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Giorgio Vacchiano, il ricercatore forestale che sta lasciando il segno nella scienza

La rivista scientifica Nature ha identificato due italiani tra gli 11 migliori scienziati emergenti al mondo. La prima è la dottoressa Silvia Marchesan, ricercatrice dell’Università di Trieste dove si occupa di biomolecole, mentre l’altro è Giorgio Vacchiano, dell’Università Statale di Milano. Giorgio, torinese trentottenne, si occupa di ricerca nell’ambito delle scienze forestali. Il suo lavoro è quello di “gestire” le foreste, ma forse è meglio che a spiegarci cosa fa nella vita sia lui stesso.

 

Ciao Giorgio, come ci si sente ad essere un ricercatore che “sta lasciando il segno nella scienza”?

L’emozione prevalente di questi giorni è la gratitudine a chi ha lavorato con me e a quelli con cui io ho lavorato. La ricerca è uno sforzo di gruppo sia perché ci basiamo su quelli che sono venuti e hanno pubblicato prima di noi, sia perché ormai gran parte dei miei lavori hanno diversi autori.

Sono molto contento del riconoscimento a questo tipo di lavoro e anche del riconoscimento al settore forestale che, forse, in Italia è un pochino dimenticato ma che può dare contributi importanti alle sfide della società come, per esempio, nella lotta al cambiamento climatico.

Ci spieghi, con parole semplici, qual è il tuo ambito di ricerca?

Io mi occupo di gestione forestale. In pratica partiamo dal concetto che le foreste ci danno una serie di benefici: il legno come materiale rinnovabile e pulito; la protezione del suolo dall’erosione; un habitat per flora e fauna; l’assorbimento del carbonio che emettiamo, in grandi quantità, nell’atmosfera. Il problema sta nel fatto che non sempre questi benefici sono compatibili l’uno con l’altro e, oltre a questo, essi cambiano nel tempo perché le foreste sono organismi dinamici. Il mio lavoro sta quindi nel capire quali benefici vogliamo di volta in volta da un certo tipo di foresta riuscendo a prevedere come questi si evolveranno nel futuro anche perché, con il clima che cambia, questa evoluzione ormai è molto rapida. Per fare queste valutazioni utilizziamo dei modelli matematici che ci permettono di essere un po’ più sicuri riguardo gli scenari che andiamo a immaginare. Grazie a queste previsioni possiamo impostare un corretta gestione delle foreste.

Hai creato un tuo modello matematico?

In realtà al momento utilizzo modelli matematici creati da altri ricercatori. Io cerco però di adattarli sia al tipo di foreste che abbiamo in Italia, sia agli scopi che, di volta in volta, interessano agli amministratori o ai gestori. Per esempio qualcuno vuole sapere qual è il pericolo di incendio nella sua zona, altri vogliono invece sapere quanta biomassa si può ricavare da un certo tipo di territorio. Gli strumenti sono gli stessi, ma la loro applicazione può cambiare a seconda degli scopi.

Un riconoscimento alla lotta contro i cambiamenti climatici?

Non ne sono sicuro, ma vedendo che le undici persone premiate appartengono tutte a settori diversi e a campi strategici per il bene comune come la cura per il cancro alle ovaie, l’energia solare o le biomolecole mi sembra che abbiano cercato di selezionare settori che, per loro, sono importanti per società di oggi e di domani quindi, assolutamente si.

Parliamo di te, sei stato formato all’estero o in Italia?

Come formazione all’estero vera e propria io ho fatto solo sei mesi negli Stati Uniti. Sei mesi su oltre dieci anni di lavoro in Italia. Oltre a questo ho poi lavorato un anno e mezzo per la commissione europea, ma questa non si può definire formazione. Quindi si, la mia formazione è stata assolutamente italiana come maestri.

Ormai però la ricerca è globale, per fortuna. Fare ricerca oggi ti permette di lavorare con persone che arrivano dalle più svariate parti del mondo e ciascuna di queste ha qualcosa da insegnarmi grazie ai suoi lavori, grazie ai suoi ragionamenti. Metterei enfasi su questa diversità che rende ricca la società come anche la scienza e gli scienziati.

Hai mai pensato di andare all’estero?

Si, ho partecipato a concorsi esteri, l’ho fatto durante il periodo del precariato. Dato che i contratti non erano stabili ho cercato una maggior stabilità guardandomi attorno all’estero. L’ultimo tentativo è stato l’anno scorso: ho partecipato a un concorso per una cattedra all’università di Zurigo e ho anche vinto il posto. Quando però mi è stato comunicato ho anche saputo del concorso che si apriva a Milano per un posto da ricercatore: quello che ricopro tutt’ora.

Alla fine ho scelto di rimanere in Italia sia per ragioni personali, sia perché in Italia c’è ancora molto da fare sulla gestione e pianificazione forestale. Abbiamo molto potenziale e anche molto da fare perché, ad esempio, solo il 15 percento della superficie forestale italiana è pianificata.

Si potrebbe quindi sfatare il mito che in Italia non c’è posto per giovani ricercatori?

Non mi sento di poter sfare questo mito confrontando l’esperienza di uno, che sono io, con quella di 40 o 45 mila che sono i giovani ancora precari nella ricerca italiana. Quando questo numero diminuirà e riusciremo anche ad arginare il calo di docenti e ricercatori, che ormai è sistematico da dieci anni, allora forse si potrà dire che è un mito, altrimenti no.

Da pochi giorni hai lanciato un interessante progetto su Instagram chiamato “the forest scientist”, ce lo racconti?

Si tratta di un progetto educativo volendo. Un progetto dedicato al racconto degli alberi e delle foreste italiane ai più giovani. La prospettiva è quella di raccontare le foreste, ma anche cosa fa un forestale o un ricercatore forestale e quali possono essere le cose belle che le foreste fanno per noi. Il tutto tramite foto dei posti in cui lavoro come vuole il linguaggio di Instagram. (Se volete sapere di più visitate il profilo Instagram di Giorgio e quello del progetto)

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2 Commenti

  1. Si potrebbe quindi sfatare il mito che in Italia non c’è posto per giovani ricercatori?

    Per porre unandomanda del genere bisogna essere lontani anni luce dall’università italiana.

  2. Per i parchi urbani del mio paesello, so che i criteri per la scelta delle piante risalgono a dibattiti accesi in consiglio comunale.La scelta finale ..sembra rispondere piu ‘ a contrapposizioni di partito , che obbedivano piu’ alla simbologia delle essenze che a criteri scientifici.
    Risultati: enormi quantita’ di foglie che cadono proprio sui chiusini dell’acqua piovana e l intasano, lampioni avvolti ed oscurati dalle chiome..marciapiedi sconnessi dalle grosse radici di pinetti
    collocati qualche decennio fa…ed ora cresciuti a dismisura isuterreni non adatti.
    Ma il clou e’ la presenza di ippocastani che tra loro hanno diffuso malattie infettive .Chi ha proposto dieliminarli e sostituirli dopoconsulenze, si e’ sentitotacciare di scarso patriottismo in quandopiante decise appena dopo lalGrande Guerra inmemoria dei caduti.
    Ora cadono enormi ricci con castagne matte che a seconda del caso incontrano crani umani, e le spine forano camere d’aria di bici, per un chilometro di lunghezza ambo lati giusto sui marciapiedi della promenade.Ogni tantoqualche tromba d’aria fa crollare piante dal tronco marcio…sulla carreggiata.
    Quindi di lavoro per giovani forestali ricercatori ce ne sarebbe molto.

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