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Foreste deboli da far diventare nuovamente forti

“Sembrano foreste dell’Ikea”, l’affermazione è grillesca, ma non peregrina. Gli alberi son sempre stati “spazzati via” dalle valanghe e dalle formidabili potenze che muovono le masse di neve e d’aria che le accompagnano. Le foreste attuali paiono però più deboli, omologate da esigenze commerciali e di facile crescita, con radici meno profonde e fronde più esposte. Non sono un esperto in scienze forestali, anche se qualcuno, bravo, di forestale l’ho negli anni frequentato e son certo che nel passato recente qualche scelta non appropriata nella riforestazione di versanti, valli e dorsali alpine è stata fatta.

I cambiamenti climatici, di cui si parla talvolta a sproposito ma spesso con competenza e sempre con un groppo allo stomaco, ci hanno insegnato che l’”adattarsi” è la principale azione che possiamo attivare, solo dopo interviene il “mitigare”. Adattarsi significa riforestare non solo con senso estetico del verde e dei bei boschi, con attenzione economica all’economia del legname e dell’indotto, ma anche con lo sguardo complessivo alla natura, alla sua complessità oggettiva ed evolutiva.

Le foreste Ikea ci sono, eccome. Ce lo racconta Maurizio Gallo evocando la saggezza e l’orgoglio alpino, ce lo dice anche Albert, appassionato e competente (anche provocatore, oltre che divertente) commentatore di Monragna.tv:“Quanto ai larici, si conferma sempre più che c’e’ stato un errore: troppa piantumazione di abeti rossi più appetibili negli impieghi industriali, e meno di altre piante autoctone. Si confida in un ripensamento delle politiche di programmazione forestale. Nei centri di bricolage di pianura, abbondano pannelli di abete, mai trovato larice, cirmolo… essenze da cercare solo in segherie o rivenditori specializzati. Per quanto riguarda le abitazioni, il vecchio nucleo dei paesi era collocato a prevenzione di alluvioni, valanghe, non di incendio. Poi per le seconde case… altri criteri, compresa la vicinanza a corsi d’acqua e con scarsa esposizione al sole in inverno, di cui gli acquirenti estivi si accorgono a rogito firmato e a pagamento effettuato”.

Anche per le foreste la saggezza, compresa quella dei figli e nipoti fatti laureare in scienze forestali ed agrarie e tornati in quota diventando bravi e riscoprendo l’orgoglio montanaro, deve prevalere.

La ferite dei giorni scorsi sono gravi, ma la capacità di autosoccorso della comunità, del singolo montanaro e pure dell’alpinista, se vogliamo estremizzare, è pratica acquisita, così come la capacità della collettività di mobilitare i sistemi di intervento e protezione civile, e poi, ci vogliamo credere fino in fondo, anche quella di rimarginazione e ripresa rapida della vita naturale, sociale ed economica. Se è vero che il male, quello che proviene dalla natura e quello causato dall’uomo -che male l’ha curata-, esiste, rimane valido il vecchio motto della sapienza popolare per cui: “non tutto il male viene per nuocere”. Imparare dal peggio per puntare al meglio, imparare dagli errori per ricostruire in maniera virtuosa.

A tal proposito sempre il “nostro” Albert commenta: “Le cooperative o “società” di boscaioli non sono improvvisate. Forse qualcuno dovrebbe organizzare corsi accelerati dove si punta al sodo della formazione utile ad operare. Ovvero non mettendo in programma dei corsi ore di materie non finalizzate al mestiere. Esperienza trentina: corso professionale biennale di manutentore e costruttore di muretti a secco. Il territorio nazionale abbonda di terrazzamenti. Il terreno scosceso verrebbe protetto da frane e consentirebbe culture di nicchia.
“Le ditte produttrici di pannelli potrebbero macinare e lavorare gli scarti, poi nelle località distrutte da terremoti, favorire la ricostruzione con pannelli di legno già provati antisismici. Pure gli orrendi container di lamiera o tendoni di plastica potrebbero essere sostituiti da casematte di legno massiccio, tenute in magazzini e prontamente assemblabili.
Si sono letti proclami di località dove nevica firmato, disastrate dall’ultimo evento biblico, che sono ansiose di cominciare la stagione sciistica l’8 dicembre a costo di noleggiare mega generatori privatamente. Altra spinta all’inquinamento atmosferico ed innalzamento temperature. Magari se cominciano a fine dicembre non è una tragedia… qualche decennio fa andava così, aspettando pazientemente la nevicata naturale.
Certe località turistiche dolomitiche sono prive di acquedotto, ma sembra che la preoccupazione sia non poter fornire agli ospiti le piscine riscaldate, le vasche idromassaggio, le saune
.”

Forse un pensiero slow per la montagna potrebbe recuperare vita, tempo e natura e alla lunga risorse. Non male.

 

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2 Commenti

  1. Altra questione:ripensare le linee elettriche.. se passano in mezzo ai boschi, basta una albero che cade chissà dove e interrompe.Ingegneri e forestali devono lavorare in sinergia. La zona di rispetto accanto ad una linea e’ un specie di galleria nel bosco.Poi pero’ le piante crescono e si riprendono lo spazio , crollano ancora e rendono difficoltoso l’avvicinamento di squadre di ripristino . Le squadre di elettricisti d’assalto che operano in montagne impervie sono di “uomini veri”, che si meritano ben altro che bicchierino di amaro digestivo.

  2. Il problema è che si parla…si parla…e si parla…da anni, ma in sostanza non si fa mai niente per migliorare, anzi si continua imperterriti a distruggere la natura per costruire opere cementifere inutili. Altopiano di Asiago compreso. La montagna va preservata, non cementificata. In che brutto mondo viviamo.. bruttissimo.

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