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CNR: l’Artico si riscalda più del resto del pianeta

L’Artico, un luogo fragile e cruciale per la Terra, si sta riscaldando in modo molto maggiore di quanto avvenga nel resto del pianeta. In tale regione molti processi legati al cambiamento climatico possono essere amplificati. Ad esempio, il ritiro dei ghiacci causato dal riscaldamento causa ulteriore riscaldamento perché riduce l’albedo (la capacità delle superfici “bianche” di riflettere la radiazione solare), il riscaldamento della colonna d’acqua in assenza di ghiaccio estivo porta allo scioglimento del fondale marino perennemente ghiacciato (permafrost), con la possibilità che il metano intrappolato nei fondali marini possa essere ceduto all’atmosfera, conseguente aumento di concentrazione di questo gas serra e ulteriore riscaldamento del pianeta.

La ricerca scientifica italiana in Artico contribuisce agli studi internazionali e interdisciplinari per aumentare la conoscenza dei cambiamenti climatici”, afferma il presidente del Cnr Inguscio. “Il fine è informare i policy maker, la comunità scientifica, le organizzazioni internazionali, le singole persone e, al tempo stesso, collaborare a mitigarne gli impatti e consentire una gestione sostenibile degli ecosistemi naturali e dell’attività umana nella regione”.

Allo stato attuale, l’attività del Cnr nella Stazione artica si esplica attraverso oltre 20 progetti di ricerca, concernenti fisica dell’atmosfera, oceanografia e biologia marina, geologia e geofisica, indagini sugli ecosistemi e sul paleoclima. Ecco due risultati della ricerca su questi complessi e cruciali aspetti: il maggiore riscaldamento in Artico rispetto a quello globale, come osservato dal CNR alle Svalbard; il permafrost dell’Artico libera gas serra in atmosfera e accelera il riscaldamento globale. 

In sintesi, secondo quanto rilavato nel sito osservativo integrato CNR alle Svalbard, la temperatura media in Artico cresce più velocemente che nel resto del pianeta e nei fiordi essa cresce più velocemente che nel resto dell’Artico. “Tutte le stagioni registrano un cambiamento ma è l’inverno che sta registrando il riscaldamento più rapido” ha spiegato Leonardo Langone dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr). I fiordi sono un elemento molto comune del sistema artico, solo la Norvegia ne conta più di mille. Quello che si capisce nel Kongsfjorden alle Isole Svalbard può essere applicato ad altri contesti analoghi, come per esempio in Groenlandia e nel Nord America.

Un lavoro condotto in collaborazione tra il CNR e l’Università di Stoccolma, recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications, riguarda invece lo scioglimento del permafrost siberiano. Il permafrost terrestre contiene circa 1.500 miliardi di tonnellate di carbonio organico, essenzialmente resti di biomassa vegetale. Lo scioglimento del permafrost causa pertanto la riattivazione di questa biomassa che determina per via batterica la produzione di gas serra come metano e anidride carbonica (CO2). “Lo studio pubblicato su Nature Communications si concentra sul permafrost scaricato in mare dai fiumi artici. Precedenti studi hanno evidenziato come le concentrazioni di carbonio organico proveniente dalla mobilizzazione del permafrost, lungo le piattaforme artiche, diminuiscano progressivamente seguendo il trasporto delle correnti. Mentre esiste largo consenso riguardo al fatto che questa diminuzione sia legata a una degradazione batterica, con produzione di gas serra, meno chiaro è il tasso con cui il permafrost viene degradato” spiega Tommaso Tesi dell’Ismar-Cnr. 

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