Rifugi

I Ricordi, le speranze, la montagna ed il Boccalatte: intervista a Franco Perlotto

È finita la stagione dei rifugi e così siamo riusciti a ad intercettare Franco Perlotto, eclettico gestore del rifugio Boccalatte alle Grand Jorasses recuperato dopo anni di abbandono.

Uno spirito libero o, meglio, un alpinista “fuori dagli schemi” che ci ha concesso di entrare nel suo regno fatto di ricordi, speranze per il futuro e un nuovo lavoro tutto dedicato al mondo della montagna.

Franco Perlotto

Tanti anni fa hai scelto di lasciare la montagna e diventare cooperante, da cosa nasce questa decisione?

È stata una scelta dovuta. Avevo 36 anni quando ho deciso di lasciare perché ero in calo sia dal punto di vista tecnico che sportivo.

All’epoca vivevo di piccole sponsorizzazioni e consulenze ad aziende. Davo una mano suggerendo migliorie o nello sviluppo di nuovi prodotti. Sapevo però che era il tempo di lasciare. Avevo deciso di fare un paio d’anni di volontariato in Amazzonia, un progetto sanitario particolare. Nel giro di sei mesi mi sono però ritrovato cooperante perché quel lavoro mi riusciva benissimo, pareva me l’avessero cucito addosso.

Negli anni mi sono così ritrovato a lavorare nei luoghi più disparati del mondo come il Sud Sudan e ancora l’Amazzonia. Tendenzialmente lavoravo su progetti di protezione e tutela dell’ambiente, motivo per cui sono poi stato insignito di una laurea ad honorem. Anche qui però, come nell’alpinismo, ho raggiunto un limite oltre il quale non potevo andare.

Com’è stato lasciare l’alpinismo?

L’ho sofferto in modo terrificante, ma ho sempre arrampicchiato dove potevo.

Cos’è cambiato oggi?

Franco Perlotto con Walter Bonatti

Vedo ragazzi fortissimi che fanno cose impensabili ai nostri tempi. Livelli che richiedono allenamento costante.

Oggi si è però mutato lo spirito con cui questi ragazzi si approcciano alle sfide, si è passati dal romanticismo ad un approccio più sportivo. Ma questo non è un problema. Quello che invece contesto è lo spirito dell’alpinista di medio livello che non ha la maturità e il rispetto verso quello che dovrebbe essere un bene comune.

Dopo tanti anni sei tornato in montagna…

Si. È stata una scelta obbligata. Di ritorno da una missione in Afghanistan, mentre andavo al ministero degli esteri, ho avuto un infarto e questo mi ha portato a scegliere di lasciare il mio lavoro per tornare in montagna. Da tempo pensavo alla gestione di un rifugio, così ho iniziato a cercarne uno. Ho chiesto in giro e alla fine mi han proposto il Boccalatte accompagnando la proposta con la frase ‘solo tu puoi farcela’.

Com’era quando sei salito su la prima volta?

L’ho trovato in condizioni pietose. Dentro era pieno di lattine, le avevano gettate dentro da una finestra rotta. Ce n’erano talmente tante che la porta non si apriva più. Oltre a quello c’era poi spazzatura ovunque. Ho portato giù 7 big pack con l’elicottero. Una cosa inimmaginabile che mi fa pensare alla montagna di un tempo e al rispetto che avevamo per lei.

Il rifugio Boccalatte-Piolti

A livello strutturale invece com’era messo?

La struttura era in ottimo stato. Ho dovuto solo fare le vasche biologiche per adeguarmi alle attuali normative di legge, per il resto ho preferito non toccare nulla. È un rifugio d’antan, con una sua storia che merita rispetto. Un posto bellissimo per localizzazione e per modo d’essere. Sono molto contento che sia tornato ad essere un punto di riferimento per le vie delle Grand Jorasses.

Quanto tempo ci è voluto per rimetterlo in sesto?

Circa un anno, ma la parte più difficile non è stata tanto il lavoro di ristrutturazione quanto la parte burocratica perché, rimanendo chiuso per molti anni, aveva perso le licenze. Per richiederle si è dovuto lavorare sodo in modo da adeguare l’edificio alle nuove normative.

Quante persone salgono in stagione?

Non si può pretendere granché. Abbiamo solo una ventina di posti letto. Ho però visto un incremento con gli anni, soprattutto dell’escursionista che usa il rifugio come punto di arrivo.

Alpinisti?

Loro sono aumentati tantissimi poi, ovviamente, dipende dalle condizioni. Quest’anno, ad esempio, è stato difficile il tempo.

Franco Perlotto al rifugio

Si sopravvive con il rifugio?

No. Con il Boccalatte non vivo, è difficilissimo tenere un rifugio. La mia fortuna è avere anche un locale a Recoaro Terme. Un posto vicino alle scuole che mi permette di avere l’estate libera. Sommando le due attività riesco a vivere.

Cosa vedi nel tuo futuro?

Spero di continuare ad essere gestore di rifugio per lungo tempo. Ho voluto un contratto lungo perché ho investito anche di mio nel rifugio. Spero di resistere ancora per molto tempo.

 

 

 

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