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Paolo Piacentini e il suo atto d’amore per l’Appennino

Spesso ritenute montagne minori, secondarie rispetto alle sorelle alpine, quelle d’Appennino sono il fulcro del nostro Paese. Sono l’anima dell’Italia, la sua spina dorsale. Lo so bene perché l’ho attraversata quell’insidiosa spina all’interno della quale si nasconde un mondo fatto di storie e racconti umani, terreni, mortali. Storie di donne, uomini, bambini. Montanari come ne ho visti pochi sulle Alpi. Gente che sa cosa significa viver la vita dura in un posto dalle enormi potenzialità, che però pare senza speranza.

È questa l’anima d’Appennino che ci racconta Paolo Piacentini, fondatore e presidente Federtrek, nel suo libro “Appennino atto d’Amore”. Paolo è un esperto di cammini e credo non ci possa essere persona migliore di chi prende zaino e scarponi per andare alla scoperta.

 

Un cammino per rilanciare un territorio abbandonato…

Si tratta di un cammino nato qualche anno fa, dalla voglia mia e di un mio amico con cui per anni abbiamo accompagnato persone in escursione sulle Alpi e sugli Appennini. Dopo tanti anni di attività volevamo fare un percorso molto più intimo, volevamo camminare alla scoperta della spina dorsale d’Italia senza una meta precisa. Unica certezza erano partenza e arrivo.

Abbiamo camminato alla scoperta dell’Appennino raccontando questo viandare con l’improvvisazione della scoperta, giorno dopo giorno.

Come rinasce invece il libro?

È un testo che rimane nel cassetto per anni, come racconto intimo.

Solo negli ultimi anni poi, una serie di cause mi hanno finalmente spinto alla pubblicazione.

Quali cause?

Innanzitutto il fatto di essermi occupato di cammino a livello istituzionale e poi il terremoto. Un evento che ho vissuto in prima persona vivendo a Fabriano. Così, quell’intimo racconto, si è trasformato in una storia attuale, riattualizzata nei fatti.

Se dovesse tirare le somme sull’Appennino che hai vissuto?

Ho vissuto e vivo tutt’ora un Appennino complesso. Da una parte sta ritornando la vita, dall’altra continuano invece le strade dell’abbandono.

Continuo a seguire l’attualità dell’Appennino ferito dal terremoto e sono molto preoccupato da quel che sta accadendo sulle montagne marchigiane, umbre e anche laziali. Sono aree in cui sto osservando una grossa difficoltà a imboccare la strada giusta, quella che potrebbe assicurare un futuro a quelle terre.

Cosa pensi debbano fare per il futuro?

La copertina del libro

Credo che dalla tragedia si dovrebbe tirare fuori una nuovo percorso di sviluppo, invece si continua a perseguire una visione che non tiene conto di due elementi: la fragilità di queste terre, dai cambiamenti climatici, al dissesto idrogeologico, e la magnificenza e bellezza dei paesaggi. Si tratta di luoghi richiedono un approccio lento, di conoscenza.

Per il futuro bisognerebbe puntare sulla manutenzione ordinaria del territorio, sulla gestione dei boschi e sulla tutela. Purtroppo però si sta andando nell’altra direzione.

Devo però ammettere che in Appennino si vedono anche segnali positivi come le cooperative di comunità, o i giovani che portano innovazione con il telelavoro da casa oppure in campo agricolo e turistico. Tutti esempi di buona cura e rinascita che però andrebbero messi in rete e sostenuti.

Bisognerebbe anche “attivare” una nuova alleanza città-montagna e città-campagna. Chi va in montagna deve essere consapevole della sua fragilità e deve spingere per la valorizzazione di un turismo ecosostenibile.

Abbiamo tanti esempi negativi, come l’Abetone dove gli alberghi sono ormai in abbandono. E anche la mia Regione, le Marche, dove ancora si pensa a costruire strade montane che penetrano quei territori così fragili. Aree che non andrebbero più toccate e, a dircelo, sono anche i dati economici. I trend spingono verso altre direzioni, dicono che dobbiamo cambiare rotta.

Bisogna che le persone comprendano che dall’Appennino dipendiamo per le risorse, che la sono la montagna a cui tutti apparteniamo.

Perché “Appennino atto d’amore”?

Credo che davanti a un Paese che va alla deriva in termini culturali, davanti a un Paese in cui si assiste a una volgarizzazione della politica, ma non solo, ci sia bisogno di molto amore.

Riscoprire, conoscere, riavvicinarsi al proprio territorio e prendersene cura come facevano i nostri nonni un tempo. Riprendere in mano la gestione del bosco e occuparsi della manutenzione ordinaria. Prendere coscienza di tutto questo, delle necessità del territorio, è un atto d’amore e per farlo bisogna studiare per conoscere a fondo la terra e l’ambiente.

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