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Allarme del WWF: in 50 anni il numero dei vertebrati si è ridotto del 60%.

Il “Living Planet Report 2018”, rapporto annuale del WWF sulla biodiversità, ha di recente riportato un  dato allarmante: dal 1970 al 2014 il numero degli animali vertebrati sulla terra (mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi) è calato del 60%.

Il documento, curato da un pool di 59 esperti in collaborazione con la Zoological Society of London, ha analizzato la numerosità di 16.704 popolazioni di oltre 4.000 specie di vertebrati in tutto il mondo giungendo alla conclusione che i tassi di estinzione che registriamo attualmente siano incrementati fino a mille volte da quando la presenza dell’uomo negli ecosistemi animali è diventata un fattore determinante. In questo momento le azioni messe in atto nel tentativo di proteggere il mondo naturale non sono in grado di stare al passo con la velocità della distruzione compiuta dalla mano umana.

Per comprendere la dimensione tragica dello scenario delineato dal Report, il direttore esecutivo Scienza e Conservazione del WWF Mike Barrett ha utilizzato un paragone intuitivo: Se ci fosse un calo del 60% nella popolazione umana, sarebbe equivalente allo svuotamento del Nord America, Sud America, Africa, Europa, Cina e Oceania. Questa è la scala di ciò che abbiamo fatto. Questo è molto di più che perdere le meraviglie della natura. Questo in realtà sta mettendo a repentaglio il futuro delle persone, il nostro sistema di supporto vitale”.

I danni causati dall’uomo sulla natura sono paragonabili per pericolosità al cambiamento climatico. La posta in gioco in entrambi i casi è il benessere delle generazioni attuali e future.

Nell’elenco delle maggiori minacce alla sopravvivenza delle 8.500 specie a rischio inserite nella red list dell’IUCN, azioni umane quali il sovrasfruttamento e le alterazioni degli ambienti naturali, in particolare per scopi agricoli, sono al primo posto. A seguire troviamo altre cause lesive degli ecosistemi naturali, quali il cambiamento climatico, l’inquinamento, la diffusione di specie invasive, la costruzione di dighe e lo scavo di miniere. Questo insieme di fattori è stato definito dal WWF “impronta ecologica del nostro consumo” che, negli ultimi 50 anni ha subito un incremento del 190%.

In merito alla modifica degli ambienti da parte dell’uomo, l’Intergovernamental Science/Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) afferma che oggi meno del 25% della superficie terrestre è ancora in condizioni naturali e nel 2050, qualora lo scenario di sfruttamento non cambiasse, la percentuale si ridurrà al 10%. Tra il 2000 e il 2010 ben 46 paesi dell’area tropicale e subtropicale sono stati oggetto di intensa deforestazione per fornire terreni destinati all’agricoltura commerciale e di sussistenza. Accanto alle coltivazioni una seconda causa di degrado del suolo risulta essere la crescita urbana inarrestabile.

 “Il Living Planet Report 2018 richiama a un impegno deciso per invertire la tendenza negativa della perdita della biodiversità.”  – afferma la Presidente del WWF Italia Donatella Bianchi – “Il mondo ha bisogno di una roadmap dal 2020 al 2050 con obiettivi chiari e ben definiti, di un set di azioni credibili per ripristinare i sistemi naturali e ristabilire un livello capace di dare benessere e prosperità all’umanità”.

Il documento del WWF chiede in sintesi un accordo globale in difesa della natura, per arginare la perdita di biodiversità cui stiamo andando incontro. Obiettivo non certo facile da raggiungere che sarà oggetto di discussione già nel mese di novembre nel corso della 14° Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD, Convention on Biological Diversity) in Egitto. Una situazione che riporta alla memoria la Conferenza di Parigi del 2015, in cui il mondo si riunì per tentare di trovare un accordo chiaro su come fronteggiare il cambiamento climatico.

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