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Greenland, dove i ghiacci resistono. Il racconto di Leonardo Bizzaro

Nel giugno scorso uno tsunami alto 90 metri ha colpito le coste groenlandesi. Un’onda generata da un distacco roccioso franato in mare per effetto del cambiamento climatico secondo i ricercatori del GEUS, l’istituto geologico che fa capo al ministero dell’energia e del clima danese.

Pochi mesi dopo quest’evento il giornalista torinese di Repubblica ed esperto di montagna, Leonardo Bizzaro, è andato in Groenlandia per realizzare il suo sogno di ragazzino. 600 chilometri, 28 giorni, dalle dodici alle 15 ore di marcia trainando slitte pesanti svariati chili e tutto il desiderio di cimentarsi in un ambiente impervio e difficoltoso come i ghiacci dei vichinghi. Ma non solo, oltre a questo c’era anche la voglia di raccontare e testimoniare i cambiamenti che stanno avvenendo nella terra di Erik il Rosso.

In realtà, come ho anche scritto con una certa sorpresa al ritorno, dei cambiamenti climatici ci siamo accorti poco. Per la prima volta in 20 anni ci sono state delle anomalie per cui ci siamo ritrovati con temperature fino a 35, 40 gradi sotto zero soprattutto nella parte centrale dove soffiano i venti catabatici. Correnti a 80, 90 chilometri orari che abbassano ulteriormente le temperature.

 

Un vantaggio?

Queste condizioni di freddo ci hanno permesso di velocizzare abbastanza il cammino perché abbiamo trovato i canali di fusione chiusi e li abbiamo potuti seguire. Nella spedizione dell’anno precedente le condizioni erano molto diverse, i canali erano aperti e si andava a mollo.

In quasi tutti i racconti di chi ha attraversato la Groenlandia si legge che nel tratto finale della traversata affondavano quasi fino alla vita. Noi invece abbiamo avuto la fortuna di trovarci una granita su cui si galleggiava, o al massimo si affondava fino alle caviglie o poco sopra.

Oltre alle vostre osservazioni empiriche ci sono delle prove scientifiche di questa anomalia climatica?

Certo. Ci sono i rilievi satellitari del National Snow and Ice Data Center dell’università americana della Georgia che hanno dimostrato, quasi fino agli ultimi giorni di settembre, un notevole cambiamento climatico rispetto agli altri anni. Hanno osservato una fusione della massa glaciale così lenta come mai era accaduto dal 2009. Si ipotizzava addirittura un ingrossamento per l’anno 2017, fenomeno che poi non è avvenuto probabilmente a causa dell’immediato cambiamento dal 25 settembre in poi. Fino al 20 di settembre però tutti i dati davano un cambiamento climatico positivo, per l’ambiente, e negativo, per chi invece, avrebbe dovuto subirlo (ride).

Si conoscono le ragioni di questo?

Il motivo rimane abbastanza ignoto. Ipotizzavano una diminuzione dei grandi incendi nelle pianure canadesi. Fenomeni che negli anni passati portavano polveri sulla superficie del ghiaccio riducendone quindi la riflettività e aumentandone la velocità di fusione. (fenomeno largamente osservato nel 2014 dai ricercatori del Geological Survey of Denmark and Greenland, nda)

Avete marciato per 28 giorni in un ambiente che può offrire panorami spettacolari…

In realtà non abbiamo visto quasi nulla. Spesso nemmeno la distesa bianca. Il whiteout ci ha accompagnati per buona parte del tempo. Ci muovevamo con la bussola appesa al petto e uno che si immolava per una o due ore andando davanti a guidare il gruppo seguendo una rotta ovest, nord-ovest senza rendersi conto di quel che c’era attorno. L’unica cosa riconoscibile era la punta degli sci.

C’erano poi degli istanti in cui il cielo si apriva, lasciando spazio ad uno spettacolo unico. Il sole generava giochi di luce spettacolari che si fondevano quasi con le forme affascinanti del ghiaccio modellato dal vento. Era un ambiente molto suggestivo in cui a volte faceva capolino qualche zigolo delle nevi. Li trovavamo anche a chilometri dalla costa, singoli o in stormi di tre o quattro uccelli. Trillavano e poi passavano tutta velocità nel loro volo a zig zag simile a quello delle farfalle.

La visione più impressionante che hai avuto?

La DEW Line. Una visione quasi lunare, da fantascienza, che ti appare a circa dieci giorni dalla fine della traversata. Questa struttura metallica ancora perfettamente conservata sia all’interno che all’esterno. L’enorme sfera, sugli edifici di base, dentro cui si muoveva un radar ancora presente e ancora ruotabile a spinta. Un luogo unico, dove tra l’altro hanno anche girato alcune scene di Star Wars, che ti vedi davanti per un giorno intero.

Un clima alienante…

Credo che una solitaria in un ambiente del genere sia abbastanza folle.

A contare è però forse più l’idea che hai dell’impresa, ciò che ti spinge a realizzarla. Questa era una traversata che mi ero ripromesso di fare da tempo, da quando avevo quattro o cinque anni. Avevo letto dell’impresa di Nansen e questo aveva accesso il desiderio che poi sono riuscito a realizzare a quasi sessanta anche se, in realtà, sarei già dovuto partire nel 2016. In quell’anno però sono stato fermato da problemi cardiaci, poi rivelatisi inesistenti.

In Groenlandia operano molte associazioni ambientaliste, credi che sia una lotta dei locali o di chi non vive quelle terre?

Io temo che sia più una battaglia di chi non vive quelle terre. È un fenomeno di cui ti rendo conto anche in Norvegia, praticando attività outdoor. Posti dove, non dico che si naturale, ma in cui può capitare che trovandosi di fronte un orso con cattive intenzioni si tirino fuori i fucili per spaventarlo prima e sparargli poi, per salvarsi la vita. Ovviamente farlo per puro sport, come spesso fanno i norvegesi, è ben diverso da quello che fanno gli Inuit sulle coste groenlandesi.

Quali sono le condizioni di vita del popolo Inuit?

I racconti di etilismo, di suicidio, di vita senza prospettiva sono veri fino ad un certo punto. Oggi la Groenlandia è un posto in cui, anche grazie a figure come quella di Robert Peroni, si sta iniziando a mettere su strutture ricettive, ristoranti, luoghi per turisti e un servizio di taxi gestito dai danesi ma che per forza di cose offre lavoro anche ai locali. Nonostante questo mondo per turisti però è chiaro che le vecchie attività di caccia e pesca sono fondamentali per la loro sopravvivenza.

Immaginare di non poter più cacciare le foche o che l’orso bianco non possa più essere ucciso, oppure che le balene siano animali totalmente protetti per gli Inuit è qualcosa di strano e difficilmente concepibile. Credo che siano ben pochi quelli che prendono sul serio i diktat di Greenpeace. Nessuno nega il lavoro di educazione al rispetto della natura fatto dalle grandi associazioni ambientaliste, forse però un po’ di integralismo in meno potrebbe aiutare ad essere più accettati e meno presi in giro dalla popolazione locale.

Una spedizione in un ambiente duro con un piccolo sollazzo, una bottiglia di Cognac…

Credo che trattarsi bene ogni tanto sia indispensabile, anche in spedizione. Per trattarsi bene intendo dalle cose indispensabili come il sacco a pelo, fino alle piccole cose come la bottiglia di Cognac o la frutta secca. Sono particolari, comodità utili a guardare avanti con positività, con più sicurezze e più tranquillità. Poi, ognuno di noi vede queste sicurezze in qualcosa di diverso. I miei amici norvegesi preferirebbero due panetti di burro al posto del Cognac o, meglio, due panetti di burro e il Cognac. Io, in spedizione, non saprei cosa farmene di due panetti di burro.

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