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La montagna, terapia per chi è “condannato alla cecità”

Da sempre appassionato di montagna e cammino quando ha 16 anni gli viene diagnosticata la sindrome di Usher, una patologia congenita che provoca una sordità alla nascita associata ad una graduale perdita della vista a causa della retinite pigmentosa. La passione per il mondo e per la natura però continua a crescere e così, Dario Sorgato, finiti gli studi universitari parte per un viaggio in Australia e Nuova Zelanda da cui nascerà il libro “Un anno in otto ore”. Tempo dopo si cimenterà invece nel Cammino di Santiago e poi ancora in una traversata oceanica da Città del Capo a L’Avana per arrivare fino alle grandi montagne della terra, come l’Everest, grazie alla campagna di sensibilizzazione Yellow the world.

Un progetto che prende avvio dopo un workshop che tenutosi a Berlino nel 2013. In quell’occasione si era cercato di identificare le caratteristiche in grado di rendere una città più o meno adatta agli ipovedenti e così nato Yellow the world. Una campagna facilmente traducibile in ‘coloriamo il mondo di giallo’, il gesto più semplice che si possa fare per rendere le città più accessibili agli ipovedenti. Il giallo è infatti il colore che vedono meglio. Se colorassimo di giallo tutti i bordi dei gradini e i pali eviteremmo di andarci contro, rendendo la città più accessibile”. Accessibile è però un termine che può assumere più declinazioni e così ecco che diventa sinonimo di raggiungibile “per questo sono andato ricerca di altri luoghi che potessero essere raggiungibili dagli ipovedenti”.

 

È in questo momento che ti sei approcciato alla montagna?

Si. La montagna è sempre stata una mia grande passione per cui ho pensato di abbinare le due cose, cercando di dimostrare che tutto può essere accessibile, soprattutto agli ipovedenti. Tutti i percorsi esterni a quelli urbani possono diventare luoghi per ipovedenti, non solo la montagna. Un giorno, ad esempio, potrei decidere di fare un percorso in canoa.

Per ora però proseguo con la mia passione per la montagna. Credo che la natura offerta dalla montagna sia una forma di terapia per chi vive un trauma come quello di essere condannati alla cecità.

Condannati alla cecità?

Con la retinite pigmentosa sei condannato al buio. Un giorno ti sveglierai cieco, non potrai più godere della natura e della bellezza dei paesaggi.

Camminare è bello sia per poter godere appieno dell’ambiente finché potrò farlo, ma anche è soprattutto perché è una forma di meditazione. È una forma di terapia, per questo cerco di trasmettere questa passione a chi ha difficoltà visive.

Qual è stato il tuo primo progetto in montagna?

È stato l’Everest. Sono partito dal massimo con il trek al campo base dell’Everest per cercare di trasmettere un messaggio forte: questo si può fare. Dopo sono venute altre esperienze più piccole come la camminata tra Bologna e Firenze

D’altronde sono sempre partito dal massino, anche quando ho preso una barca a vela e come prima esperienza ho fatto una traversata oceanica.

Che progetti hai per il futuro?

Il mio desiderio è di potermi dedicare appieno alle attività inerenti la mia associazione NoisyVision ONLUS.

Ci stai riuscendo?

Per il momento è passione, volontariato. Ma voglio andare avanti, vorrei colorare di giallo altri cammini. Ormai la Via degli Dei si può considerare gialle grazie anche ad un tour operator che, dopo la nostra esperienza, ha deciso di offrirci supporto logistico. Sarebbe bello riuscire a fare una cosa del genere per la Via Francigena, per il cammino di Francesco o per il selvaggio blu.

Vorrei anche, come dicevo prima, aggiungere altre avventure, fare percorsi in canoa o andare alla scoperta della jungla.

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