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“Le nuove ferrate del Gran Sasso” di Stefano Ardito

Testo di Stefano Ardito

Dal Gran Sasso, finalmente, arriva una buona notizia. Negli ultimi dodici mesi, il massiccio più alto d’Abruzzo è stato colpito da terremoti, da valanghe e da incendi. Chi lo voleva scoprire è stato via via ostacolato dalla mancata pulizia delle strade dalla neve a febbraio, dai ritardi nell’apertura estiva della cabinovia dei Prati di Tivo, dalla chiusura dell’albergo di Campo Imperatore. E da quella, che speriamo si risolva in breve, del rifugio Franchetti.  

Lavori sulla ferrata Danesi. Foto di Luigi Tassi

Si concludono in questi giorni, con una sola eccezione, i lavori di sistemazione delle ferrate e dei sentieri attrezzati del Gran Sasso. Un elenco che include la nuova via normale e la storica via Ricci alla Vetta orientale del Corno Grande, la via Danesi del Corno Piccolo e il sentiero Ventricini che lo aggira da nord. 

I percorsi, anche se non collaudati formalmente, sono già frequentati e apprezzati dagli escursionisti. E’ ancora aperto il cantiere della Brizio, la ferrata che conduce verso il Corno Piccolo chi arriva da Campo Imperatore. Dovrà attendere il 2018, invece, il Sentiero del Centenario che si snoda dal Vado di Corno a Fonte Vetica toccando i monti Brancastello, Prena e Camicia. Un lungo, bellissimo percorso in ambiente selvaggio, che richiede 10-12 di ore di cammino. 

I lavori, finanziati dalla Regione Abruzzo con circa 450.000 euro, sono stati realizzati a partire dal 20 luglio dal Consorzio Stabile Tottea, che ha vinto la gara d’appalto indetta dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Un ruolo che è importante sottolineare, perché vent’anni fa alcune scelte sbagliate dell’ente avevano reso inutilmente pericolosi alcuni itinerari del massiccio. 

Nuova ferrata per il bivacco Bafile. Foto di Stefano Ardito

Le ferrate del Gran Sasso hanno delle storie diverse. La prima, la Danesi, è stata attrezzata con scale da soci del CAI di Teramo negli anni tra le due Guerre Mondiali. La sezione di Roma, nel dopoguerra, ha realizzato la Brizio e poi il sentiero Ventricini, dedicato a un socio caduto sul Corno Piccolo, utilissimo agli alpinisti che frequentano le Spalle. 

Si devono alla sezione dell’Aquila del CAI il Sentiero del Centenario (1974) e quello per il bivacco Bafile (1966), entrambi attrezzati con estrema parsimonia. Quest’ultimo, dotato per decenni solo di una scaletta e due mancorrenti, e non protetto su delle placche di secondo grado, è stato trasformato in ferrata una ventina di anni fa. 

Fino ai lavori di quest’anno, le ferrate del Gran Sasso non erano sicure. Sul percorso che conduce al Bafile, le corde s’interrompevano prima della fine delle difficoltà, costringendo ad affrontare senza protezione delle cenge esposte e l’aerea rampa che conduce al bivacco. 

La Danesi è stata più volte colpita da frane, l’ultima delle quali causata dal terremoto che il 24 agosto 2016 ha devastato Amatrice. Le corde della normale alla Vetta Orientale, sul versante del Calderone, sono state tolte vent’anni fa per una decisione sbagliata del Parco. 

Lavori sulla ferrata Danesi. Foto di Luigi Tassi

Sulla Brizio e sul Centenario, corde e scale in pessime condizioni, e ancoraggi indeboliti dagli anni, creavano (e creano ancora sul Centenario) dei pericoli seri. Sulle Torri di Casanova, che questo itinerario scavalca, ci sono corde fisse tranciate, scalette appese nel vuoto, altre scomparse e che hanno lasciato passaggi di terzo grado non protetti.

I lavori sulle ferrate permettono oggi ai due Corni di reggere il confronto anche in questo campo con le Dolomiti e il resto delle Alpi. Attirano in Abruzzo escursionisti esperti e alpinisti, danno lavoro alle guide e alle strutture ricettive di Pietracamela e del versante aquilano, creano un’immagine di serietà ed efficienza di cui il Gran Sasso e l’Abruzzo hanno seriamente bisogno.  

Certo, le ferrate non sono sentieri per tutti. Per affrontarle occorre avere l’attrezzatura giusta (casco, imbragatura, set con cordini e moschettoni), e saperla usare. Chi non ha esperienza deve iscriversi a un corso del CAI, o affidarsi alla professionalità di una guida alpina dell’Abruzzo e delle regioni vicine. D’inverno cavi e scale spariscono sotto alla neve e al ghiaccio, e il terreno diventa prettamente alpinistico.  

Cartello dei lavori all’inizio della ferrata Danesi

“Abbiamo fatto un buon lavoro” commenta la guida Gino Perini, tra gli artefici dei nuovi itinerari. “La notizia dei lavori ha già fatto aumentare i frequentatori. Ricordo ancora una volta agli inesperti di non lanciarsi sulle ferrate da soli. E ricordo a tutti che c’è ferrata e ferrata. Sul nuovo percorso della Brizio c’è una scala verticale di 30 metri, che richiede forza di braccia e tecnica, e naturalmente di non lasciarsi impressionare”.

Nell’elenco delle nuove ferrate del Gran Sasso, però, manca un itinerario. E’ la cresta di facili rocce che conduce dal Pizzo Cefalone, raggiunto da un classico sentiero, verso la cresta delle Malecoste. Un percorso di primo grado o giù di lì, con cengette scivolose ed esposte, che è rimasto quasi sconosciuto per secoli. 

Nella primavera del 2005, poco dopo la morte del Papa polacco, che aveva pregato più volte nella sottostante chiesetta di San Pietro, una vetta delle Malecoste è stata battezzata Cima Giovanni Paolo II, e sulla cresta che la raggiunge è iniziato un pellegrinaggio di fedeli inesperti. 

Ferrata del bivacco Bafile – foto di Fabrizio Antonioli

Anni fa, dopo aver assistito a una tragedia mancata, ho proposto sulla stampa locale di installare sulla cresta qualche cavo, ma l’idea non ha avuto seguito. Sulla cresta, fino a oggi, non mi risulta si sia ammazzato nessuno. Magari, per qualcuno, è stato un miracolo di Papa Woytjla, proclamato Santo nel 2014. Ragionando da uomo di montagna e da laico, continuo a pensare che qualche cavo di sicurezza sulla cresta delle Malecoste ci vorrebbe.

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8 Commenti

  1. Concordo con Stefano Ardito nel plaudire alla risistemazione in Gran Sasso delle vie ferrate preesistenti, ancor più per quelle che erano fatiscenti, abbandonate e perciò pericolose.
    Da uomo di montagna e laico, non concordo affatto, invece, con Ardito quando propone di installare – ex novo – cavi, fittoni, scalette, pioli, ecc per “servire” o “mettere in sicurezza” creste e sentieri che ne sono stati da sempre sprovvisti, in ambienti selvaggi del Gran Sasso la cui bellezza è proprio data dall’integrità e dalla wilderness che li caratterizzano.
    Basta nuove ferrate!
    Ho assistito a molte più tragedie (mancate e avvenute) su ferrate e percorsi addomesticati, che non su terreni dove l’assenza di “aiutini” fa la necessaria selezione. Se fossero le tragedie mancate a giustificare le “messe in sicurezza”, dovremmo imbragare tutte le montagne del mondo.

  2. Concordo per la …..necessaria selezione che, per inciso, mi ha lasciato in basso più volte.
    Credo che l’attrezzaggio di vie ferrate porta ad avere molti incidenti o mancati incidenti come qualche volta ho visto, proprio perché può ingannare turisti sprovveduti ad avventurarsi dove “tanto ci sono le scalette”….

  3. Leggo queste notizie con grande piacere. Il sentiero dedicato a mio fratello Pierpaolo, caduto sulla parete nord del Corno Piccolo nel 1969 a soli vent’anni, e’ stato e spero rimarra’ per sempre un grande ricordo e un grandioso percorso sulla montagna che lui aveva tanto amato. Grazie di cuore a tutti coloro che rendono questi rinnovamenti una realta’.

  4. Buone notizie finalmente. Concordo su tutto (soprattutto con la necessità di sistemare anche il centenario che p in condizioni penose) non sono d’accordo con l’atrezzare la cresta delle Malecoste. Chi ha una certa esperienza la può fare senza problemi, basta un po’ di attenzione. Chi non ha esperienza è meglio faccia altro, ce ne sono tante di escursioni da quelle parti… se si vuole assolutamente raggiungere la Cima Giovanni Paolo II si sale senza problemi salla Sella delle Malecoste senza mettere neanche una mano a terra, è un po’ lunga ma è una bellissima escursione.

  5. Come sempre accade, sui temi etici ci si divide in fazioni (e si diventa faziosi). Nel mio piccolo, penso che le ferrate non dovrebbero esserci, così come le corde fisse, in Himalaya come sul Cervino e sul Gran Sasso, o i segni di vernice sui sentieri e le tabelle segnaletiche stesse, lasciando che il terreno di avventura resti tale, anche per le generazioni future. Da ateo, ma con decenni di soccorso alpino sul groppone, credo anche che la selezione non dovrebbe mai essere “naturale” (o sali o muori o scendi), ma “razionale” (non sono all’altezza, quindi scendo).
    Però – c’è sempre un però –, sarebbe davvero sciocco e fazioso tentare di spacciare per natura selvaggia ambienti che non lo sono più da tempo: dove l’antropizzazione è dilagata, è del tutto inutile intraprendere battaglie ambientaliste o moraliste. Molto più serio è concentrarsi nel preservare i luoghi effettivamente intatti: ma se passa l’idea che dove c’è un pericolo in montagna deve esserci una protezione, preventivamente (e appositamente) sistemata, stiamo freschi!
    Sempre nel mio piccolo, un terreno di avventura addomesticato è una aberrazione, oltre che una enormità e una contraddizione in termini, linguistica e culturale.

  6. ha ragione stefano ardito meglio un cavo in piu che un escursionista in meno con buona pace dei duri e puri a tutti i costi…….

  7. A me la montagna ha insegnato due cose: a non rinunciare e a saper rinunciare. Questo leggo sulle sue “pagine”, proprio come se essa fosse un libro. Stefano Ardito propone dunque di strappare le pagine di quel libro.

  8. Volevo segnalare che molte persone utilizzano la breve, nuova ferrata di discesa dalla ferrata Ricci che termina nei pressi del ghiacciaio del Calderone, per SALIRE all’anticima della vetta orientale e quindi sulla vetta orientale stessa, senza casco, imbrago e set da ferrata!!! Credo sia opportuno mettere un cartello di avviso all’inizio!!! Spero che anche il Sig. Stefano Ardito si faccia portavoce al fine di pubblicizzare questo errato comportamento al fine di evitare qualche incidente dovuto all’ignoranza!

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