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K2 ’54, la storia continua

Francesco Saladini, classe 1933, alpinista appassionato di lunghissimo corso, pubblica a cura dell’editore Librati un modesto libro di 81 pagine dal titolo “K2. La storia continua”

Lo si legge tutto d’un fiato e se ne rimane senza, frastornati.

È la storia della spedizione del 1954 al K2, o meglio la storia rianalizzata delle polemiche che quella spedizione ci consegnò insieme ad una splendida “vittoria”. È materia incandescente, nonostante il tempo e molti tentativi, alcuni goffi seppur ammantati di ufficialità, di raccontarla in modo oggettivo e definitivo. Lo sberleffo del titolo contrapposto della relazione dei 3 saggi nominati dal CAI che, al termine del loro lavoro d’indagine “storica”, pretesero di mettere la parola fine a quella vicenda accaduta tra il 30 e il 31 luglio 1954 sul K2, la dice lunga.

Il libro, dimesso nella forma ed esplosivo nel contenuto, ripercorre passo dopo passo, ora dopo ora, le giornate che portarono sulla vetta del K2 Lacedelli e Compagnoni e che videro Bonatti sobbarcarsi il formidabile compito di recuperare e portare le bombole di ossigeno fin sotto il campo 9, dove fu costretto a un difficilissimo bivacco con l’hunza Mahdi.

Saladini si è riletto e ha analizzato con lucidità, non solo storica ma anche alpinistica, come un reporter giudiziario, tutto quanto pubblicato su quella storia, ne ha tratto delle considerazioni e opinioni ed ha avuto il coraggio di scriverle con grande chiarezza.

Alpinismo, ottomila, K2, 1954, Walter Bonatti, Libri
La copertina del volume di Francesco Saladini

Come in ogni indagine che si rispetti c’è un indizio scatenate per Saladini: una “tardiva lettura” gli fa scoprire che la tendina “Super K2” usata dai due della vetta al campo era molto piccola per due, impossibile per contenere 4 persone.
Da lì in poi è un crescendo investigativo che ricostruisce, riposiziona, rimotiva molte delle azioni degli uomini che quel 31 luglio fecero la storia dell’alpinismo. Fino alle conclusioni.

Non c’era nel 1954, non è emerso negli anni successivi e non c’è oggi, alcun dato obbiettivo idoneo a sostenere la tesi di Bonatti che Compagnoni avesse mentito sul motivo dell’impianto a campo 9 sulla dorsale rocciosa del tentativo Wiessner invece che nel raggio di eventuali crolli del grande seracco pensile o sulle cause delle incomprensioni del pomeriggio e della sera del 30 luglio o, e qui insieme con Lacedelli ma senza alcun motivo precisato o plausibile, sul prematuro esaurimento dell’ossigeno supplementare” ed ancora: “Desio ha probabilmente sbagliato nel non riconoscere formalmente nel libro e nel film ufficiali […] l’impegno di Bonatti […] assunto spontaneamente quanto generosamente e forse determinante per il successo della spedizione italiana ( “forse”, di nuovo, perché non è detto che senza, e però senza il loro peso, i due non avrebbero raggiunto la vetta […]”. “Compagnoni ha pesantemente sbagliato nel fornire a Nino Giglio, se davvero è stato lui, le indicazioni che hanno indotto il giornalista a lanciare sospetti gravi e infondati sulle intenzioni e i comportamenti di Bonatti […]. Ma anche se sconvolto dal peso e dal ricordo del durissimo bivacco suo e di Mahdi, un grande dell’alpinismo quale è stato Bonatti avrebbe dato ancora miglior prova di sé evitando di ripetere per decenni, sulla base di illazioni prive d’ogni riscontro obiettivo e di calcoli teorici svolti a partire da dati non provati, l’accusa a Compagnoni d’essere un incallito bugiardo”.

Ce ne è anche per il Club Alpino Italiano e i 3 saggi e il loro “carente intervento”. Il rammarico per gli anni di dura e dolorosa polemica si stempera nella certezza che l’impresa del 1954 resta incontrastata e splendida: quegli italiani, con Lacedelli e Compagnoni, il 31 luglio del 1954 arrivarono sulla vetta del K2.

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16 Commenti

  1. Andare controcorrente è un buon modo per fare notizia e vendere qualche copia in più…

    Credo che la relazione definitiva del CAI non lasci adito a dubbio alcuno su come si siano svolti realmente i fatti… Certamente è stata tardiva purtroppo… Ma finchè Desio era vivo non si poteva certo mettere in discussione le sue tesi… Sarebbe stato come attentare alla verginità della madonna

    Mettere in dubbio il tema dell’esaurimento dell’ossigeno, poi, lo trovo semplicemente ridicolo, dal momento che ci sono le foto che provano che Lacedelli e Compagnoni lo hanno respirato fino in vetta

      1. Inoltre lo stesso Lacedelli ha ammesso nel suo libro che fu Compagnoni a voler spostare la tendina per il campo IX rispetto a quanto pattuito con Bonatti. Direi che il libro in oggetto non ha molto valore, ma mi riservo di leggerlo

    1. Sono parzialmente d’accordo con te. Credo che la ricostruzione di Walter sia assolutamente veritiera e non la metto certo in dubbio, però forse un briciolo di verità c’è anche nella versione di Compagnoni e Lacedelli. A questi forse è davvero terminato l’ossigeno poco sotto la vetta (non tanto prima come hanno affermato, altrimenti si sarebbero liberati dell’inutile peso sino alla cima – ciò che non è avvenuto) e ciò non certo perché Walter aveva consumato l’ossigeno per sopravvivere alla notte, dato che non aveva con sé gli erogatori, ma perché questi potrebbero essere stati difettosi. Riporto un passaggio dell’articolo di Rep pubblicato qualche anno fa, ma che potrebbe davvero essere risolutivo: “lassù non sono arrivate solo le affidabili bombole tedesche blu della Dräger di Lubecca, ma anche quelle italiane della Dalmine, rosse, sulle quali si era deciso di non far conto per l’assalto finale. Nulla di personale, ma Erich Abram, l’alpinista di Bolzano che era il responsabile del deposito di “aria” si era reso conto che perdevano troppo. Mentre quelle tedesche da 220 atmosfere potevano scendere al massimo a 200, le Dalmine si svuotavano fin quasi a metà. Colpa della valvola, semplificata forse troppo per evitare che si ghiacciasse e risparmiare sul peso”.
      Tralasciando il motivo (non da poco eh!) per cui il campo 9 fu spostato più in alto da Compagnoni e Lacedelli, almeno per quanto riguarda l’uso dell’ossigeno i due potrebbero non avere mentito.

  2. …81 pagine di niente di nuovo.
    Al limite un estremo tentativo di alleggerire le colpe di Compagnoni e Desio, ma a questo punto siamo al livello di tifoseria calcistica: io sto con Compagnoni, io sto con Bonatti.
    Io sto con la correttezza, soprattutto in montagna. La relazione dei saggi, è quanto di più equilibrato si possa trovare: non da giudizi soggettivi sull’operato di nessuno. Ristabilisce delle verità oggettive su quote, dislivelli, tempi di ascesa e discesa. Stabilisce una verità attendibile, attraverso il recupero di testimonianze dirette su fatti realmente accaduti e rilegge criticamente la relazione di qualcuno (Desio) che la scalata non riusciva a vederla neanche con il telescopio perché celata dallo sperone Abruzzi……. 300 m di dislivello nell’ultima ora di scalata!!!!
    Teniamo presente che a crederci era rimasto solo Desio.

    1. Certo come no… Infatti erano gli unici 2 membri della spedizione… Chi ha portato loro l’ossigeno (e l’Unza Mahdi che si è pure congelato) non contano nulla per la riuscita dell’impresa giusto? Ma mi faccia il piacere

  3. Da modesto autore del modesto libro mi permetto di osservare che prima di criticarlo si dovrebbe leggerlo.

  4. Grazie Saladini per aver tentato di andare controcorrente rispetto al pensiero unico sul K2 1954. Una storia tutt’altro che finita. Chiedere di rivedere la vicenda non significa mettere in dubbio la versione di Bonatti. E’ la relazione dei “tre saggi” a zoppicare in troppi punti. Zanzi – giacché gli altri due ben poco sono intervenuti sulla relazione ufficiale – non ha mai letto l’intervista di Cenacchi a Lacedelli, o almeno non l’ha tenuta in nessun conto. Una bella scelta per uno che insegnava metodologia della ricerca storica all’università. La storia è ancora in gran parte da scrivere e qualsiasi nuovo intervento è da applaudire.

  5. se il libro è pacato è già un bel passo avanti.
    La vicenda K2 viene troppo spesso letta con un paio di occhiali inefficaci, in cui una lente è fornita dall’alta corte della giustizia alpina e l’altra
    dalla congregazione delle cause dei santi.

  6. Si vergogni? E perché mai? Marco, una zoppìa per tutte? La questione dell’ossigeno. Si continua a sostenere che il libro-intervista di Lacedelli e Cenacchi conferma le tesi di Zanzi, ma così non è. Anzi, Lacedelli ammette che le menzogne della relazione ufficiale sono molte, però su quel punto non ammette revisioni: l’ossigeno è terminato prima che loro due arrivassero in vetta. 200 metri prima? 20? 10? Non importa, ma le bombole non furono sufficienti per raggiungere la vetta. 109Lore più sopra ricorda bene. E la foto di Marshall non dimostra proprio nulla: leggere per credere l’articolo di Mick Conefrey sull’Alpine Journal. Però, prima di scrivere, bisognerebbe aver letto fino in fondo i libri che si citano, non saltabeccando qui e là

  7. Compagnoni, nell’intervista a Nino Giglio del 1964, sostiene che l’ossigeno è terminato 200 mt sotto la vetta e, successivamente, con 19 kg di trespoli sulle spalle hanno percorso un dislivello doppio all’ora senza ossigeno

    Successivamente, Lacedelli, nel libro scritto con Cenacchi nel 2004, sostiene che l’ossigeno sarebbe terminato poco prima della vetta, non 200 mt, visto che a quella quota percorrevano 50/60 mt di dislivello all’ora.

    Anche a voler credere che Lacedelli dica il vero, e me ne guardo bene, visto che è stato zitto per 50 anni… l’ossigeno potrebbe essere terminato, diciamo 20 massimo 30 mt sotto la vetta

    Questo rende il tema dell’ossigeno una questione di “lana caprina” e non sposta i termini della questione: dire 200 mt e poi rettificare 50 anni dopo, facendo intendere che i metri erano 20-30 vuol dire riconoscere di aver mentito spudoratamente proprio sulla questione dell’ossigeno.

  8. Preciso: la “questione di lana caprina” dell’ossigeno è stata sollevata da Bonatti; nel libro del 2004 Lacedelli ricorda che l’ossigeno finì approssimativamente a 60 o 110 metri e non a 20 o 30 metri sotto la cima; il basto portato in vetta con 2 sole bombole pesava circa 12 chili e non 19; Mike Conefrey ha esaminato più ampiamente la questione nel libro “Sulla vetta del mondo”, Newton Compton Editori 2016, euro 12,90.

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