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Ricerca scientifica nel Kurdistan turco, una missione impossibile

“Nonostante la situazione politica siamo riusciti a portare a casa ottimi risultati dal punto di vista scientifico” spiega il professor Carlo Alberto Garzonio dell’università di Firenze che, con una piccola spedizione dell’Università di Firenze in collaborazione con il Comitato Scientifico Centrale (CSC) del CAI, stava effettuando campionamenti geologici nell’area del Kurdistan turco.

Si tratta di un lavoro iniziato anni fa dal CAI con una prima spedizione, celebrativa dei 150 anni del sodalizio, organizzata dall’Alpinismo Giovanile a cui hanno partecipato anche la Commissione Medica Centrale e la CCTAM a cui ha fatto seguito una seconda spedizione organizzata dal Comitato Scientifico Centrale (CSC) che ha visto la partecipazione della Commissione Medica e di cinque università italiane tra cui l’Università di Firenze. Spedizione quest’ultima proseguita poi con quella del 2015 organizzata dal CSC e dalle Università di Firenze e dell’Aquila. L’attività di ricerca prosegue tuttora, con una quarta esplorazione che si è svolta nelle ultime settimane di marzo e si è dovuta rapportare con la difficile situazione politica dell’area. Protagonista di queste vicende l’organizzatore della spedizione, il professor Carlo Alberto Garzonio a cui abbiamo fatto qualche domanda per meglio capire gli scopi ultimi di questa ricerca e quali siano le problematiche nel portare avanti le spedizioni.

 

“Si tratta di una ricerca multidisciplinare che spazia su vari argomenti. C’è una componente geomorfologica, una glaciologica, una forse più impegnativa dal punto di vista dei costi sostenuti come dipartimenti di Scienze della Terra di Firenze che riguarda la petrografia e la vulcanologia. L’obiettivo sarebbe quello di ricostruire l’evoluzione del monte Ararat e anche quella dell’attività vulcanica dell’Anatolia. Una storia che si riconnette con i grandi eventi che riguardano l’evoluzione dell’area eurasiatica.

Lavorando sul posto è stato inoltre possibile osservare le emergenze geo-culturali. Intendo soprattutto le grotte del ghiaccio che abbiamo avuto modo di conoscere e misurare. Si tratta di due siti, uno appena scoperto, che rappresentano una situazione particolare di formazioni di ghiaccio in grotta. Non si tratta di grotte carsiche, ma di condotte vulcaniche collassate.”

Cosa intendi con “situazione particolare di formazioni di ghiaccio in grotta”?

Nella grotta Halac Buz Magara, studiata prima nel 2014 e poi in quest’ultima spedizione, in alcuni momenti dell’anno si formano particolare formazioni di ghiaccio che assumono spesso profili a cupole o seni dovuti alla solidificazione delle gocce d’acqua generate per condensazione e precipitazione dal tetto della grotta. Interessante è stato osservare come si sia modificata la morfologia delle forme, da seni ad obelischi. Una peculiarità da studiare.

Probabilmente questo non è l’unico caso di grotte con formazioni particolari di ghiaccio nell’area dell’Ararat. Grazie alla guida locale Burhan Ҫevarun siamo infatti riusciti ad osservare fenomeni simili in una nuova grotta dall’accesso più difficile. Grotte in cui, sempre grazie a Burhan, continueremo il lavoro di analisi e raccolta dati. Un lavoro reso possibile grazie alla strumentazione acquistata con contributo del CSC.

Quali altri studi vorreste portare avanti in quest’area?

Molto interessante sarebbe la possibilità di studiare gli antichi siti armeni e pre-armeni. Luoghi oggi purtroppo tabù, ma già identificati per studi futuri.

Luoghi tabù?

Si, si tratta di un pezzo di storia sottoposto ad un tabù culturale a causa della situazione geopolitica. Al momento è impossibile fare degli studi che in qualche modo avvalorino la storia del popolo armeno o del popolo pre-armeno.

Nei secoli passati il monte Ararat è stato un crocevia di popoli, un volano di congiunzione tra le civiltà. Ora si assiste invece ad uno stop dettato dalla linea politica turca che non vede la storia come qualcosa di importante, centrale nella crescita di un popolo.

Alla fine queste ricerche che stiamo cercando di portare avanti hanno si un’importanza geologica, ma anche storico e culturale. Vuole essere una ricerca il più aperta possibile. Un modo per sviluppare e valorizzare anche la storia e la cultura del popolo.

Quali sono i risultati ottenuti fino ad ora?

Il primo risultato importante riguarda la calotta glaciale dell’Ararat di cui è stato possibile studiare l’evoluzione. In quest’ultima spedizione è stato invece molto importante poter entrare nell’Ahora Gorge, sul versante Est-Nord-Est dell’Ararat, dove si è osservato un sistema glaciale molto più importante di quel che si credeva e ha fornito importanti informazioni sull’assetto del vulcano e sulle lingue glaciali morte.

Oltre a questo la variazione delle forme di ghiaccio nelle grotte ci fa sperare di poter capire le particolari caratteristiche fisiche che portano a queste forme.

Cos’è successo durante la spedizione?

Diciamo che la particolare situazione politica dell’area del Kurdistan turco si è fatta sentire. Già nei primi giorni le notizie in arrivo dai telegiornali non erano certo rassicuranti, parlavano della conquista di Afrin, e anche in città e nei villaggi ai piedi dell’Ararat la situazione non pareva molto tranquilla. Siamo stati avvicinati da un drone militare mentre analizzavamo alcune lapidi armene e poi, più volte siamo stati controllati dai militari. Abbiamo trovato persone decisamente inaspettate anche nell’Ahora Gorge. Il tutto condito con l’ormai classico rumore degli elicotteri militari in continuo movimento.

Nei giorni successi poi tutto è sembrato degenerare, prima la notizia dell’uccisione di due terroristi proprio nell’area del Gungoren, dove si trova la nuova grotta del ghiaccio, e poi l’arresto e l’uccisione in città a Doğubeyazıt di alcuni sospetti terroristi hanno fatto cambiare i piani della spedizione. In realtà abbiamo cercato fino all’ultimo di fare la salita al piccolo Ararat per effettuare alcuni campionamenti in vetta, ma i suggerimenti molto pratici e poco arzigogolati di alcuni militari e la totale assenza di civili nei villaggi di monte ci han fatti ritornare sui nostri passi. La speranza e, in futuro, di poter completare i campionamenti geologici con la vetta del piccolo Ararat.

È necessario continuare la ricerca in quell’area?

Secondo me si. Sarebbe utile posizionare strumenti sui ghiacciai, in quota. Sarebbe necessario continuare il monitoraggio delle grotte del ghiaccio. Interessante sarebbe anche acquisire dei voli aerei a bassa quota, ma questa è una cosa quasi impossibile data l’area in cui andrebbero fatti. Sarebbe utile poter utilizzare i droni per rilevare dettagli e fare campionamenti remoti e non solo per permettere ai militari di controllare i nostri movimenti.

Bello sarebbe anche poter iniziare a studiare i siti archeologici.

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Un commento

  1. Certo che ci vuole del pelo ad andare in questi posti con la situazione “politico-guerriglia” di questi anni….
    Occhio ragazzi che certi personaggi se ne fregano se siete ricercatori, un colpo in testa lo danno senza pensarci su due volte….

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