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Giorgio e Filiberto Daidola: due generazioni a confronto

Giorgio e Filiberto Daidola, padre e figlio. Due generazioni di provetti sciatori a confronto, due modi di vedere il mondo della neve e di approcciarsi alle discese più affascinanti che si raccontano. Da un lato uno dei migliori sciatori degli anni ’70 e ’80, un giornalista che ha riempito pagine e pagine di racconti alla ricerca dello “ski spirit”, della curva perfetta. Dall’altra parte invece un “figlio d’arte” che sulla neve si diverte e che ama raccontare l’emozione di queste sue discese sui social con video e foto mozzafiato. Due universi estremamente distanti che trovano però un loro trait d’union nel momento in cui liberano il tallone e iniziano a tracciare labili curve nella neve.

Abbiamo fatto ad entrambi le stesse domande con la curiosità di scoprire se davvero, con i tempi, è anche cambiata la mentalità di chi si approccia allo scialpinismo.

 

Cosa rappresenta per te lo scialpinismo?

Giorgio. Ha rappresentato un modo per viaggiare. Per me è stato molto importante poter accomunare lo sci al viaggio, mi ha dato moltissimo.

Attualmente invece rappresenta ancora un modo per viaggiare, anche se sempre con maggiori difficoltà. Complicazioni legate spesso al trovare amici, compagni, con cui vivere certe esperienze. Molti amici dei bei tempi hanno ormai smesso di fare scialpinismo e questo non aiuta nella ricerca di un compagno, anche per le piccole uscite mordi e fuggi. Giornate sulla neve che non mi hanno mai dato molto ma che sono fondamentali per l’allenamento. Inoltre le mie prestazioni sono in caduta libera mentre quelle dei moderni scialpinisti sono sempre migliori. Gli sciatori di oggi sono molto più atletici e preparati sia fisicamente che tecnicamente.

Filiberto. Lo vedo come il modo migliore per vivere la montagna in inverno. Il modo più affascinante per esplorare la montagna durante la stagione fredda, quello che ti permette di viaggiare e scoprire luoghi d’incanto. Credo inoltre sia il modo migliore per provare discese uniche, che altrimenti non potresti mai fare. È esplorazione, anche se io salgo e spendo energie in salita per poi godere del divertimento della discesa. Credo che se non ci fosse quella componente di piacere data dalla sciata farei molta più fatica a salire.

Cosa pensi dello sci in pista?

Giorgio. Per me lo sci è lo scialpinismo. La pratica in pista, nelle grandi stazioni, mi dice sempre meno. Una volta la soffrivo di meno, ora sempre di più.

Filiberto. Io preferisco avere un giusto mix tra i due. Amo sciare, come ho detto: salgo perché mi piace scendere lungo i pendii innevati. Una cosa che non faccio mai invece è praticare scialpinismo sotto una seggiovia in funzione. Lo fanno tantissime persone, soprattutto nei periodi come questo in cui c’è poca neve. Io, se la seggiovia è in attività, preferisco salire con quella e poi scendere. Se invece devo approcciare una montagna isolata, allora ben venga anche la salita: mi sto guadagnando la discesa.

In questo periodo povero di neve vado anche in pista e mi diverto. Affronto quelle discese con il telemark, in modo da rendere lo sciare più divertente. Se dovessi scendere con i talloni fissi in pista probabilmente mi annoierei a morte.

Quando inizia per te la stagione scialpinistica?

Giorgio. Quando arriva la neve vera, di certo non vado a cercare quella artificiale per poter sciare. Per fare un esempio, attualmente la stagione in Dolomiti non è ancora iniziata perché si scia solo ed esclusivamente su neve artificiale.

Ricordo che incominciava (incomincia) prestissimo. Già nel mese di novembre andavamo su per la strada che porta al Colle dell’Iseran, salivamo fin dove possibile e poi mollavamo la macchina per andare con gli sci su questi grandi campi di neve. Un tempo erano glaciali e offrivano anche la possibilità di praticare sci estivo. Bellissime giornate di novembre in una dimensione di alta quota invernale. Erano l’inizio che poi proseguiva per tutto l’inverno fino ad arrivare alla primavera. Ad ogni stagione però corrispondevano ambienti diversi: per me lo sci invernale era lo sci del bosco, della foresta. Non concepivo, e non concepisco, l’idea di andare in alta quota durante la stagione invernale quando la neve è ventata e i ghiacciai non sono sufficientemente coperti.

Verso l’alto si sale con l’arrivo della primavera, periodo che per me coincide anche con i viaggi su qualche montagna esotica. Al rientro poi non è finita, si continua con lo sci estivo. Ai tempi erano tante le zone che mantenevano un buon innevamento anche durante la stagione calda.

Da giovane il periodo in cui si mollava era veramente minimo.

Filiberto. Quando arriva la neve quindi, per fare un esempio, adesso in Trentino deve ancora iniziare.

Dalle prime nevicate poi si scia fino alla metà di aprile circa, anche se alcune delle più lunghe e belle gite le ho fatte verso i primi di maggio. Devo però dire che l’arrivo della primavera fa un po’ passare la voglia di sciare.

Cosa cerchi quando indossi gli sci?

Giorgio. Dipende, perché le sensazioni provate in salita e in discesa sono diverse. In salita cerco soprattutto un maggior contatto con l’ambiente e con la natura. Mi piace ricercare una salita lenta, andare piano, fermarmi, godere dell’aria, dell’ambiente, di tutto quel che ho attorno. Nei metri di dislivello ricerco questa immersione nel territorio, di soddisfare questa curiosità verso quel che mi circonda.

In discesa invece tutto cambia: c’è emozione, c’è godimento. Sento forte il piacere dello scivolare sulla neve che diventa entusiasmante quando si curva su della neve buona. Diverso è invece quando la neve non è in condizione, quando è crostosa ad esempio. In quei casi apprezzo moltissimo la salita mentre la discesa diventa semplicemente un modo per tornare giù, un mezzo di trasporto.

Credo che in queste due concezioni di piacere stia il bello dello scialpinismo: una disciplina in grado di unire questi due modi di godere, di vivere, l’ambiente.

Filiberto. Prima di tutto libertà. Mentre scio mi distacco da tutto il resto, entro in questo flusso continuo e non penso a nient’altro. Forse è troppo filosofico, ma per me è come se durante una discesa tutti i problemi “svanissero”. Mentre scio faccio solo quello, sono concentrato sui movimenti, sono totalmente rapito dalle curve, sono libero di muovermi come voglio. Una sensazione che, con il telemark, raggiunge il massimo piacere. Unico limite è la sicurezza, ma per quella basta avere un po’ di testa.

Meglio la powder o il firn primaverile?

Giorgio. Dire che non mi piace la polvere sarebbe come cercare un modo per essere a tutti i costi originale (ride). Ovviamente se è vera polvere, se è bella, è piacere puro. Posso solo dire che purtroppo qui sulle nostre montagne è quasi diventata l’eccezione alla regola quindi, tutto sommato, preferisco partire in primavera con il bel tempo con la certezza (o quasi) di potermi fare una signora sciata sul firn. Il firn è facilissimo, divertentissimo e anche molto sicuro. Non posso negare che ho sempre più paura di valanghe o slavine, soprattutto quando devo fare un traverso su neve polverosa. Un tempo forse non me ne rendevo conto ed ero più spericolato, oggi però mi prende un senso di ansia pensando a quel che potrebbe accadere.

Filiberto. Mi piacciono tutti e due, ma non c’è nulla di meglio che una bella giornata di polvere.

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Un commento

  1. Mi sento piu’ in sintonia con Giorgio.Interessante il connubio tra Docente Universitario e Rider.
    Esiste ancora qualche volta uno sci di”necessità”.Ovvero quando ci sono nevicate intense ed i mezzi non ce la fanno a sgomberare tutte le strade , ci si sposta con gli sci a tallone libero, da skialp o fondo escursionistico, pelli o scioline..e zaino..Utile per collegare frazioni e centro, casa e stalla o fienile, paesi in fondovalle .Esempio estremo : il soccorso a Rigopiano di pattuglia sciatori Fiamme Gialle.Gli Unici a raggiungere e prestare i primi soccorsi.

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