Rifugi

Luca Mazzoleni: sfogo di un rifugista appenninico

Foto di Biagio Mengoli

Da trent’anni quasi gestisce il rifugio Franchetti al Gran Sasso d’Italia. Lo fa con amore e passione, ma gestire un rifugio non è la vita poetica che molti si aspettano, non è godersi le albe e i tramonti sulle cime delle montagne. Spesso, nei giorni di maggior affluenza, nemmeno riesci a vederle le montagne tanta è la mole di lavoro da sbrigare. Ma lasciamo che a raccontarci tutto questo sia il rifugista da una vita, Luca Mazzoleni.

Prima del Franchetti hai gestito altri rifugi?

Ho iniziato con il Duca degli Abruzzi che si trova al lato opposto del Gran Sasso, sul versante aquilano, rispetto al Franchetti. La prima richiesta per averlo in gestione l’ho mandata a 17 anni ma, vista l’età, non è stata presa in considerazione. Ci ho allora riprovato l’anno dopo e la richiesta fu esaudita.

Come mai hai voluto un rifugio in gestione così giovane?

Fondamentalmente tutto nasce dalla non volontà di continuare ad andare a scuola. Non andavo bene e, per dirla tutta, ho passato l’ultimo anno di liceo appoggiato al termosifone chiedendomi cosa fare dopo. L’unica certezza era la passione per la montagna, ero anche socio CAI ormai da anni e così, finita la scuola, sono riuscito ad averlo in gestione.
Sono entrato al Duca nell’82 che era un rudere. Non fu semplice, ma pian piano ci siamo fatti strada e l’ho portato avanti fino all’87.

Poi?

Rifugio Franchetti in invernale. Foto @ Luca Mazzoleni

Nell’88 si liberò la gestione del Franchetti e lo chiesi. Me lo affidarono e , ormai da allora sono passati quasi trent’anni.

Tutto un altro rifugio?

Decisamente, al Duca portavamo l’acqua su a spalla anche per lavare i piatti. Quando sono entrato al Franchetti c’era già una sorgente e un lavandino per lavare i piatti, però era in condizioni pessime. Ci sono voluti anni per renderlo vivibile.

Di certo non è un rifugio comodissimo perché non ha le docce e ha il bagno fuori, sta a venti metri dal rifugio però per l’anno prossimo è già stato approvato e finanziato dalla Regione Abruzzo un bando per la realizzazione di servizi igienici più comodi al Franchetti con anche, si spera, le docce.

A proposito di lavori di adeguamento del rifugio, secondo te hanno senso le normative di valle in un rifugio?

Apertura invernale

In parte no. Spesso ti portano alla chiusura dei rifugi. In un rifugio come in Franchetti, con 23 posti letto, non c’è assolutamente la cubatura che c’è in un albergo e non avrebbe senso imporre le stesse regole. Infatti ci sono poi state delle deroghe. Nel caso specifico del Franchetti, ad esempio, non devo mettere la porta antipanico perché se nevica richiamo di rimanere bloccati dentro.

Ci sono invece le norme sanitarie che vanno applicate, ma bisogna poi ricordarsi del luogo in cui ci si trova. Per poter applicare tutte le norme bisognerebbe aumentare tantissimo i costi oppure, nel caso più sciagurato, chiudere i rifugi.

Chiudere i rifugi?

Spesso ci troviamo a lavorare in situazioni emergenza e, messi alle strette, dopo un po’ ci arrendiamo.
Porto il mio esempio personale con il Franchetti in cui da qualche anno a questa parte nel mese di agosto mi trovo a dover sopportare un carico di lavoro molto più alto di quello che la struttura e il personale può sopportare. A questo si aggiunge che non ho il posto fisico in cui alloggiare altro personale aggiuntivo e, ovviamente non posso e non voglio allargare il rifugio.

Non dovreste essere contenti di un maggior afflusso?

Certamente, se fossi un ristorante in cui apro la cucina dalle 11 alle 15 io però sono un rifugio e devo poter sempre dar da mangiare a chi lo chiede e l’eccesso di frequentazione del mese di agosto ci mette in crisi portandoci ad arrivare a fine stagione morti. Questa cosa accade in molti rifugi.

Amo questo lavoro, ma comincio a temere davvero il mese di agosto. Non puoi fare il numero chiuso, ma non riusciamo davvero a sostenere questo ritmo. Sembra assurda come cosa da dire perché, come giustamente avete detto, dovrei essere contento di avere più gente, ma ci sono dei limiti che ti fanno passare la voglia.

Se potessi, rinunciando anche ai soldi, lavorerei solo a giugno, luglio e settembre. Non solo per la folla, ma anche per la qualità della gente. Agosto è un mese che non finisce mai. Ho avuto anche persone salite al rifugio con il carrellino con le rotelle per fare la spesa, quando l’ho visto sono rimasto allibito.

Cosa vorresti vedere in un rifugio di montagna perfetto?

Dipende. Un tempo ti avrei detto un Franchetti più comodo e meno affollato ad agosto. Ora ti direi un rifugio dove riesci ad avere più dialogo con le persone, com’è anche qui, ma non ad agosto. Un luogo dove le persone si trovano come a casa loro.

Il Franchetti sommerso

Pensi che gestire un rifugio in Appennino sia diverso dal farlo sulle Alpi?

È completamente uguale in quanto a mentalità e soluzione dei problemi. Anche il pubblico è lo stesso.

È invece completamente diverso per quanto riguarda il numero e la politica. Noi siamo soli. Siamo abbandonati dalle amministrazioni e dalla politica. Adesso abbiamo ottenuto un finanziamento della Regione grazie ad un’amministrazione di cui fanno parte persone appassionate di montagna, che sanno quanto vale la montagna. Prima eravamo quasi del tutto ignorati. Abbiamo anche provato a fare un’associazione, ma eravamo davvero pochi. L’associazione esiste ancora ma saranno due anni che non ci riuniamo. Sulle Alpi c’è tutto un altro interesse.

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Un commento

  1. Ho conosciuto Luca Mazzoleni al Franchetti tantissimi anni fa, durante un corso di alpinismo invernale con la guida ahimè scomparsa Cristiano Delisi, Luca è un grande nella gestione dei Rifugi in Appennino.
    Ora che sto gestendo da quasi quattro anni (da volontario) i quattro stazzi di Opi nel Parco Nazionale d’Abruzzo so perfettamente cosa vuol dire trasportare a spalla innumerevoli volte del materiale per le manutenzioni, con qualsiasi tempo, figuriamoci lui con quei flussi.
    Bisogna saper essere meccanici, idraulici, elettricisti, muratori, falegnami e fabbri, lui anche cuoco e albergatore.
    Confermo che il limite più grande nell’appennino Abruzzese è la mentalità imperante da affrontare, uno sforzo enorme che frena la diffusione di esercizi sani, puliti, ben gestiti e ben mantenuti.
    Un augurio che tutto questo cambierà in meglio.
    Marco Fortini

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