Scienza e tecnologia

Gogna …montagne da 25.000 metri d’altezza. Tecnologia e alpinismo

È come se Alessandro Gogna avesse seguito la nostra lunga e animata discussione di redazione di qualche giorno fa, iniziata prendendo spunto dal gioioso annuncio degli alpinisti polacchi pronti per il K2 invernale con tanto di guanti e scarponi riscaldati e che s’è infognata su un irrisolto 9c del dibattito alpinistico: su cosa è lecito o no usare in alpinismo senza vergognarsene. A quel punto s’è materializzato sul gognablog un lungo articolo dal titolo “Alpinismo e Tecnologia”.

La faccio breve nel riassumere la nostra discussione: prima ognuno di noi ci ha messo il suo pensiero e sentimento, poi ci siamo posizionati su un piano più oggettivo chiedendoci quali siano le discriminanti qualitative per un’impresa alpinistica d’alta quota, più semplicemente cosa si può e non si può fare in alpinismo per non sentirsi degli imbroglioni.

Ma andiamo per ordine, tre gli ambiti presi in considerazione.

Il primo riguarda la “battaglia dell’ossigeno”, che modifica artificialmente e certamente in modo significativo la prestazione atletica individuale, che di fatto iniziammo 10 anni fa proprio su questo sito (Dossier: l’ossigeno è doping?), pare oggi vinta. Se sali una montagna con l’ossigeno devi dirlo subito se scrivi o racconti pubblicamente della tua salita.

L’altra questione riguarda i farmaci. Quali sono consentiti e quali no? Sempre per non sentirsi degli imbroglioni o peggio dopati.

Ovviamente stiamo parlando di farmaci assunti per aumentare la capacità di prestazione in condizioni ambientali avverse, determinate dalla notevole minore disponibilità di ossigeno, dalle temperature rigide, dalla difficoltà di alimentarsi per lunghi periodi. I diuretici e gli analgesici, con l’aspirina e gli antinfiammatori vari stanno probabilmente in cima alla classifica dell’assunzione, ma i contenitori plastici che arrivano tutt’ora ai campi base con intere farmacie ambulanti potrebbero far pensare che molti alpinisti qualche eccesso farmacologico, diciamo così, lo hanno praticato e tuttora lo attuano. Non che in passato fosse proibito impasticcarsi, la storia dell’alpinismo ci racconta dell’uso del Pervitin, una metanfetamina, da parte di Hermann Buhl per salire il Nanga Parbat e non era il solo: vennero poi fatte persino prove di emotrasfusione per aumentare la capacità di acclimatamento e di prestazione dell’alta quota. Al di là che farmacologi e fisiologi, visto che ci stiamo occupando di prestazioni atletiche, ribadiscono che l’effetto dei farmaci assunti in stato di ipossia grave è pressoché sconosciuto, rimane l’interrogativo di quali farmaci possano essere considerati doping, anche per l’alpinismo. Ovviamente ci sono farmaci che possono salvare da edemi polmonari e cerebrali e da insufficienze cardiache o servire a contrastare le conseguenze dei congelamenti e devono essere usati in caso di pericolo.

Infine le tecnologie. Sandro Gogna sul suo blog la prende da lontano, da Saturno e dalle montagne dello spazio per poi tornare subito sulla terra: “Le discussioni su materiali, tecniche e adesso anche sulla tecnologia probabilmente sopravvivranno all’alpinismo stesso”. Aggiunge: “Abbiamo innalzato standard e limiti, a volte di tanto. Ci consoliamo così, ed è giusto. Ma se ci facciamo l’altra domanda “e l’esperienza individuale?” cosa rispondiamo? È aumentata? È rimasta sostanzialmente simile? O magari è diminuita?”. Il testo di Gogna pone interrogativi e fornisce spunti per risposte più ampie e complesse rispetto a quanto ci siamo qui proposti.

La nostra domanda iniziale era più semplice e riguardava i guanti e gli scarponi riscaldati. Si possono usare senza sentirsi, come dicevamo, degli imbroglioni. In occasione della prima invernale al Nanga Parbat leggemmo un autorevole e sdegnato ripudio di questi dispositivi tecnici, ma anche del loro utilizzo. E non era la prima volta. Alcuni li usano altri no. Punto.

Nemmeno noi oggi abbiamo raggiunto l’unanimità del verdetto. Proprio i più giovani paiono più intransigenti, sul piano dell’etica sportiva, se si può applicare all’alpinismo. Certo, come scrive Gogna e come sappiamo tutti, l’evoluzione non riguarda solo di corde, piccozze, ramponi e abbigliamento.

Il mondo dell’informatica e della tecnologia elettronica è ormai parte integrante dell’andare sulle montagne: GPS e telefoni satellitari, action cam, droni, orologi con sistemi di diagnostica medica sono una realtà degli alpinisti e soprattutto delle spedizioni.

Certo il sogno dell’uomo d’essere libero e la nostalgia per un mondo con meno orpelli seppur tecnologici ci assale e il buon Sandro dopo aver dissertato su questo e con nostalgia su Dibono e Messner, si rifugia nell’assioma che piace a tutti, ma che salva da sempre anche gli svergognati dell’alpinismo: “Non stabilire regole, la libertà prima di tutto. Se cominciamo a dire qui questo si può fare, là no, è già finita in partenza. Meno male che la comunità alpinistica è sempre stata abbastanza restia ad accettare decaloghi e codici vari. Ma con l’aumento della tecnologia anche questa difesa naturale potrebbe essere azzerata”. Infine, il colpo d’ala: “Sì al favorire la verità dell’informazione, impegnarsi nell’azione, ma anche tenere basso il livello di tecnologia e non pensare che le cosiddette “prove” del fatto siano più importanti del fatto stesso”.

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Un commento

  1. A mio avviso anche le previsioni meteo sfalsano la grandezza di una impresa; salire una montagna senza sapere che tempo farà ma basandosi solo sulle proprie intuizioni (come salivano gli 8000 negli anni ’80) è profondamente diverso dal farlo sapendo con precisione quanto dura una finestra di bel tempo.
    Bonatti diceva di usare lo stesso equipaggiamento degli anni 30 perchè il suo obiettivo era confrontarsi con i grandi alpinisti di quell’epoca e cercare di progredire, alpinisticamente parlando, con gli stessi mezzi.
    La domanda vera però è: senza equipaggiamento leggero e funzionale, quello che hanno fatto Messner o chiunque altro sugli 8000 l’avrebbero potuto fare comunque se avessero mantenuto lo stesso materiale di Bonatti?
    Ovvero, l’evoluzione dell’alpinismo è legata all’evoluzione della tecnologia?

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