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Andrea Lanfri si prepara per l’Everest. “Cerco di dimostrare a me stesso che posso andare sempre oltre”

Rientrato da poco dalle Ande dove ha scalato il vulcano Chimborazo, la più alta vetta d’Equador, Andrea Lanfri non si è preso nemmeno un giorno di riposo. La preparazione dell’atleta paralimpico prosegue e, non solo per la gare. Tra pochi mesi infatti Lanfri sarà protagonista di una nuova grande esperienza: la scalata dell’Everest.

 

Partiamo però dall’inizio Andrea. Dicci intanto com’è andata al Chimborazo?

È stata un’esperienza grandissima, mi è piaciuto moltissimo anche se è stato molto faticoso soprattutto l’ultimo tratto di salita. Una lunga rampa ripida che andava su per mille metri di dislivello, sempre in salita.

Verso la fine, quando la vetta era ormai vicina, ho iniziato ad accelerare. Avevo voglia di arrivare lassù, volevo andare in cima per vedere cosa c’era sotto. Ero curioso di vedere cosa c’era sotto. Quando ho messo piede sulla cima la meravigliosa notte stellata si dissolveva al giorno che sorgeva da un mare di nuvole basse. Erano circa le sei del mattino.

Questa al Chimborazo non era però una  salita a se stante, ma faceva parte di un progetto più ampio…

Si, si tratta di un progetto di studio che mira ad accelerare l’acclimatazione in montagna. Il nome ufficiale è “One Project Research” e sta ad indicare “Oxygenated natural emotion project”. Il fondamento è quello di accelerare i tempi di acclimatazione contrastando il mal di montagna. Per questo le salite non sono solo piacere personale ma vengono seguite da un team medico e da varie strumentazioni che portiamo indosso a monitorare le nostre prestazioni fisiche. Oltre a questo, durante la salita, dobbiamo seguire un preciso protocollo con pause ed esercizi di respirazione particolari.

Come sei entrato a far parte di questo progetto?

Tramite amici che, conoscendo la mia passione per la montagna, mi han suggerito d mettermi in contatto con gli organizzatori. Quando poi mi hanno spiegato il progetto, delle fasi di allenamento e delle varie scalate, sono rimasto dubbioso sul fatto di poter unire questi impegni all’atletica. Alla fine però m sono deciso e a luglio dell’anno scorso sono andato in vetta al Monte Rosa.

Cos’è invece che ti spinge a cimentarti con queste sfide?

Cerco, forse, di dimostrare a me stesso che posso andare sempre oltre.

Ora ti stai preparando per l’Everest…

Si, siamo in piena fase organizzativa. Circa un mesetto fa ho lanciato il crowdfunding che ora si sta concludendo positivamente quindi posso dire che almeno il primo ostacolo, quello economico, è stato superato. Posso quindi pensare di arrivare in sotto l’Everest e immaginare di scalarlo, se poi ci riuscirò non posso saperlo ma almeno posso pensare di provarci.

Penso che sarà un’esperienza difficile, tosta. Mi immagino anche che dev’essere molto freddo lassù.

Come ti stai preparando per questo nuovo grande progetto?

Sto seguendo una preparazione simile a quella fatta per il Chimborazo. Ogni giorno corro e in più ho una sessione di allenamento dedicata unicamente alla respirazione. Un’ora e mezza in cui mi dedico ad esercizi che stimolano la respirazione e allenano tutti i muscoli coinvolti dall’atto respiratorio.

Oltre all’allenamento fisico anche le protesi che userai saranno molto particolari…

Già al Chimborazo ho fatto un primo test di prova su delle protesi particolari. Si tratta di due gambe a cui sono stati apportati alcuni cambiamenti, alcuni accorgimenti particolari. Innanzitutto ho preso un piede più piccolo per avere un po’ di agilità in più e anche la gamba è più bassa. La vera grande differenza sta però nella cuffia, cioè in quello strato protettivo che si inserisce tra me e la protesi. Normalmente è spessa tre millimetri mentre nel mio caso ha uno spessore che può andare dai sei millimetri al centimetro. Così ho uno strato ammortizzante più spesso in grado di prevenirmi problemi e dolori al moncone, soprattutto in discesa. Sul Chimborazo devo dire che si sono comportate egregiamente: sono andato e tornato senza avere alcun dolore alla tibia e nessun livido. L’estate scorsa invece, sul Monte Rosa, con la protesi normale, ho riportato alcuni dolori e dei piccoli lividi.

Per me è importante evitare questo sull’Everest perché sarà una lunga spedizione con molto dislivello e non vorrei arrivare con la gamba troppo stanca.

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