Alpinismo

Dhaulagiri, il report dell’operazione di recupero di Simone La Terra

Il 30 aprile, la tragica notizia del ritrovamento del corpo senza vita di Simone La Terra a 6100 metri sul Dhaulagiri. Dell’alpinista lombardo si erano persi i contatti dal 28 aprile, le operazioni si ricerca sono state condotte dall’alpinista Alex Gavan, Pawel Michalski, il pilota Nishal ed alcuni sherpa, tra cui Mingma Sherpa.

Di seguito il report dell’operazione, scritto a cura di Gavan:

28 aprile 2018: Alle 11 Simone La Terra e Valdi Kovalewski stanno salendo sulla cresta nord-est del Dhaulagiri, il loro obiettivo è quello di acclimatarsi per un tentativo imminente di vetta senza ossigeno. A 6976 metri, Simone decide di fermarsi e di piantare lì la tenda mentre Valdi sceglie di passare la notte ad una quota più alta per poter affrontare con maggiore sicurezza la cima. Intorno alle 13 Simone chiama con la radio il campo base. Parla con Pawel, io assisto alla conversazione. È nella tenda, stanco e tossisce, ci ha messo due ore per arrivare a quella quota. Il posto dove ha messo la tenda è ripido e stretto ed è attaccato con l’imbracatura alla corda fissa. Dice che i suoi piedi penzolano quasi nel vuoto e per questo lo sgridiamo dicendogli che non è in Yosemite o su qualche altra big wall. Più tardi, alle 17, non riusciamo a metterci in contatto con Simone. Pawel dice di avere una cattiva sensazione, ma non gli diamo tanto peso, in montagna non riuscire a mettesi in contatto è una cosa che può accadere per molte ragioni, non necessariamente cattive.

29 aprile 2018: Dopo aver riflettuto a lungo ed aver guardato le previsioni meteo, alle 3.30 del mattino, io e Pawel iniziamo la nostra scalata verso campo 1. Il nostro piano è fissare campo 2 a 6400 metri il 30 aprile. Buone condizioni e meteo permettendo, vogliamo arrivare il 1 maggio sulla cresta nord-est e passare una notte a 700 metri così da essere pronti per poter tentare la vetta senza ossigeno, come abbiamo sempre fatto. Abbiamo impiegato un bel po’ di tempo per arrivare al campo a 5700 metri. Alle 10 del mattino, una alpinista spagnola scenda da campo 2 e la sento attraverso la tenda: “Pawel, credo che Simone sia morto”. Mi si contrae lo stomaco, ho un tuffo al cuore ed ascolto la conversazione. Qualche minuto dopo, arriva Valdi e spiega cosa è successo. Il giorno precedente lui ha continuato a salire fino al campo 3 basso, 7200 metri, un luogo desolato e poco utilizzato. Il vento ha iniziato ad aumentare, tanto che non riusciva a posizionare la propria tenda, così si è ancorato con l’imbragatura ad una vite da ghiaccio fissata alla parete e la tenda con molti paletti da neve. Dopo mezz’ora il vento rompe la tenda e si rende conto di dover scendere. Alle 16 raggiunge Simone e trova rifugio. Valdi è assicurato alla corda fissa e Simone è all’interno della tenda mentre hanno una breve conversazione su come procedere. Pochi minuti dopo, mentre Simone sta sistemando l’interno per far posto a Valdi, che sta togliendo la neve dall’ingresso, un’improvvisa folata di vento colpisce la tenda che si gonfia come la vela di una nave. In una frazione di secondo la tenda vola sulla cresta, Simone è dentro. “No, no, no” le ultime sue parole prima di scomparire nel vuoto e dalla vista di Valdi. Non c’è stato nemmeno il tempo per Valdi di afferrare la tenda per evitare la caduta. Scioccato, rimane a valutare la situazione per qualche minuto. Pensa di scendere sulla linea di caduta di Simone, ma il vento e la neve sollevata dalla raffica rende l’operazione troppo pericolosa. Doveva scendere a campo 2, ma le corde fisse erano seppellite dalla neve. Ci ha impiegato sei ore, invece della canonica ora e mezza. Ha informato quattro scalatori spagnoli incontrati a campo 2 dell’incidente e due di loro hanno informato il campo base. Passa la notte prima di incontrare Valdi a campo 1 visibilmente scosso.

Realisticamente, le possibilità di sopravvivere ad un incidente del genere sono davvero poche, ma nella storia himalayana ci sono alcuni casi. Non potevamo accettare la morte di Simone come un dato: dovevamo fare tutto il possibile per salvarlo o per trovare prove certe della sua morte. Il meteo era critico visto che le previsioni delle ultime tre settimane era nebbia e neve dopo le 12, senza variare. Ci abbiamo messo 15 minuti per chiedere un elicottero. Avevo lasciato il mio satellitare al campo base. Pawel ha chiamato l’organizzazione della spedizione e gli ha chiesto di fornirci un numero. Ho usato i miei contatti di lunga data in Nepal ed un elicottero è partito da Kathmandu dopo 15 minuti. Un totale di 30 minuti. I miei amici e fratelli Dawa e Mingma Sherpa, manager di Seven Summit e di una compagnia di trasporto aereo, si sono attivati immediatamente per aiutare. Mingma stava venendo personalmente al campo base. Paola, la moglie di Simone, è stata informata dell’incidente e le è stato chiesto di coordinarsi in Italia con l’assicurazione e di tenere i contatti con i ragazzi dell’elicottero. Il maltempo è arrivato e l’elicottero ha dovuto trascorre la notte al campo base. Una notte lunga, insonne e tesa per me e Pawel a campo 1, a attendere, mantenendo i contatti continui con Dawa, Mingma e Paola.

30 aprile 2018: Il piano era che alle 6 del mattino seguente l’elicottero arrivasse a prendermi dal campo 1 per iniziare la ricerca dall’ultimo punto gps noto di Simone e da lì seguire la linea di caduta fino a trovarlo. Quando è arrivata l’ora, per la prima volta nelle ultime settimane il tempo non era buono, la prima dannata mattina con scarsa visibilità e senza possibilità di volare. Abbiamo mantenuto i contatti con Mingma e quando la visibilità è migliorata abbiamo sentito l’elicottero. Mi sono arrampicato con ansia sopra campo 1, dove doveva venirmi a prendermi, ma è passato oltre e si è diretto verso la parete che ha iniziato a sorvolare. Ho cercato di non preoccuparmi ed ho pensato che fosse una decisione dell’ultimo minuto di cui non ero a conoscenza, tutto accade così in fretta nella frenesia di queste situazioni. Dopo alcuni minuti abbiamo visto l’elicottero in lontananza, volando in cerchio, poi insistentemente su un punto. Abbiamo avvistato due piccoli punti neri (più tardi ho scoperto che erano Mike Sherpa, Mingma Sherpa ed una altro Mingma), appena visibili, saltare dall’elicottero e recuperare quella che sembrava una lunga, enorme “cosa”; poi è rivolato al campo base. Per alcuni momenti ho pensato che avessero trovato Simone e basta. Non riuscivo ad avere conferma dal satellitare da Mingma. Pochi minuti dopo abbiamo nuovamente l’elicottero, questa volta andare nella parte sbagliata della montana ed ho iniziato ad essere ansioso che si stesse sprecando carburante. Ho finalmente ristabilito i contatti con Mingma e gli ho chiesto di attenersi al piano iniziale. Finalmente è arrivato l’elicottero, mi ci è voluto un sacco si tempo per entrare. Ho diretto il capitano Nishal verso il punto sulla cresta dove Simone è stato visto l’ultima volta. Siamo arrivati a 7000m (un’altezza limite per la capacità della macchina) e da lassù abbiamo iniziato a scendere lentamente sorvolando la linea di caduta. A circa 6000 metri, in una zona crepacciata, abbiamo visto un piccolo oggetto rosso, poi qualcosa che sembrava far parte della tuta di Simone. Nishal mi ha fatto scendere ed ho scoperto che era effettivamente la sua tuta, ma non c’era Simone. Abbiamo ripreso le ricerche e il pilota mi ha chiesto di controllare uno specifico punto nero appena visibile dalla neve. Era sotto un enorme seracco, in una zona stracolma di detriti. Ci avviciniamo e ci accorgiamo che era Simone. Ho aperto il portellone, ho fatto alcune foto per la famiglia. Siamo rientrati al campo base per rifornire il carburante e riorganizzarci e decedere la nostra nuova linea d’azione. Ho chiamato Paola per chiederle consiglio. Il luogo dove era Simone era molto pericolo per i soccorritori e l’operazione da salvataggio si era trasformata in un recupero corpo.

Mi ha chiesto di darle un’ora per parlare con i genitori, le ho risposto che aveva 5 minuti. Nel frattempo con Mingma e Nishal abbiamo valutato i rischi per me, l’elicottero ed il pilota. La finestra si stava però chiudendo, quindi non abbiamo aspettato la risposta di Paola e siamo tornati sul posto. Era Simone dopotutto. Abbiamo portato una pala, un’ascia da ghiaccio, ma non una corda perchè il pilota non si sentiva a suo agio con l’idea della long line e preferiva che si caricasse la salma all’interno dell’abitacolo. L’elicottero è stato svuotato di tutto per poter agire a quell’altitudine. Abbiamo raggiunto di nuovo il luogo, siamo scesi dall’elicottero. In quell’occasione ho riscoperto la preghiera: il seracco sopra di noi era così instabile e minaccioso. Ho detto “Dio ti prego, non ora”. Inoltre le turbolenze dell’elicottero facevano aumentare il rischio di crolli e che del ghiaccio potesse cadere sulle eliche. Ci è voluta una quantità di energia enorme per far uscire Simone dal ghiaccio e della neve che lo avevano imprigionato. Abbiamo richiamato l’elicottero che stava volando sopra di noi. Io e Mingma abbiamo fatto uno sforzo infernale per tentare di far entrare nella cabina Simone ed è stato inutile. Non riuscivamo a farlo. Più passava il tempo più la situazione diventava disperata. Il rischio che il seracco crollasse a causa dell’elicottero diventata sempre maggiore. Ho fatto segno al pilota di allontanarsi. Ho preso dall’imbragatura di Mingma un cordino ed un moschettone e l’ho legato all’imbragatura di Simone ed ho fatto segno all’elicottero di avvicinarsi. Ho legato Simone all’elicottero e sono volati via. Mingma mi ha implorato di cercare un altro luogo più sicuro per attendere l’elicottero, così siamo scesi in diagonale. Ho chiamato per radio Pawel e lo informato. Nishal è arrivato a prenderci e siamo atterrati tutti a campo base.

Simone sapeva quello che stava facendo ed amava molto le montagne. Gli davano energia. Gli hanno dato un framework nella sua ricerca di un significato. Lo hanno riempito di vita.

Stranamente quando io e Pawel abbiamo dato l’allarme, nessuno nel campo base ha agito in alcun modo, anche se le informazioni erano note dal 28 aprile. Ripensando a quello che è successo, probabilmente nulla sarebbe cambiato per Simone, ma solo che l’operazione si ricerca e salvataggio sarebbe stata possibile un giorno prima, il 29 aprile, oltre al fatto che la mia fiducia nell’umanità sarebbe diventata più alta.

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Un commento

  1. Un plauso ai soccorritori che, nonostante i pericoli elevati, non hanno esitato per recuperare il corpo. Spero per loro in un riconoscimento!

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