle che ho incontrato sono sufficienti tre minuti per morire congelati.

Correndo a quelle temperature si suda?

Si, si suda e si rischia grosso. Infatti quando il sudore tocca l’aria tutto si complica perché, o sei talmente forte fisicamente da continuare a scaldarti (quello che è successo a me fino al ventesimo chilometro) oppure al primo calo energetico il corpo si raffredda e il sudore ti si ghiaccia addosso.

Similare a questo problema c’è anche quello del vapore acqueo prodotto da respiro: quando inali aria a meno cinquanta gradi questa ti ghiaccia le vie respiratorie.

Hai usato una maschera particolare per ovviare a questo problema?

Ho adattato una comune maschera ispirandomi al mondo animale e ai suoi adattamenti. Ho preso spunto dalla Saiga Tatarica, un’antilope che ha sviluppato un allungamento del naso per far fare più strada all’aria riscaldandola.

Quello della respirazione a temperature di -50 o -52 gradi è stato un grosso problema che mi ha lasciato per qualche giorno con un’irritazione a livello bronchiale e un’infiammazione all’arcata dentale superiore causata dall’aria fredda che, a quelle temperature, devitalizza i denti.

Toglici ancora una curiosità sul freddo: cosa accade agli occhi a -52 gradi?

Io avevo a disposizione la migliore tecnologia in fatto di occhiali, nonostante questo però ho avuto molti problemi. Anche qui la temperatura è stata determinante: fuori dall’occhiale avevo -52,6 gradi mentre all’interno, nell’intercapedine tra lente e occhio, circa quaranta gradi in più. Come conseguenza di questo mi si è ghiacciato l’interno della lente e sono stato costretto a correre senza occhiali.

Durante la corsa ho avuto un principio di congelamento al bulbo oculare che mi ha provocato un’infezione agli occhi.

Che tipo di abbigliamento hai indossato per correre in quelle condizioni estreme?

La gente del posto che mi ha visto correre mi ha squadrato con espressione perplessa (ride). Ho utilizzato un abbigliamento, a vederlo, molto leggero. Con l’azienda che rappresento abbiamo selezionato i migliori tessuti con le due caratteristiche fondamentali per una sfida di questo tipo: essere traspiranti e tenere caldo. Trovare il giusto abbigliamento è stato difficile sia perché non potevo utilizzare i piumini che utilizzano gli alpinisti o gli esploratori polari che mi avrebbero reso impossibile la corsa, sia perché non esistono attrezzature da running in grado di rendere confortevoli quelle temperature.

A contatto con il corpo avevo uno strato in lana Merino che, anche da bagnata, è in grado di mantenere il corpo caldo. Sopra questa si trovavano invece altri strati di abbigliamento che terminavano poi con un guscio esterno in Goretex.

Nel 2017 di corsa nel luogo più caldo della Terra, ora nel luogo più freddo… Cosa ti spinge queste sfide?

Io sono sempre stato molto curioso e le sfide le faccio innanzitutto per me stesso, per capire fino a che punto può arrivare Paolo Venturini con il suo allenamento. Mi piace scoprirlo non solo riuscendo in ambiente estremi, ma anche conoscendo cosa accade al mio corpo e alla mia mente. Per questo sono sempre seguito da una equipe di medici e ricercatori.

Quando sono venuto a conoscenza di un luogo, che si trova in Iran, in cui è stata registrata la temperatura più alta mai raggiunta ho subito pensato di sperimentarla. Ho scelto di farlo nonostante i pareri contrari dei medici che giustamente mi hanno messo in guardia riguardo tutti i possibili pericoli e sul fatto che l’uomo non è fatto per correre a queste temperature. La cosa però mi ha stimolato tanto, mi piacciono queste prove fisiche e mentali, perché credo che un uomo ben preparato e ben allenato può riuscire anche dove a volte la scienza dubita. Finora, nelle tre grandi sfide in cui mi sono cimentato (“Maximum Quota, Ecuador 2014; “Maximum Temperatus”, Iran 2017; “Monster Frozen”, Siberia 2018), ho dimostrato di avere sempre ragione io. Ogni volta si soffre tanto, ma riuscire in queste realizzazioni è una grande soddisfazione. È come quando Messner ha scalato l’Everest senza ossigeno, dimostrando quel che prima la scienza riteneva impossibile.

Parliamo per un istante della questione record: nel gennaio di quest’anno, nello stesso luogo, si è tenuta una corsa lunga 38 chilometri a cui hanno partecipati madri con figli e anche uomini di 71 anni. Inoltre è stato anche dichiarato che hanno corso a una temperatura simile alla tua e che un partecipante ha percorso il tracciato in 3h 53’…

Si tratta di una gara organizzata, guarda caso, dallo stesso tour operator che io ho contattato un anno fa per chieder supporto logistico all’organizzazione del progetto. È da un anno e mezzo che lavoro a questo progetto, periodo nel quale ho fatto anche un paio di viaggi in Jacuzia.

Inizialmente, quando non avevo ancora il supporto governativo, ho chiesto appoggio a quest’agenzia per muovermi e conoscere meglio questo territorio. Diciamo quindi che, secondo me, l’idea di andare a correre là è stata un po’ ispirata al mio progetto. Soprattutto pensando che fino all’anno scorso nessuno aveva mai organizzato nulla di simile. Detto però questo, per quel che so, alla partenza c’erano circa una decina di persone mentre loro ne han dichiarata qualcuna in più. Inoltre, a me risulta, che nessuno dei partecipanti sia arrivato al trentottesimo chilometro: chi ha corso di più pare abbia fatto fatica a raggiungere il quinto chilometro. Infine la temperatura nel giorno in cui loro hanno corso la gara non era quella dichiarata, dico questo avendo in mano i referti del centro meteorologico jacuto.

Cos’hai invece da dire riguardo alla realizzazione del moldavo Dmirty Voloshin che a metà gennaio avrebbe corso 50 chilometri in 6 ore a una temperatura di -60 gradi?

Essendo un poliziotto e, soprattutto, avendo ricevuto un’educazione sportiva, non commento la distanza percorsa da Dmirty ma porto alcuni dati scientifici. Si tratta, purtroppo, di una questione che ha toccato molto sia me che tutto il mio staff e con lui anche il governo jacuto che mi ha sostenuto in via ufficiale.

Andiamo per gradi. Innanzitutto a Oymyakon, paese di 900 abitanti, nessuno ha mai parlato, visto o contattato Voloshin. Nessuno sapeva quindi che era lì. Oltre a questo però va sottolineato poi che non aveva giornalisti, stampa o tv al seguito. Non esiste quindi testimonianza mediatica che questo record sia stato realizzato. In più, nel giorno in cui ha corso, io mi trovavo a Oymyakon e non l’ho visto. Anzi, dico la verità, ho visto nella neve delle tracce di qualcuno passato correndo.

Quel che però più di tutto mi stupisce è che Dmirty ha clamorosamente sbagliato le temperature. Lui ha dichiarato meno -60 gradi mentre quest’anno la temperatura minima registrata ad oggi è stata di -55,6 gradi, registrata il giorno prima della mia corsa. Nel giorno in cui Voloshin avrebbe effettuato la sua sfida di notte la temperatura minima toccava i 54 gradi sotto zero mentre di giorno, durante la corsa, si è alzata a 53, 52 gradi sotto zero. Come per la domanda di prima anche questi sono dati rilevati dal centro meteorologico della Jacuzia.

Ancora una domanda sul record: come facciamo a certificare le temperature a cui hai effettuato la tua corsa?

Sul camion del Protezione Civile che mi ha seguito lungo il tracciato abbiamo montato una vera e propria stazione meteo, certificata e omologata, che ha misurato ininterrottamente umidità dell’aria e temperatura. La stazione ha raccolto dati da un’ora prima della corsa, durante lo svolgimento e fino a un’ora dopo. Io ho corso con un picco di temperatura minima di -52,6 gradi e temperatura massima di -52,2 gradi.

Inoltre indossavo un termometro certificato con tre sonde: una sulla mano destra, una sulla mano sinistra e una sulla testa. Questo comunicava in diretta, via radio, con il pc del medico dell’università di Padova che si trovava a bordo di uno dei mezzi di assistenza.

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6 Commenti

  1. Naso ed occhi..sono un problema anche quando si affrontano freddi piu’umani…con sci o bicicletta in inverno..Secondo me c’e’da migliorare maschera bocca- naso ed occhiali.con qualche aiuto di thermo resistenze a batterie ..tenute sotto i vestiti…o marchingegno di ventilazione.Non sarebbe piu’ completamente naturale.Io ho provato con visiera in plexiglass da taglialegna ben spruzzata di antiappannate dentro e fuori.. e poi capuccio a chudere il tutto..ma solo sugli zerogradi..ventosi..
    Comunque un sasso nello stagno e’ stato gettato..ora il testimone passa ai tecnici.Non sarebbe male, oltre al balzo nel futuro, studiare l’abbigliamento degli esquimesi…dato che a volte ci si arrovella e poi si scopre l’acqua calda. Per esempio il parka di pelliccia tradizionale ha un pelo di animale particolare attorno al capuccio.Su di esso il fiato condensa, ghiaccia ma non aderisce e con un colpetto i cristallini cadono.Gli sciatori di fondo hanno un limite di -20 sotto il quale la gara viene fermata o non disputata.Ma si sta pensandodi alzare a -12…proprio per problemi polmonari e prime vie respiratorie..in gara mica possono rallentare..vince pur sempre il piu’ veloce.Per intanto si vedono con naso e viso rivestiti di strani cerottoni colorati.Alcuni con scaldacollo o magliette con cappuccio..in uso anche per skialp..Problema e’anche alle mani: coi guantini si ha maggior presa sull’impugnatura .Poi si ricorre a guanti piu’spessi ma perdita presa.Si potrebbe provare con manicotti che avvolgono sia mano che impugnatura esternamente , come per moto…che usano neoprene.

    1. Uno dei pochissimi commenti intelligenti e costruttivi che si trovano su questo sito! Complimenti e grazie per gli spunti dati!! Si vede che sei un appassionato e non un invidioso frustrato!

  2. Dopo ricerca web sugli Inuit, trovato notizie sul loro vestiario di sopravvivenza.Niente di vegetale o fibra tecnica petrolderivata. A disposizione da secoli..pelli e piume di varie prede selezionate , tendini masticati freschi per cuciture resistenti ed impermeabili.Ogni pelle rovesciata o piuma con il suo uso specifico.
    Per non far aderire cristalli ghiaccio anche del vapore del respiro:cappuccio del parka orlato di pelliccia di orso bianco.Dispiace per gli animalisti ma era proprio cosi’.In pratica prima hanno osservato gli animali e dopo li hanno imitati..senza prelevare oltre la necessita’..C’e’da dire pero’ che il loro stile di movimento tendeva a non portare a sudare…la formazione di ghiaccio tra pelle e vestiario sempre in agguato.Poi alimentazione non schizzinosa nel confronto del grasso…purtroppo non all’altezza del lardo salato e aromatizzato nostrano…ed altre leccornie della norcineria Doc.Sconosciuta agli Inuit pure pasticceria Carnevalesca fritta nello strutto.Un mio amico in anni 80 compi’ gita in Nord Canada.I piumini Italici che vendeva nel suo negozio sembravano pigiamini, si compro’ abbigliamento dagli indigeni e poi lo impacchetto’ e fece spedire in Italia via aerea.Aperto il pacco alla ricezione…che puzza!…La concia era valida solo col freddo.

  3. Boh, mi sembrano record che lasciano il tempo che trovano. Se si corresse con un tapis roulant in una cella frigorifera o in un forno, sarebbe la stessa cosa e si eviterebbero queste pagliacciate con camion al seguito ecc ecc

  4. Ma: “È come quando Messner ha scalato l’Everest senza ossigeno, dimostrando quel che prima la scienza riteneva impossibile”. ma stiamo scherzando? Che paragone e’? Correre su una pista tracciata per motoslitte, con camion della Protezione Civile al seguito, equipe pronto intervento, medici, equipaggiamento al top e quindi senza nessun tipo di possibile imprevisto ecc…..ma dai, almeno non fatemi ridere. Questa e’ una pagliacciata come il record del mondo di permanenza in sauna. Stessa cosa.

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