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Rigopiano, un anniversario tra indagini ed elezioni – di Stefano Ardito

A Rigopiano, in questi giorni, la situazione ricorda quella di due anni fa. Sul versante pescarese del Gran Sasso ha nevicato, e i giornalisti ammessi a visitare i resti dell’albergo distrutto devono indossare i ramponi e l’ARVA. A parte il memoriale con le foto delle vittime, nulla mostra che dalla tragedia sono passati due anni.  

Eppure è proprio così. Il 18 gennaio è il secondo anniversario della tragedia che ha ucciso ben 29 persone (altre 12 si sono salvate), e che ha portato il versante pescarese del Gran Sasso sui media italiani e del mondo. Anche le sensazioni di quei giorni hanno avuto conferma dall’inchiesta. 

Non cambia l’ammirazione per il coraggio degli uomini e delle donne del Corpo Nazionale Soccorso Alpino, dei Vigili del Fuoco e delle Forze dell’Ordine, che hanno lavorato in condizioni spaventose, con la minaccia di nuove valanghe. Resta il rispetto per il dolore dei familiari delle vittime, tutte persone digiune di montagna e che avrebbero dovuto essere protette e garantite. 

Fin dal momento del dramma, sono apparsi con evidenza gli errori del Comune di Farindola, della Provincia di Pescara, della Regione Abruzzo e della Prefettura di Pescara. Impressioni confermate dalla Procura della Repubblica di Pescara, che a novembre del 2017 ha rinviato a giudizio 23 rappresentanti delle istituzioni citate per reati come omicidio colposo, abuso d’ufficio, falso e abuso edilizio.

Il sindaco di Farindola, i suoi due predecessori e alcuni funzionari del Comune sono indagati per aver permesso di costruire l’albergo in una zona dove il pericolo di valanghe era provato. Per la mancata chiusura della strada di Rigopiano, e il mancato sgombero dalla neve, sono indagati il presidente della Provincia di Pescara, il comandante della polizia provinciale e alcuni funzionari provinciali. 

Cinque dirigenti della Regione Abruzzo sono stati coinvolti nell’inchiesta per non aver realizzato la Carta Regionale delle Valanghe, prevista da una legge del 1992. L’allora prefetto di Pescara, il suo capo di gabinetto e alcuni funzionari della Prefettura sono stati messi sotto accusa per il tardivo avvio dei soccorsi. 

Oggi sappiamo ufficialmente che l’Hotel Rigopiano non doveva essere costruito ai piedi del pericoloso canalone del Monte Siella, che i servizi di sgombero delle strade dalla neve non hanno funzionato, che la Carta delle Valanghe, essenziale per pianificare il territorio, non c’era e non c’è ancora. 

Qualche settimana fa, altri avvisi di garanzia firmati dai magistrati di Pescara hanno confermato un dettaglio famoso. La telefonata di soccorso alle 11.38 del 18 gennaio da parte di Gabriele D’Angelo, cameriere dell’Hotel Rigopiano, non ha solo avuto una risposta sprezzante da parte di una funzionaria della Prefettura, ma sembra essere scomparsa dai brogliacci.

L’inchiesta, con i tempi lunghi della giustizia, va avanti. Chi segue le cronache dei quotidiani, delle radio, delle tv e dei siti locali sa che gli interrogatori degli indagati si susseguono a ritmo serrato. Stride con questo quadro positivo e operoso un’altra sentenza emessa da poco a Pescara. 

Alessio Feniello, padre di una delle vittime di Rigopiano, è stato condannato a 4.550 euro di ammenda (o tre mesi di carcere) per aver violato nella scorsa primavera i sigilli sul sito della strage. “Rigopiano è la tomba di nostro figlio, siamo entrati per lasciare dei fiori, il cancello era aperto. Hanno ucciso mio figlio e dovrei preoccuparmi di questo?” ha dichiarato Feniello alla stampa. 

Mancano tre settimane alle elezioni regionali in Abruzzo, e la consultazione peserà sul quadro politico nazionale. E questo spinge i politici a farsi sentire. L’11 gennaio Giorgia Meloni, segretario di Fratelli d’Italia, ha annunciato che il suo partito si farà carico dei 4.550 euro dell’ammenda comminata a Feniello. 

Il giorno prima, a Pescara, il Ministro dell’Interno (e leader della Lega) Matteo Salvini ha annunciato di aver stanziato 10 milioni di euro per i familiari delle vittime. Forse in questi giorni sarebbe più elegante il silenzio. Ma in Italia, dopo altre tragedie, si è visto di molto peggio.

Sembra scomparsa dal dibattito pubblico, invece, la gestione della montagna in Abruzzo. E nella terra della Majella e del Gran Sasso, purtroppo, gli errori e i morti di Rigopiano sembrano aver insegnato ben poco a chi per mestiere (o grazie al voto popolare) deve organizzare e gestire il territorio. 

Su tutti i massicci della regione, molte strade d’alta quota vengono chiuse anche quando la neve non c’è. La pulizia dalla neve di altri tracciati, nonostante le promesse, resta affidata a mezzi inadeguati. Scialpinisti ed escursionisti con le ciaspole vanno altrove, e gli operatori del turismo in Abruzzo ci rimettono.

La paura che si è diffusa tra gli amministratori dopo la tragedia del 18 gennaio 2017 ha reso più frequenti i divieti di sci e altre attività fuoripista emessi da Comuni come L’Aquila, Roccaraso, Caramanico Terme e Scanno. Provvedimenti che sulle Alpi non ci sono, che non creano sicurezza, che colpiscono inutilmente gli appassionati e le guide alpine.

Alla Carta delle Valanghe, invece, si è iniziato finalmente a lavorare. Poco più di un anno fa, a novembre del 2017, l’incarico per realizzarla è stato assegnato a Roberto Nevini, geologo dell’Università di Siena e collaboratore dell’AINEVA, che ha 36 mesi a disposizione. 

E’ una buona notizia, certamente. Fino al novembre del 2020, però, chi deve organizzare gite in montagna o programmare degli interventi edilizi nei Comuni di montagna dell’Abruzzo si deve ancora affidare al buonsenso.

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2 Commenti

  1. E’ il periodo giusto per confrontare …con quanto accade e si fa per prevenire in questi giorni in Svizzera ed Austria..negli alberghi e rifugi.Si può sempre imparare .

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