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Adam Bielecki: con chi salirei il K2 invernale? Mi viene in mente solo Denis

Lo scorso inverno è stato uno dei protagonisti principali delle cronache alpinistiche oltre a essere stato uno dei più attivi alpinisti, insieme a Denis Urubko, sulle pareti del K2 invernale. Sempre con Denis ha preso parte all’incredibile salvataggio di Elisabeth Revol sul Nanga Parbat, montagna che ha tentato di scalare nel corso dell’inverno 2015-2016. L’inverno pare essere la sua stagione preferita e a dimostrarlo non ci sono solo i tentativi, ma anche le due prime assolute invernali su Gasherbrum I e Broad Peak. Stiamo parlando di Adam Bielecki, classe 1983, con cui abbiamo avuto modo di parlare a riguardo di alpinismo invernale, inverno e progetti futuri durante il Ladek Mountain Festival.

 

Adam, qui in Polonia sei una star dell’alpinismo e molti affermano che sia l’erede della vecchia generazione di alpinisti polacchi…

Io sono un climber e quello che faccio è arrampicare. Il concetto di “erede”, l’etichettare qualcuno, è una cosa che fanno i giornalisti e io li lascio fare.

Se dovessi però pensare a quella che è stata la mia storia alpinistica credo che la mia passione per gli Ottomila metri in inverno dipenda profondamente dalla mia nazionalità. Sono sicuro che se fossi un climber di un altro Paese non sarei stato così preso dall’idea di scalare le più alte montagne nel periodo invernale. Per noi polacchi si tratta di una sorta di “sport nazionale”, alimentato nella mia fantasia dalle letture giovanili sulle ascese invernali, storie che accendevano la mia immaginazione.

C’è una foto che conservo con molto orgoglio e che spiega quanto tutto questo sia importante. Si tratta di una foto scattata ad un festival in cui ho avuto l’occasione di incontrare Andrzej Zawada l’iniziatore, in Polonia, dell’alpinismo invernale himalayano.

Rimaniamo in inverno: nel 2016 c’eri anche tu sul Nanga Parbat nel 2016… Cosa pensi di quella prima invernale?

Prima del 2016 ho avuto occasione di arrampicare con Ali e con Alex, sono due alpinisti veramente preparati e anche Simone, con cui non ho mai avuto il piacere di scalare, ha un curriculum alpinistico che parla da solo. Credo che con quella prima salita sia stata premiata la loro grande passione.

Nei miei piani c’era l’ambizione di scalare il Nanga in due settimane, un’idea un po’ difficile da mettere in pratica, ma non sono rimasto stupito dalla riuscita della loro salita. Dovevano, in fondo, solo aspettare la giusta finestra di bel tempo alla fine dell’inverno. Sono uomini superstrong, un team veramente motivato. Insomma, sono stato contento di sapere del loro successo sul Nanga invernale.

Cosa pensi invece di tutto quanto accaduto durante la spedizione?

Sono cose che capitano. Accade sempre qualche grande casino durante le spedizioni. Partiamo dal presupposto che tutti i climber hanno delle personalità forti, magari anche qualche problema di narcisismo ed egocentrismo. Quindi, se li prendi e li chiudi nel piccolo spazio di una tenda con fuori il cattivo tempo che imperversa per giorni e giorni, può venir fuori qualche discussione ma è una cosa umana. Provate ad esempio a immaginare di essere chiusi in una tenda per due mesi colo con la famiglia e i vostri migliori amici: dopo un po’ normale avere discussioni, scontri, è parte della vita.

Di solito io provo a tenermi fuori da queste situazioni, cerco sempre di evitare di essere messo in mezzo concentrandomi sulle mie cose: penso da arrampicare.

Rimaniamo ancora un attimo sul Nanga Parbat. Quest’anno con Denis sei stato protagonista di una prestazione incredibile, che era sintomo anche di una grande acclimatazione. Credi che in quel momento, con quella preparazione, saresti stato in grado di arrivare in vetta al K2?

Non si è mai certi della vetta. Di certo credevo che fosse possibile raggiungere la cima del K2. Non ne avevo però la sicurezza perché è la meteo A decidere per tutti. Il concetto era: se c’è bel tempo e siamo ben acclimatati, allora c’è possibilità di arrivare in vetta. Se il tempo è brutto, se c’è vento forte, non possiamo fare nulla indipendentemente da quanto forti possiamo essere come alpinisti.

Durante la spedizione non ho mai pensato molto alle possibilità di vetta. Ho solo cercato di fare del mio meglio, impegnandomi quanto più possibile per cercare di portare a casa l’obiettivo.

Anche sul K2 non sono mancati i problemi umani…

Come nella maggior parte delle discussioni tra le persone credo si sia tratta di un problema di comunicazione. In questo caso, tra Krzysztof e Denis, non c’è stata una chiara definizione delle regole. Avrebbero dovuto spiegarsi meglio cercando di trovare un accordo sullo stile della spedizione, su cos’è l’inverno, su quando inizia e quando finisce. Queste sono le cose principali di cui avrebbero dovuto parlare prima della spedizione perché una volta partiti sarebbe già stato troppo tardi per recuperare.

Molti qui in Polonia si sono lamentati di Denis per la situazione che si è venuta a creare. Io però non credo che sia tutto così semplice, credo che la responsabilità sia da ricercarsi da entrambe le parti. Anche gli altri membri del team hanno apportato il loro piccolo contributo nel peggiorare le cose.

Credi che per Denis essere l’unico non polacco potesse essere un problema?

Credo che per lui sia stata una situazione difficile. Tutti i membri della spedizione si conoscevano già, parlavano polacco, ridevano insieme a campo base. Lui era un outsider, fin dall’inizio. A fianco di questo c’è da aggiungere che è fortissimo e che è super-motivato, tutte cose che non hanno reso la situazione più semplice.

Hai mai avuto la possibilità di parlare con Denis del suo concetto di inverno?

Probabilmente lo abbiamo fatto, ma non è una cosa di cui parliamo molto. Per me la questione si risolve in modo estremamente facile: hai un anno di 365 giorni, divisi in 4 dalle stagioni, la Terra ruota attorno al Sole e i due emisferi si trovano ora più vicini ora più lontani dal Sole e così si definisce anche l’inverno.

Lui ha la sua opinione e può averla, può avere tutte le opinioni che gli piacciono, non è che non mi importi molto. Denis è un mio amico e il nostro rapporto è basato sul rispetto reciproco. Formiamo una squadra forte e mi piace molto come persona anche se dice che le mie salite al Gasherbrum I e al Broad Peak non sono state fatte in inverno. Non è un problema se vuole rifarle: vai, migliora anche lo stile, non ti preoccupare, non mi importa. Tra me e Denis non ci sono conflitti per queste cose.

Hai qualche nuovo progetto alle porte?

In questo momento mi sto focalizzando sulla famiglia, per questo inverno non ho grossi progetti ma in ogni caso arrampicherò tanto. Sto pensando a varie salite tra Alpi, Canada e Tatra. Non ho invece intenzione di partire per nessun Ottomila. In primavera forse ci sarà una nuova spedizione himalayana. Mi piacerebbe tornare sull’Annapurna dove ero stato un anno e mezzo fa. Avevo provato a salire la parete Nord-Ovest in stile alpino ma non siamo riusciti a portarla a termine.

Poi di nuovo al K2 invernale…

Certo, ci sarò.

Anche Denis?

Non c’è ancora un team definito, è ancora troppo presto per parlare di una squadra, ma per me è difficile immaginare di fare il final push per raggiungere la vetta del K2 con qualcuno che non sia Denis.

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