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Reinhold Messner e l’assassinio dell’impossibile

Il 16 ottobre del 1986 Reinhold Messner era in vetta al Lhotse diventando il primo uomo a salire i quattordici Ottomila. Un’impresa che realizzò in 16 anni (iniziò salendo il Nanga Parbat con il fratello Gunther nel 1970 dall’inviolato versante Rupal) senza utilizzare l’ossigeno e “by fair means”, come postulava Mummery. 

Cogliamo l’occasione dell’anniversario di questa impresa, per parlarvi dell’ultimo libro del Re degli Ottomila, “L’assassinio dell’impossibile. Grandi scalatori di tutto il mondo discutono sui confini dell’alpinismo”, edito Rizzoli.

Il libro nasce da un articolo di Messner pubblicato nel 1968 sulla Rivista Mensile del CAI in cui l’alpinista lanciava un appello affinché si rinunciasse all’aiuto della tecnologia nell’arrampicata. In quel momento, dall’altra parte dell’oceano, nella Yosemite Valley, Royal Robbins si faceva megafono del clean climbing.

Era l’inizio di un grande movimento che avrebbe rivoluzionato i valori dell’alpinismo e che si contrapponeva ad un modo di scalare, l’arrampicata artificiale, che si era imposto dieci anni prima con la Direttissima sulla Nord della Cima Grande di Lavaredo e il Nose a El Capitan.

L’appello del 1968 diventa nel libro un dibattito estremamente interessante grazie alla prima parte del volume, dedicata ad alcuni testi fondamentali che Messner scrisse sul tema nel corso degli anni, ma soprattutto alla seconda dove vengono raccolti i contributi di 42 alpinisti che discutono sulle tesi di Royal Robbins, sull’articolo di Messner e sullo sviluppo e stato attuale dell’arrampicata tradizionale e di quella libera.

40 anni dopo quell’articolo comparso sulla rivista del CAI, Messner conclude il libro scrivendo: “L’alpinismo, esattamente come prima, è sogno e azione, si compone di possibilità̀ e ne resta sempre una quantità̀ infinita”.

Contributi di: Bernd Arnold , Hansjörg Auer, Hervé Barmasse, Tommy Caldwell, Yvon Chouinard, Matteo Della Bordella, Hazel Findlay, Mick Fowler, Maurizio Giordani, Alessandro Gogna, Yannick Graziani, Alex Honnold, Leo Houlding, Thomas Huber, Jost Kobusch, Igor Koller, Marina Kopteva, Jurij Košelenko, David Lama, Jacopo Larcher, Heinz Mariacher, Pierre Mazeaud, Simone Moro , Adam Ondra, Fabio Palma, Franco Perlotto, Boyan Petrov, Marko Prezelj, Paul Pritchard, Markus Pucher, Ivo Rabanser, Marek, Angelika Rainer, Tom Randall, Ermanno Salvaterra, Stephan Siegrist, Marcin “Yeti” Tomaszewski, Nicola Tondini, Christian Trommsdorff, Simon Yates, Barbara Zangerl, Maurizio Zanolla “Manolo”

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4 Commenti

  1. Nelle sempilci frazioni l’impossibile esiste: son quelle a denominatore uguale a zero.
    Quanto a rinnovare l’alpinismo …la montagna lentamente si scolla di dosso la ferraglia e pure pezzi di parete, cosi’ per generazioni future di alpinisti puo’ ricominciare la grande impresa.Se poi inventano finalmente le suole effetto Geko…

  2. É una farsa messa in piedi da qualche mente del marketing . Sono decenni che non si pratica più l’arrampicata artificiale… Più che altro si vuole assopire la coscienza di qualche sparuto gruppo, che contrasta l’anima del consumismo,mascherando il vero nemico attuale dell’alpinismo, ovvero il trapano e il chiodo ad espansione( spit).

    1. Qui da noi in Dolomiti le vie a chiodi sono massacrate dall’aggiunta di chiodi mentre le vie a spit severe quelle sono e torno spesso indietro. Il chiodo e il suo utilizzo sfrenato sono il vero problema. Vai sulla Carlesso alla Trieste adesso

  3. Sono stato a Yosemite un mese fa ed ho visto un sacco di cordate attaccare vie in artificiale. Per non parlare poi di bastoni ed ammennicoli vari per ‘azzerare’ anche su vie super chiodate…

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