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McBride e Fedarko, percorrere tutto il Grand Canyon a piedi per salvarlo

Tra i nominati per l’ “Avventuriero dell’anno” di National Geographic, titolo poi vinto da Mira Rai, c’erano anche Pete McBride e Kevin Fedarko che per aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica rispetto alle bellezze a rischio del Grand Canyon hanno percorso tutte le 750 miglia del “grande solco” americano a piedi. Per Pete e Kevin il viaggio è stato, più che un obiettivo personale da spuntare, un operazione per far conoscere la fragilità dell’ecosistema di un ambiente con cui entrambi nutrono un’ intensa intimità.

I due hanno deciso di intraprendere questa avventura perché il Grand Canyon è oggi minacciato da ogni dove: un gigantesco sviluppo sul South Rim che consumerebbe le risorse idriche, un progetto Navajo per la costruzione di una monorotaia che porterebbe 10.000 persone al giorno in fondo al Canyon, un aumento sconsiderato del turismo aereo con una conseguente invasione di elicotteri e per finire una miniera di uranio. Ognuna di queste operazioni mina la sopravvivenza dell’ambiente del parco come lo consociamo e, per di più, potrebbe stravolgere il corso del Colorado River, mettendo a repentaglio l’intero sistema regionale che coinvolge circa 40 milioni di persone. Entrambi erano, e sono, convinti che il Grand Canyon sia la più preziosa area tra quelle comprese nel National Park System. A tal proposito Fedarko ha osservato: “Non è il più importante secondo le valutazioni convenzionali. Non è il primo, non è il più grande, non è il più visitato ma è in una sua categoria a se stante. É il gioiello della corona dell’intero sistema. É il paesaggio più conosciuto che abbiamo”.

L’intero tragitto era stato effettuato solo da 24 persone prima di loro e solo 8 di queste tutto in un’unica volta ma i due non erano intimoriti prima di partire, avendo già compiuto entrambi molte spedizioni nei posti più remoti e selvaggi della Terra. La coppia sapeva che sarebbe stato duro ma non li impensieriva dal punto di vista fisico. Non ci volle molto prima che l’esperienza diretta li smentisse: quello che stavano conducendo era, in realtà, il tragitto più difficile che avevano mai affrontato. Per esempio non c’è un vero e proprio “sentiero” nel Gran Canyon ma si continua piuttosto a salire e scendere lungo le sue pareti e ad “ogni passo è necessario ragionare se fidarsi o meno di una roccia instabile o di un appoggio scivoloso”. Fedarko ha anche dichiarato che “Ogni passo è una tortura. Una combinazione di fattori rende il tutto molto difficile: l’assenza di un tracciato prestabilito, l’incedere in un ambiente pressoché interamente verticale, arbusti così fitti che l’unico modo per attraversarli è letteralmente gettarsi al loro interno. E il caldo bruciante rende tutto più difficile. Logora la tempra del corpo con il passare del tempo”. Concludendo con l’ammettere che non avevano idea di cosa li stava aspettando. Dello stesso avviso McBride che ha sottolineato: “Non puoi mai distogliere la concentrazione da dove metti i tuoi piedi. Non ti puoi mai guardare intorno. Il tuo corpo è costantemente messo alla prova”, indicando questo fattore mentale insieme alla stanchezza fisica come gli elementi che hanno reso il tragitto estremamente difficile.

Le condizioni si sono rivelate così avverse che i due hanno dovuto anche ripensare i loro programmi, dato che dopo le prime 60 miglia hanno dovuto mettere in pausa il cammino per curarsi. A quel punto, anche se incerti se svelare le perle del Grand Canyon ma preoccupati per le sorti del parco, tutti coloro che conoscevano bene il fondo del Canyon hanno deciso di aiutarli e una volta rigenerati, grazie anche alla dimostrazione di una tanto grande approvazione, i due hanno ripreso il loro cammino, che ora era supportato da un’intera comunità.

Alla fine l’intero percorso è stato completato in 8 riprese e in più di un anno: durante questo tempo i due hanno dormito spesso per terra, hanno percepito escursioni termiche molto ampie, hanno percorso tratti che sono costati la vita a molti altri avventori e hanno subito diversi infortuni; tuttavia hanno avuto modo di visitare alcuni degli angoli meno conosciuti e visitati di tutta l’America; a volte percepiti anche come più remoti che l’Alaska e il Denali, a detta di alcuni rangers del parco.

Producendo e pubblicando due brevi video (visionabili di seguito) e parlando della loro avventura con National Geographic, sono convinti di aver iniziato a fare la differenza, sperando che come il Canyon ha cambiato loro anche la loro storia possa indurre a fermare la distruzione del parco coloro che ne hanno la possibilità. Inoltre sperano di poter formare un opinione pubblica che continuerà a proteggere il Grand Canyon anche negli anni a venire, nonostante i recenti sviluppi politici, che pongono seri dubbi in questo senso.

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