Arrampicata

Le parole di Honnold dopo l’El Capitan in free solo

Alex Honnold, dopo la prima salita assoluta in free solo dell’El Capitan, ha risposto ai dubbi e alle domande di Mark Synnott, suo amico e scalatore lui stesso, per National Geographic. In questo modo possiamo provare a capire come vede il mondo e cosa pensa il ragazzo che ha arrampicato in solitaria e senza alcun tipo di assicurazione più di 1.000 metri di parete superando anche difficoltà gradate 7c+.

Una premessa è d’obbligo: Alex si definisce semplice, ben cosciente dei valori della vita e scala per passione. Lo si capisce fina dalle prime battute: quando gli viene chiesto se crede che il mondo avesse bisogno della sua impresa, lui risponde che i problemi del mondo sono altri, per esempio che “gli Stati Uniti restino negli Accordi di Parigi”. Poi specifica che è comunque sempre positivo vedere qualcuno che raggiunge i propri obiettivi dopo tanti sforzi e si augura che possa essere d’ispirazione per altri. Nel momento della più grande soddisfazione della sua vita, Honnold ha raccontato che si è sentito molto bene mentre arrampicava e che la prestazione è andata anche meglio di come si aspettava. Tanto che, a suo dire, la montagna non gli ha fatto nemmeno paura ed anzi, il non dover portarsi dietro la corda l’ha reso anche più fresco ed energico; si è sentito molto meno spaventato rispetto ad altre scalate in free solo e ritiene che questo sia dovuto al grosso lavoro che ci ha messo. Per lo stesso motivo si sentiva molto sicuro, tanto che le prese gli sembravano vecchie amiche e sapeva cosa fare lungo tutto il percorso.

Il giorno prima nessuna preparazione speciale: un po’ di bouldering per “riscaldare” le scarpette e qualche escursione con la madre ed alcuni amici. Inoltre, Honnold ha volutamente evitato di programmare pausa prima della scalata perché “non è desiderabile arrivare a qualcosa del genere dopo un riposo totale; molto meglio un esercizio leggero. La scalata in sè, come difficoltà fisica, non è così complicata; lo è invece dal punto di vista della forma mentale, serve arrivarci con quella giusta; ed è questo quello che ho ricercato”.

Alla partenza, o per meglio dire durante l’avvicinamento alla base della parete, nemmeno lo stress ha intaccato lo stato d’animo del climber americano che, però, ha ammesso che una volta sotto l’altissima parete e sulla Freeblast (le placche di granito senza prese) un po’ di nervosismo ha fatto breccia nella sua testa. La notte prima ha dormito comunque senza problemi e, anzi, è stata l’impazienza di provare questa grande scalata che lo ha fatto svegliare un paio di volte.

Arrivato in cima la sensazione generale era positiva e si sente tutt’ora così a suo agio che dice di sentirsi pronto a rifarla; anche perché ormai l’ostacolo mentale è stato rimosso. Rispetto alla scalata vera e propria, uno dei momenti più belli “è stato sicuramente il Monster, perche mi son sentito completamente sicuro e, senza imbrago, mi è sembrato molto facile, me la sono proprio goduta, sembrava di andare semplicemente a zonzo sulla parete. E anche dal Round Table fino alla vetta, dove mi sembrava un giro della vittoria, una celebrazione dell’arrampicata.” Sempre durante la salita non ci sono stati momenti di incertezza, ma solo alcuni molto impegnativi, come sul Freeblast, il primo tetto del terzo tiro e il primo Boulder, punto cruciale della scalata. Quest’ultimo Alex ritiene sia stato il punto più critico.

Ci si può chiedere anche cosa ci sia nella testa di chi sta compiendo un’ impresa del genere e Mark gliel’ha chiesto. Alex ha risposto semplicemente che pensava a varie cose, tra cui il gruppo di persone che l’ha supportato in questo sogno, come la mail ricevuta dall’amico Conrad Anker che gli ha fatto pensare al suo mantra: “sii gentile, sii buono e sii felice”. Certamente ha pensato anche ai suoi obiettivi della vita, tra cui certamente la scalata in free solo dell’El Capitan aveva il posto d’onore; ora gli resta la voglia di scalare un 9a in arrampicata sportiva, dice, a cui ha pensato più volte durante la stessa salita dell’El Capitan. E a chi si domanda come qualcuno possa meditare già alla salita successiva durante una scalata del genere, Alex risponde che semplicemente lo eccita pensare di fare cose difficili.

Raggiunto il suo più grande sogno, che inseguiva da anni, ora forse è tempo per un cambio di rotta e, come ha spiegato lui stesso, di lavorare per un po’ sui suoi limiti fisici piuttosto che sfamare il desiderio d’avventura. Per uno padri dell’arrampicata senza corda, Peter Croft, l’impresa si Alex su El Capitan è stato il passo finale, Honnold concorda sebbene lasci la porta sempre aperta. L’unica cosa di cui è abbastanza certo è che diventerà un alpinista “classico”.

Alla domanda se ora si sente soddisfatto, lui risponde che pensa di no, perché del resto non si smette non appena si torna a terra, che intende fare ancora grandi cose e quando gli viene chiesto se si rende conto di cosa ha appena concluso, lui risponde che in effetti, completata la scalata, anche se ci ha messo molto tempo e impegno, non gli sembra così importante o difficile.

Alex ritiene infine che l’intero progetto finalizzato a coronare questo sogno lo abbia portato a vivere la vita migliore che potesse condurre, rendendolo così un uomo migliore. Nonostante abbia raggiungo il suo obiettivo, ora, il climber americano ha dichiarato che non smetterà di cercare la versione migliore di sé, cioè quella in cui si allena e resta motivato.

 

Foto in alto: JIMMY CHIN

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