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Sincerità ed etica, le qualità essenziali per un fotografo secondo Stefano Unterthiner

Qualche settimana fa il fotografonaturalista Stefano Unterthiner è stato protagonista di una serata intitolata This is my truth. “Una campagna promossa da Epson per scoprire cosa si nasconde dietro ad una fotografia” ci spiega il fotografo valdostano. Ma anche, per noi, l’occasione di fare quattro chiacchiere con il naturalista e domandargli: qual è la tua verità?

Quando però mi stata fatta questa domanda per la campagna ho dato una risposta abbastanza laconica. Ho spiegato che secondo me la verità arriva semplicemente dalla sincerità. Credo quindi che bisogna essere sinceri con la fotografia. Anzi, credo che per un fotografo la cosa ancora più importante sia l’etica.”

Whooper swan (Cygnus cygnus). Japan, Hokkaido. Whooper swan on a frozen lake. February 2010. @ Stefano Unterthiner

La fotografia è uno strumento sincero?

Secondo me no perché permette di dire cose e magari di toglierne altre. Noi fotografi non raccontiamo tutto quel che c’è attorno a noi, ma solo quel che abbiamo di fronte.

Nel mio campo specifico però, nella fotografia naturalistica, è importante la serietà e l’attendibilità scientifica di quel che documentiamo. Nel mio caso si tratta di storie di conservazione legate alla ricerca. In questi “racconti” è bene essere precisi e accurati nell’interpretare bene il comportamento animale.

Hai girato il mondo come fotografo, cosa ti ha colpito di più? Qual è stata l’immagine più significativa di questa Terra?

È difficile trovare un’immagine, sono tante. Alcune vengono dimenticate e si crea quasi un’immagine d’insieme.

La mia percezione, dopo aver girato il mondo, è che nonostante il lavoro di divulgazione non ci sia ancora la consapevolezza che si dovrebbe avere un maggior rispetto verso la natura. Dopo tanti viaggi, soprattutto nelle aree del Sud-Est Asiatico, ho visto il mondo cambiare in peggio. Ho visto, negli ultimi venti anni, una decrescita delle aree selvagge, una diminuzione della fauna a livello planetario. Vedo che si va ancora verso la direzione sbagliata nonostante il mio lavoro e quello di tanti altri.

Sulawesi crested black macaque (Macaca nigra). @ Stefano Unterthiner

Nei Paesi sviluppati, come in Europa, c’è una ripresa dell’ambiente, stanno ritornando le foreste e gli animali, come il gipeto sulle Alpi, la lince, l’orso o il lupo. In altri invece, dove per altro c’è la maggior diversità, dove per la necessità di aumentare il livello di vivibilità della gente si fa affidamento al mondo capitalistico si va verso un progressivo degrado della natura. E purtroppo succede proprio in quelle aree del Pianeta in cui la natura ha molto più bisogno di essere protetta. Se dovessi valutare tutto l’insieme più che vedere un’immagine vedo una difficoltà della società di mettere l’ambiente al centro della discussione.

Alpine chamois (Rupicapra rupicapra) and Gran Paradiso Mt. Valsavarenche, Gran Paradiso National Park, Valle d’Aosta, Italy. @ Stefano Unterthiner

 

Dopo così tanti anni di professione trovi ancora spunti sulle tue montagne, dove tutto è iniziato?

Le mie montagne sono state spunto fino a qualche anno fa. Anni in cui ho portato avanti un grosso incarico per conto del National Geographic. Un progetto dedicato alle montagne di casa in cui ho avuto occasione di riscoprirle. Erano passati tanti anni dall’ultima volta in cui ho lavorato in montagna e tornarci per “Il sentiero perduto” è stato piacevole.

Oggi faccio però fatica ad uscire con la macchina e basta. Ho bisogno di avere un progetto su cui lavorare. La fotografia per me non è l’immagine e basta, oggi è diventata una storia da raccontare. Ho bisogno di una storia, di un progetto su cui concentrarmi. Solo così torna l’energia e la passione del ragazzo.

Ci parli delle tue montagne? Le hai viste cambiare nel corso del tempo?

Foto @ Stefano Unterthiner

Io posso parlare delle montagne valdostane, quelle che conosco di più e posso dire che qui persiste ancora l’antiquata visione della montagna dello sci, del divertimento. Non dico che non sia giusto, lo era soprattutto in passato quando gli impianti hanno rappresentato sviluppo per la montagna. Hanno fatto cambiare l’economia e la storia della Valle d’Aosta. Ora però manca una cultura e una visione per poter trainare queste valli verso un futuro diverso. Qui purtroppo i politici proseguono sulla scia delle idee degli anni Settanta e non vedono il futuro di una regione che dovrebbe puntare su una qualità turistica diversa, su una qualità turistica che dovrebbe rappresentare il futuro.

Che significato hanno per te le terre alte?

Per me rappresentano una natura selvaggia, la più selvaggia. Se uno la va a cercare la trova ancora. Sta lontana dalle piste, da quella montagna sacrificata.

È facile perdersi in un bosco e ritrovare quel contatto con la natura. Basta anche solo aprire la finestra di casa e sentire l’aria, vedere le cime, sentire il richiamo di qualche animale.

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