Trekking

Il silenzio selvaggio: avventura nel Montana – di Diego Salvi

Ritorno dopo un anno negli Stati Uniti in compagnia di Ben, affascinato dall’approccio che questo paese ha nei confronti della montagna e della natura. Nei parchi nazionali e soprattutto nelle grandi estensioni di foreste, “wild” è il concetto attorno al quale ruota la relazione tra l’uomo e l’ambiente, un rapporto mediato ai minimi termini da infrastrutture, che tende ad una immersione totale nella natura allo stato il più puro possibile, alla ricerca di un rapporto autentico, quindi selvaggio.

Nei luoghi che abbiamo attraversato, il sentiero e i pochi cartelli indicatori sono la sola traccia del passaggio dell’uomo, un percorso che ci permette di attraversare grandi estensioni di foreste e valicare montagne e poter godere appieno questi luoghi incontaminati.

L’altro elemento con il quale bisogna fare i conti è quello dell’autonomia: si seleziona il cibo strettamente necessario e lo si carica sulle spalle, l’acqua è quella dei ruscelli che si attraversano, il riparo sono i vestiti e la tenda che si monta e smonta ogni giorno, le condizioni di salute e di sicurezza sono sempre all’ordine del giorno: solo in questo modo si può camminare per settimane in aree integre in totale autonomia, attraversando passi e vallate in una immersione nella natura via via più profonda.

Così, con questo spirito, abbiamo percorso in 20 giorni gli ultimi 500 km del Continental Divide Trail (CDT), l’ultratrail per antonomasia, un simbolo per gli hiker americani, un percorso di oltre 5.000 km, il più lungo degli Stati Uniti, che parte dalla frontiera con il Messico fino a quella del Canada attraversando 5 stati: New Mexico, Colorado, Wyoming, Idaho e Montana a cavallo della linea orografica del Continental Divide delle Rocky Mountain. 

Personalmente è stata un’esperienza straordinaria, profondamente vissuta, pur non avendo in sé niente di eclatante: di fatto abbiamo percorso mediamente 25 km al giorno su sentieri ben tenuti, che non presentano particolari difficoltà, hanno pendenze regolari, generalmente ben segnalati, con un buon approvvigionamento di acqua. I paesaggi, comunque straordinari di una bellezza allo stato puro, è un susseguirsi di estese foreste, montagne, laghi, ruscelli e prati; gli animali che si incontrano sono quelli tipici di montagna: orsi, grizzly, alci, bighorn, mountain goat, cervi, cerbiatti, scoiattoli, marmotte.

L’aspetto più straordinario di questo viaggio è nel rapporto, quindi nelle sensazioni, emozioni, riflessioni, che ho vissuto in queste 3 settimane, alla ricerca di un benessere in relazione con me stesso, con il compagno di viaggio, in armonia con l’ambiente e con le persone incontrate. Dopo la prima notte a Helena – capoluogo dello stato del Montana – si parte con fatica: lo zaino pesa oltre 25 kg perché è carico di tutto quanto serve per 12 giorni necessari per attraversare i primi 300 km della Bob Marshall il Wilderness Complex, un’area assolutamente disabitata, da Roger Pass a Marias Pass. Ci vuole qualche giorno per abituare tutti i muscoli della schiena a familiarizzare con il carico. Già dopo i primi tre giorni, il ritmo della giornata, scandito dal camminare, fa affiorare una percezione del proprio corpo diversa: “sento” i muscoli in movimento, soprattutto quelli della schiena che si aggiustano al carico, “ascolto” i piedi e le gambe per correggere la camminata, coordino l’andatura con il respiro, il metabolismo è in marcia insieme al corpo e alla mente, l’energia fisica è sostenuta dalla motivazione e dall’entusiasmo. Mi sento bene e ho la sensazione di star meglio ogni giorno che passa: mi convinco che sono soprattutto un “homo ambulans”, che il moto è la condizione fisica necessaria per star bene. Sono sicuro che la  condizione di “homo sapiens” l’abbiamo conquistata grazie all’atto del camminare, cioè esplorare, scoprire, riflettere, meditare, attraversare, contemplare, andare oltre.

 

Camminando insieme in media 8-10 ore al giorno, condividendo giorno e notte, con Ben abbiamo affinato, strada facendo, i ritmi e i tempi, condividendo il programma e studiando insieme la tappa del giorno dopo; si chiacchiera di tutto, partecipando insieme alla scoperta di questi nuovi posti. Gli argomenti di discussione dopo un po’ si diradano: allora partono anche i pensieri che vagano rimbalzando qua e là nel tempo e nello spazio, nelle esperienze della vita e degli affetti.

Ci fermiamo a contemplare le bellezze e a condividere le sensazioni e le sorprese: una vallata coperta di laghi si distende fin dove la vista la raggiunge e il respiro si riempie, un lago rispecchia le sfumature di luce delle montagne, il fiume cristallino ci invita al bagno serale, un cervo ci blocca insistentemente il passaggio, una martora gioca a nascondino arrampicandosi sull’albero, gli scoiattoli si rincorrono in continuazione, il cerbiatto scappa ma ritorna curioso, la famiglia di alci attraversa tranquillamente il sentiero, infine gli orsi, chiamati più volte per segnalare la nostra presenza attraverso la voce, si fanno i fatti loro.

Poi arriva la sera e ci accampiamo: quando il vento cessa di far cantare gli alberi, gli scoiattoli si rintanano e il picchio vola via, ecco che il silenzio si impossessa della foresta, un silenzio potente, una presenza “fragorosa” che accompagna la notte, non semplicemente un’assenza di rumori e suoni, ma piuttosto una dimensione imponente di meditazione che riempie lo spazio e la mente svuotandola di pensieri, una condizione primordiale a cui mi rendo conto non sono più abituato. Il razionamento del cibo per farlo durare il tempo necessario all’attraversamento ci rende consapevoli del fatto che le calorie che mangiamo sono inferiori a quelle che consumiamo: il cibo assume così un valore simbolico  proporzionale alla sua scarsità: il gesto del mangiare diventa un rito, la ciotola di cous cous per cena mi rimanda alla sacralità dell’elemosina dei monaci buddisti, l’acqua fresca del ruscello finalmente incontrato dopo un giorno di secca, è una benedizione del cielo.

Questa prima parte è caratterizzata soprattutto da enormi estensioni di foreste di conifere: di alcune gli incendi hanno lasciato solo i tronchi grigi e duri che il vento fa vibrare con una diversità di suoni caratteristici, creando la colonna sonora ad un quadro diafano di natura morta. La principale montagna che caratterizza la Bob Marshall è la Chinese wall, una spettacolare parete rocciosa altra mediamente 300 mt e lunga 35 km che ci accompagna per due giorni di cammino.

Da queste parti gli incontri sono rari: le poche persone incrociate sul sentiero sono prevalentemente i “thru-hiker: partiti ad aprile dal Messico, dopo 5/6 mesi di cammino sono oramai arrivati alla fine dei 5.000 km del CDT. Li si riconosce dall’andatura veloce e leggera, lo zaino “vissuto”, l’essenzialità dell’equipaggiamento, una espressione di sereno entusiasmo che raccoglie un’esperienza importante e la soddisfazione di avercela fatta ad attraversare gli Stati Uniti da sud a nord. Abbiamo incontrato dei ragazzi, dei giovani, soli o in coppia, un sessantenne, una ragazza solitaria: li ammiro, soprattutto per la determinazione e la forza di volontà che li accomuna.

Dopo 11 giorni di cammino arriviamo a Est Glacier, una delle porte d’ingresso del Glacier Park, un magnifico parco nazionale che attraverseremo nei prossimi fino alla frontiera con il Canada. Qua ci
concediamo finalmente una giornata di riposo rifocillandoci all’hostel, e la ricarica dello zaino di
cibo necessario per i prossimi 9 giorni.

Nel Parco ce la prendiamo più comoda, ci svegliamo un pò più tardi e ci accampiamo nel primo pomeriggio: “Take your time and enjoy when arrive at Glacier Park: it’s amazing!”, ci consiglia una
coppia del Wyoming incontrata qualche giorno prima.

Qua le montagne slanciate, levigate da millenni, dove sono sospesi ghiacciai e nevai che alimentano le innumerevoli cascate, fiumi e laghi che delineano le grandi vallate ricoperte da estese foreste, creano dei paesaggi così belli e di così ampio respiro, che chiedono di essere attraversati con il tempo necessario per essere contemplati e dei quali bisogna lasciarsi attraversare dalla loro meraviglia.

La gestione del parco, affidata ai rangers, richiede la pianificazione del percorso tale da passare la notte nei campgroud attrezzati. Qua la sera si incontrano escursionisti, soprattutto statunitensi, provenienti da ogni stato della confederazione: pur con il nostro inglese stentato, riusciamo a condividere le esperienze della giornata. In 7 giorni di cammino raggiungiamo comodamente il confine con il Canada, nostra metà finale, per poi fare dietrofront e passare gli ultimi giorni nelle vallate del parco meno frequentate ad
ovest.

Grazie alla disponibilità di alcuni rangers, a più riprese raggiungiamo in autostop West Glacier, altra porta d’ingresso del parco, da dove il giorno successivo proseguiamo per Kalispell, per l’ultima notte in motel prima del volo di ritorno.

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