Sicurezza in montagna

Cai e Soccorso: fatalità non è una scusa

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LECCO – “Bisogna adattarsi all’ambiente in cui ci si trova, in montagna come al mare, ed insegnarlo ai ragazzi. Solo così si possono prevenire gli incidenti. Le disgrazie poi possono capitare, ma l’imponderabile non va usato come scusa per mancare nella preparazione”. Ecco le parole di Danilo Barbisotti, presidente del Cnsas Lombardia nonchè istruttore nazionale di alpinismo del Cai, con cui abbiamo parlato delle scuole Cai, della formazione degli istruttori e della responsabilità di portare gruppi in montagna.

Barbisotti, nel Cai come funziona la formazione degli istruttori?
Nelle scuole di alpinismo e scialpinismo del Cai c’è una scaletta di gradi per diventare istruttore: si parte dall’aiuto istruttore, poi c’è l’istruttore sezionale, quello regionale e infine il livello nazionale. Ognuno ha diverse competenze nell’ambito dei corsi Cai, e fra un gradino e l’altro ci sono degli esami da sostenere e dei corsi di formazione da seguire, con valutazioni finali molto serie. Come nel lavoro insomma. Si cerca di dare dei messaggi precisi, perchè la gente possa fidarsi e trovare in questo tipo di attività il minor rischio possibile. Ovvio che poi esiste l’imponderabile, quello non sappiamo ancora gestirlo, ma non vuol dire che possiamo usarlo come scusa per mancare nella preparazione.

C’è un numero limitato di allievi che possono essere affidati a un istruttore?
Sì assolutamente, e il numero di allievi per istruttore, nelle scuole Cai, dipende dal tipo di percorso che si va ad affrontare: man mano che sale la difficoltà, diminuisce il rapporto. Per esempio quando si va ad arrampicare c’è un rapporto 1 a 1,  al massimo due allievi, come anche nel soccorso alpino. Si arriva al massimo di 1 istruttore per tre allievi quando la difficoltà è inferiore.

Si sta discutendo molto in questi giorni sulla sicurezza dei gruppi scout, dove i capi non ricevono formazione specifica per la montagna ma ci portano i ragazzi. Lei cosa ne pensa?
E’ un problema che abbiamo anche con gli insegnanti di scuola, i preti e gli animatori a cui piace andare in montagna: spesso ci portano gruppi di ragazzi ma hanno poca preparazione in questo senso. In realtà dovrebbero farsi accompagnare da guide alpine o dagli accompagnatori di media montagna, che sono i professionisti di questo campo. O perlomeno chiedere agli istruttori del Cai, che abbiano un minimo di preparazione e che soprattutto sappiano intervenire in caso di necessità, o comunque mettere delle protezioni nel modo adeguato.

Le è capitato di soccorrere degli scout?
Sì, mi è capitato di andarli a prendere vestiti con pantaloni corti e scarpe da tennis sulla neve. Altri si erano persi in zone che non conoscevano e non avevano minimamente studiato in vista della gita. Comunque, per fortuna non sono tutti così e in ogni caso altre persone si sono cacciate in situazioni anche peggiori. Il problema, in generale, è che bisogna imparare ad adattarsi all’ambiente in cui ci si trova, e insegnarlo ai bambini.

Come affronta il Soccorso Alpino questo problema?
Abbiamo fatto molte campagne e convegni, soprattutto con degli insegnanti, parlando delle responsabilità che loro si assumono in queste gite. Forse è meglio spendere due soldi in più ma affidarsi a delle guide o a dei professionisti perché veramente la responsabilità è molto alta, specialmente quando si parla di ragazzini o minorenni.

C’è però chi controbatte che la montagna è libera e che gli incidenti capitano a tutti…
Sì è vero, per l’amor del cielo, ma se c’è un minimo di preparazione chiaramente è meglio. Perché se si sa fare la giusta prevenzione, le probabilità di una disgrazia diminuiscono tantissimo. Bisogna sempre sapersi adattare all’ambiente in cui ci si muove e questa, ripeto, è una cosa che bisogna insegnare ai bambini e ai ragazzi. Altrimenti, imparano ad essere “incoscienti”.

Sara Sottocornola

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