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UIAA, il CAI se ne va denunciando mancanza di trasparenza, sprechi e illegittimi privilegi

Che tra il Club Alpino Italiano e la UIAA, l’Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche, ci fossero dei malumori era cosa oramai risaputa. Già lo scorso settembre il Cai, il Club alpino tedesco e quello austriaco avevano inviato una lettera al Board della UIAA congiunta esprimendo il proprio dissenso circa le politiche dell’associazione internazionale a dir loro più interessata agli sponsor ed alle competizioni di ice climbing piuttosto che alle “attività per le quali è stata fondata: l’alpinismo, la tutela dell’ambiente, la sicurezza e l’attenzione per i giovani”.

Sulle pagine del numero di agosto di Montagna360, magazine del Cai, la rottura definitiva da parte del Sodalizio che, attraverso la penna del Presidente Generale Vincenzo Torti, annuncia l’uscita dalla UIAA a far data dal 2019 (per l’articolo completo, qui).

L’UIAA di oggi, per la mancanza di trasparenza su come opera ed è gestita, per le inesistenti progettualità da parte del Board e per la creazione di priorità estranee all’essenza della Federazione stessa, al punto da vanificare quelle originarie, si è trasformata in una struttura nella quale il Club alpino italiano non si riconosce e dalla quale ritiene di dover prendere le distanze. Qualche esempio varrà più di molte parole” scrive Torti parlando poi della gestione dei costi della sede di Berna, dello staff (dipendenti), aumentati nel 2018 nonostante il bilancio in perdita, e dell’Office, superiori alle entrate degli associati. 

Ora– continua Il Presidente Generale del CAI-, è a dir poco inconcepibile che, a fronte della cronica insufficienza delle risorse associative e nonostante le diverse indicazioni fornite, ogni volta, dai nostri rappresentanti, i direttivi succedutisi nel tempo si siano orientati, anzichéal contenimento delle spese, verso l’acquisizione di maggiori contributi da parte di sponsor, fatto di per sé non negativo, ma che si è rivelato destabilizzante per come è stato attuato. Infatti si è perfezionato un contratto con un noto produttore di abbigliamento sportivo che, però, ha preteso e ottenuto, con il superficiale avallo dell’Assemblea Generale (partecipare per credere!), che il contributo versato fosse destinato interamente ed esclusivamenteall’organizzazione di attività nel settore di suo interesse, vale a dire l’Ice Climbing Competition. Queste le conseguenze: lo sponsor, imponendo il totale reimpiego in tale settore, ha chiesto e ottenuto, altresì, l’inserimento dell’organizzazione di competizioni di Ice Climbing tra le finalità statutarie dell’UIAA, il cui staff, pagato con i contributi degli associati, si trova, così, prevalentemente impegnato nell’organizzare ciò che serve allo sponsor che, in tal modo, riceve un ulteriore beneficio”.

Fondi del tutto sproporzionati rispetto a quelli dedicati ad altre attività, spiega Torti, a cui sono riservati budget irrilevanti: 860 euro per l’alpinismo, rispetto ai 180 mila per l’arrampicata su ghiaccio. Di rimando, denuncia il Cai, le soluzioni dell’UIAA per uscire dalla situazione di aumento costi della struttura è quella di cercare nuovi sponsor “così perdendo definitivamente quel poco di autonomia che, forse, era rimasta”.

Il tutto, va sottolineato, con una gestione priva di trasparenza e rispetto alla quale l’organo deputato ai controlli (Management Committee) si vede assegnato un tempo risibile per svolgere la propria funzione: l’ultima riunione convocata a Katmandu (!) prevedeva al mattino l’audizione delle relazioni delle Commissioni e, al pomeriggio, una riunione di poche ore per le attività istituzionali, destinate, in tal modo, a risultare inattuate. Ecco perché, su unanime richiesta del CDC, nella seduta del 23.06.2018 il Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo, con voto parimenti unanime, ha deliberato il recesso del Club alpino italiano da “questa” UIAA che, del tutto dimentica delle finalità per cui è sorta, presenta una gestione, oltre che totalmente priva di trasparenza e deficitaria come detto, improntata ad assicurare a pochi una accogliente sede a Berna, viaggi internazionali pagati e contatti personali, senza progettualità che abbiano al centro l’alpinismo, la libertà di accesso, la tutela dell’ambiente montano, la formazione delle federazioni meno strutturate, l’avvicinamento dei giovani alla montagna e le attività di soccorso. E pensare che i cambiamenti climatici, lo sfruttamento commerciale delle montagne più alte, le criticità per accedere ad alcune aree, le potenzialità di collaborazione da parte di realtà come il Cai, che dispone di una manualistica d’eccellenza, a favore di Federazioni che hanno minori disponibilità, rappresentano altrettanti temi sui quali un’Associazione Internazionale avrebbe potuto far sentire, forte e coesa, la voce di tutto il mondo alpinistico. Ma di ciò non vi è riscontro alcuno, né si intravvedono all’orizzonte possibili inversioni di tendenza. Da qui la sofferta, ma non più procrastinabile, decisione di recedere dall’UIAA, con effetto dal 2019” conclude Torti.  

Un segnale forte quello del Cai, tra i padri fondatori dell’associazione, che potrebbe essere seguito ben presto anche dai club alpini tedesco e austriaco, che insieme a quello italiano rappresentano ben 2 milioni di associati.

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