Alpinismo

Michele Cucchi: Il K2? Volevo vederlo, ma la vetta non era prevista

Sono le quattro e mezza del 26 luglio. Un’emozione incredibile”. Sono le parole che Michele Cucchi, alias il Lungo, ha registrato in vetta al K2 circa sessant’anni dopo la prima salita italiana alla montagna. È arrivato in cima con un leggero anticipo. Giusto cinque giorni prima rispetto a Compagnoni e Lacedelli in una salita che non sarebbe mai dovuta avvenire perché la guida alpina di Alagna, in realtà non voleva andare in vetta. L’aveva anche detto al capospedizione, poi però tutto è andato diversamente.

Eri già stato in Pakistan prima del K2?

La mia avventura pakistana è iniziata intorno al 2010 quando l’associazione EvK2CNR mi ha chiesto di fare dei corsi di formazione per gente che vive e lavora in montagna grazie ai trek o facendo i portatori d’alta quota. Lavoro quest’ultimo che, a differenza di quel che si può vedere in Nepal, in Pakistan è svolto da pochissime persone. Sono poche decine di individui a farlo e spesso lo fanno senza una vera e propria esperienza. Infatti, come spesso accade in questi paesi, i ragazzi hanno una fortissima forza fisica, una fortissima determinazione, ma uno skill tecnico molto basso.

Da quest’esperienza e conoscendo la storia del Pakistan e di tutti gli eventi catastrofici che hanno vissuto queste popolazioni, come ad esempio il terremoto del 2005 che ha prodotto migliaia e migliaia di morti con un sacco di gente spersa tra le montagne, abbiamo deciso di improntare un progetto di formazione incentrato sul soccorso, di cui il territorio pakistano è totalmente sprovvisto. Non hanno personale formato in grado di prestare del vero soccorso durante questi tragici eventi naturali.

Com’è invece iniziato il coinvolgimento nella spedizione?

Direi che è stato un coinvolgimento causale, successivo a quella prima esperienza formativa.

È nato tutto per caso, nel 2013, mentre ero in Pakistan con Agostino Da Polenza e Maurizio Gallo. Stavamo bevendo una tazza di thè quando Agostino ha tirato fuori l’argomento domandandoci cosa si sarebbe potuto fare per celebrare il sessantennale dalla salita italiana alla seconda montagna della terra. Così, forse anche un po’ per scherzo, è nata l’idea di organizzare una spedizione pakistana per la vetta del K2 offrendogli tutto il supporto possibile perché per loro è veramente difficile, se non impossibile, organizzare una spedizione. Le ragioni sono tantissime tra cui il fatto che gli alpinisti di punta pakistani sono gente che deve lavorare durante l’estate.

Dopo avere avuto l’idea cosa avete fatto?

Siamo tornati a casa con quest’idea in testa e abbiamo passato tutto l’inverno a lavorarci e a ricercare sponsor ed equipaggiamenti poi, in tarda primavera, siamo partiti.

Quella è stata la tua prima volta al K2?

Si, la prima volta al K2 e la prima volta su un Ottomila. Prima di quel momento non l’avevo mai nemmeno visto. A volte, durante le altre esperienza pakistane, mi era balenata alla mente l’idea di fare una corsa su per il Baltoro per vedere questa montagna. Era sicuramente la cosa che mi sarebbe più piaciuta.

 A Concordia l’hai visto per la prima volta…

C’è un momento, nelle ultime poche centinaia di metri che ti separano da Concordia, in cui lui appare come un muro. Una visione. Era quello che vedevo sui libri di geografia quando ero bambino, esattamente quella stessa scena.

 Volevi andare in vetta o solo vederlo?

Quando Agostino mi ha chiesto se volevo andare con loro al K2 perché i ragazzi pakistani mi conoscevano meglio e si fidavano di me ho detto: ok ci penso, ma non pensate che io vada in cima. Vivendo da tanti anni in quest’ambiente ho un’idea di quelli che sono i rischi. Sono un padre e mia figlia aveva sei anni quando ho fatto il K2.

Non è andata così alla fine…

Non è andata così, è andata totalmente in un’altra maniera. (ride) Sono stato influenzato dal clima che si è instaurato sia all’interno della nostra spedizione che con le altre spedizioni presenti al campo base.

Si è lavorato molto bene anche nelle fasi di pulizia. Siamo riusciti a portare giù un sacco di roba, abbiamo pulito fino a campo 3. Un gran lavoro che mi ha portato a dire, quando è stata ora di decidere il da farsi, andiamo, proviamo. Abbiamo portato avanti una bella tattica comune che ci ha permesso di arrivare bene fino a campo 4, di essere assolutamente di nei giorni giusti per andare in cima.

 Poi la vetta…

Un momento pazzesco. Una roba incredibile. Ho solo il rammarico di non essere riuscito ad arrivare in cima con un grande amico che è Simone Origone. Lui purtroppo ha dovuto fare la scelta più difficile che è quella di tornare indietro e rinunciare quando già era a Ottomila e duecento metri. Una scelta durissima da fare in una situazione del genere, ma per la quale gli reputo un grandissimo rispetto perché essere in grado di dire “ok basta non voglio rischiare, non voglio crearvi problemi” è una scelta dura e importante.

 C’è un aneddoto che ti è rimasto particolarmente impresso?

Tra le cose più divertenti potrei raccontare che io e Simone abbiamo girato quattro giorni a Skardu prima di trovare il giusto contenitore per pisciare di notte. Non potevamo prenderlo a caso. Dovevamo trovare un recipiente pratico e comodo e, non posso negarlo, ci ha anche aiutati a scaldarci durante qualche notte passata in alto.

Sappiamo che quel contenitore non è rimasto sul K2…

Certo che no. Il contenitore in questione è tornato a casa nascosto nel mio bagaglio e l’ho regalato a Natale a Simone Origone.

 

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Un commento

  1. C’è qualcosa che risucchia nei Vostri racconti, svuota la mente, ti eleva e ti trasporta. Arricchisce sogni speranze desideri sopiti. Invita a nuova vita. Grazie

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