Alpinismo

La magia dell’alpinismo: nuova via per la cordata Iurisci, Nardi e Mussapi sul Monte Camicia

Testo di Daniele Nardi

Il Monte Camicia con la sua parete Nord ed il fondo della Salsa hanno un sapore amaro. Mi ricordano Roberto Iannilli e Luca D’Andrea che ci hanno lasciato affrontando questa parete. Imbocco il sentiero con il pensiero rivolto a loro, chiuso nel mio silenzio. Le gambe sono pesanti dopo 5 giorni di allenamenti, questa salita non era proprio in programma. Ma ora sono qui mi dico, lo dico anche agli altri a dire il vero.

Con me ci sono Cristiano Iurisci e Luca Mussapi. Ci siamo ribattezzati il “Trio cavalletta” scherzando sul fatto che nati cosi dal caso siamo già per la seconda volta insieme nel tentativo di aprire una via nuova su una parete importante in appennino: prima alle Murelle in Majella ed ora qui al Monte Camicia. Arrivati alla deviazione dove c’è sepolto dalla neve il monumento a Piergiorgio De Paolis viriamo a destra e ci lasciamo il fondo della salsa a sinistra e con lei, pian piano, lascio che i miei pensieri si dilatino. La parete da lontano fa un grosso impatto, da sotto è ancora peggio ma so che a differenza di come abbiamo fatto in Majella, dove sapevamo che avremmo trovato alte difficoltà tecniche, questa volta andiamo alla ricerca dei punti deboli della parete: è per questo che forse la parete mi sembra meno ripida. Ho intenzione di godermi la salita e chiedo a Cristiano di andare avanti, è lui l’esperto della zona, mi carico il suo zaino e lui prende il materiale e parte mentre Luca ed io seguiamo.

La salita procede regolare fino al momento in cui scavalcando una cresta ed immettendoci in un canale ci troviamo di fronte alla scelta se affrontare una parete oppure aggirarla sulla sinistra. Dico che sarebbe bello scalarla e Cristiano parte. Sin da subito armeggia con dei chiodi per proteggersi, cerca di essere delicato nei movimenti e di non rompere il ghiaccio effimero posato sulla parete. A due terzi del tiro però rinuncia a continuare, non se la sente e devia a sinistra su una cengia dove pianta due chiodi per una sosta. Cristiano è conosciuto come il “carpentiere d’appennino” per la quantità di vie aperte e per l’abilità di piantare chiodi, quando lui pianta un chiodo puoi essere certo che quel chiodo terrà e di questo tra poco ne sarò contento.

Luca resta in basso, non c’è spazio per tre li su, io salgo. Mi muovo elegantemente anche se ho due zaini sulle spalle, poi traverso a sinistra e arrivo in sosta. Quando passo su quel traverso a sinistra capisco che mi darà dei problemi, è fuori dalla verticale della via e se dovessi cadere rischierei di sbattere contro la parete aperta del diedro a sinistra. Non mi piace per niente ma è così. Cristiano mi passa i suoi capi della corda ed io gli passo il mio. Il sogno di una via da secondo è terminato, comincio a scalare. Ritorno su quel traverso spostandomi verso destra di qualche metro. Guardo la sosta per valutare se sono più alto, ma non è così e sono ancora basso. Fin qui anche se dovessi scivolare non sarei un grosso peso sulla sosta. Più salgo e più il rischio di volare direttamente in sosta con un fattore di caduta 2: è alto e questo potrebbe comprometterne la tenuta. Il problema è che proprio non si riesce a mettere un’altra protezione. Con dei movimenti delicati cerco di posizionare il mono-punta dentro una fessurina appena accennata, mi giro dall’altro lato e guardo la sosta. A quel punto vedo che sono più alto e che è obbligatorio mettere una protezione. È tutto così aleatorio, le fessure sono chiuse e non c’è spazio per una buona protezione, devo per forza continuare ad alzarmi oppure rinunciare al tiro. Mi alzo, il calcare è liscio, lo pulisco dalla neve ed è più liscio di prima. Prendo coraggio e chiudo sul braccio sinistro per far arrivare la piccozza. Aggancio più in alto su una zolla d’erba che esce dalla neve. Tiene ma sento che basta appena per l’equilibrio. I ramponi grattano in aderenza, ma riesco a trovare una posizione di equilibrio per fissare un chiodo.

Aprire una via nuova, facile o difficile che sia ha sempre a che fare con l’ignoto, non è solo una questione di difficoltà tecniche, ma ha a che fare con quella lotta interiore tra la pressione psicologica che l’ignoto esercita e la tua abilità di sostenerla e mantenerti lucido. Quando perdi quella lucidità perdi anche la capacità di valutare come muoverti. Deglutisco e prendo coraggio e salgo ancora con dei movimenti in laterale caricando il peso sull’unica punta anteriore del rampone. A quel punto però qualcosa cede e la sensazione di vuoto si impadronisce di me. Sento la corda premere sui fianchi attraverso l’imbrago e poi mentre comincio a rallentare un ‘clank’ violento mi raggiunge. Invece di rallentare accelero nuovamente. Il chiodo schizza via, inizio a pendolare verso sinistra e poi l’urto violento contro la parete del diedro. La prima cosa che guardo è se il chiodo della sosta su cui sono atterrato ha tenuto. Che idiozia, se non avesse tenuto ora io e Cristiano saremmo alla base della parete e forse avremmo continuato verso valle con Luca, tutti e tre aggrovigliati nelle corde. Cristiano è bianco in viso e mi dice di aver sbattuto contro la parete. Sento la responsabilità di quel volo sulle spalle. Mi duole la natica sinistra, ma per il resto non mi sono fatto male.

Mi rimetto in piedi e senza pensarci troppo sopra rassicuro i miei compagni e mi rimetto a scalare. Traverso nuovamente a destra e mi ritrovo di nuovo all’altezza di dove il chiodo è volato via. Stavolta pianto un chiodo più ‘robusto’. Mi alzo, mi giro, faccio aderire di nuovo le punte dei ramponi sulla placca di calcare e mi alzo fino a posare un piede su una piccola sporgenza. Sono costretto però dalle piccozze ad una posizione innaturale. Faccio uno sforzo, mi giro trazionando sulle due piccozze poi chiudo e allungo oltre lo strapiombo la picca destra. La neve è soffice ed un pugno allo stomaco mi ferma la respirazione. Riesco a trattenere il volo ed a girarmi quel tanto per mettere un friend al contrario sotto il tettino. Poi alzo l’altra picca e mi dico “ora sei fuori edddaaaiii…”.  Ho le gambe che spingono verso la parete mentre le braccia che escono fuori dal piombo della via ma riesco a mantenermi in equilibrio. Mi basta pulire dalla neve e scavare fino a trovare il ghiaccio per superare quest’ultimo pezzo. Chiudo con entrambe le braccia, poi faccio per allentare una picca per tirarla fuori ed allungarmi. La punta del rampone appena poggiata in una fessura cieca scivola. La piccozza destra si trova a dover sopportare maggior peso e lascia un solco nella neve come fa la scia di un aereo di linea in cielo. Sono diversi metri sopra la sosta e spostato tutto a destra.

Il copione è lo stesso di prima, ma stavolta il volo è più lungo ed ho tempo di pensare. Cristiano sta scattando delle foto, io per abbellire lo scatto ho deciso di volare…fiuuuuu…’steng’…il friend salta via. Ho tempo di pensare al chiodo ed al rumore sordo che ha fatto quando l’ho martellato per piantarlo. Lo strattone della corda arriva violento, ma stavolta il chiodo tiene. Cristiano sbatte con il ginocchio contro la parete spinto dal mio volo. Luca in basso trattiene la tensione e probabilmente si chiede in che posto sia finito. In fondo non sapeva nulla della via, sapeva che valeva la pena mettersi in viaggio e con il solito ottimismo ci segue. Stavolta però mi tremano le mani. L’urto sulla parete mi fa perdere sensibilità al pollice mentre le mani sono quasi completamente ghiacciate. Decidiamo di scendere. Arrivati alla base del salto, Cristiano insiste per aggirare la difficoltà. Passiamo sopra il tiro e proseguiamo verso l’alto. Dopo alcune ore ed alcuni tiri di raccordo ed altri tiri per superare la parte finale con neve soffice e per niente trasformata arriviamo in cresta e poi in vetta. Il sole finalmente ci accoglie. In vetta ci abbracciamo e ripenso al fatto che senza quel tiro forzato la via è ancora più bella e logica e con difficoltà continue. Quel tiro sarebbe stato come un cazzotto in un occhio lungo una linea elegante.

A volte a causa delle difficoltà non elevate che si incontrano si può pensare che una linea non valga la pena scalarla, ed invece non è assolutamente così. L’impegno globale, la bellezza dei luoghi, il fatto stesso di essere in un luogo selvaggio lontano dalle comodità quotidiane ti aiutano e riflettere ed a scoprire cose nuove dentro di te e fuori. La coscienza delle cose e della vita si allarga, questa è una delle magie dell’esplorazione e dell’alpinismo.

Meraviglia: il rientro attraverso la piana di Campo Imperatore mentre i colori della sera illuminano di rosso tutto ciò che ci circonda… emozioni difficili da raccontare.

Grazie a Cristiano per avermi coinvolto ancora una volta in apertura di questa linea che inseguiva da tempo e per aver condiviso momenti, paure e gioie. Complimenti a Luca che pur non avendo una lunga esperienza di questo tipo di salite ha dimostrato che quando uno è tranquillo dentro alla fine alle cose ci sta di fronte e con calma le affronta fino alla fine. Grazie a Fabrizio che con santa pazienza ci è venuto a riprendere a fonte Vetica e ci ha riportato alla macchina.

Buona esplorazione.

 

Monte Camicia q. 2357  (Sperone Pisciarellone)

Iurisci, D. Nardi, L. Mussapi 17 03 2017

Dislivello 1150, sviluppo 1500

Difficoltà: 45/55°, tratti a 65/70° e misto fino all’M2/3 (D+ grado francese)

Relazione di Cristiano Iurisci

Risalire il sentiero per il fondo della salsa fino al monumento a Pergiorgio De Paolis (ex, poiché semidistrutto da una valanga dell’inverno 2015), posto a quota 1060 ca. Qui piegare a destra a prendere il parallelo canale valanghivo proveniente dal settore destro della grande parete Nord del Camicia (settore Pisciarellone). Risalire l’evidente canalone per circa 150m fin quo poco ripido; giunti ad uno slargo esso  piega a sinistra e diventa più stretto e ripido. Salirlo per 250m (40°, 55° max) fino ad una specie di bivio, prendere il canale a destra (che si insinua tra il bosco di destra), dritti è più ampio e logico ma non sarà poi facile rimontare a destra. In circa 100m (50°) si giunge in una specie di selletta (1500m circa) con davanti un’enorme vallone che precipita anch’esso (canalone parallelo) verso il monumento P. De Paolis. Non scendere verso di questo, ma attaccare direttamente la parete sovrastante a seguire un percorso leggermente diagonale a destra. Con un tiro (55/70°, passi di misto) si esce su breve pendio nevoso, quindi si piega ancora a destra a evitare una breve fascia rocciosa quindi dritti (60°, breve tratto a 75°) fino ad uscire su pendio nevoso più facile oltre il quale si apre un profondo colatoio (si intuisce). Piegare a sinistra per via logica per ancora 50m (max 65°) uscendo poi su largo pendio nevoso facile (45°) sul bordo sinistro del profondo colatoio. In alto si può finalmente osservare la parete del Pisciarellone. Proseguire per il pendio nevoso facile fino ad osservare la testata del colatoio, una breve discesa permette di giungervi dentro. Vi sono ora varie possibilità di salita, la più facile è la prima a sinistra, poco dopo esser scesi per circa 15m di dislivello, prendere l’evidente rampa diagonale a destra che, con un tiro di corda (max 70°) permette di accedere ai pendii tra il colatoio e la base della parete. Per via logica si piega un po’ in obliqui a destra, in direzione dell’apice del pendio di neve che più in alto si spinge alla base delle rocce del Pisciarellone (150m 45/55°, passi a 70°). Giunti poco sotto le rocce (q. 2030 ca) si attacca la parete su neve e misto (max 75° e M2/2+) prima dritto poi in diagonale a destra passando sotto piccola fascia strapiombante, Poi oltre si sale dritti e poi a sinistra (50m) a sostare su ch. roccia. Usciti su pendio nevoso lo so segue verso detra (55°) per 50m. Quindi ancora a destra per pochi metri fino a rendere una rampa su misto e ghiaccio che permette di salire verso sinistra (50m). Su nevaio a 55° si giunge sotto una fascia roccioso, piegare a destra fin quasi allo spigolo della montagna. Ora si torna a sinistra per via logica e brevi tratti a 65° fino a sbucare su pendio più facile (40m) e che permette di affacciarsi verso un canalone. Si sale in diagonale a destra (55m 50° max) fino alla base di un camintetto. Non salirlo (noi l’abbiamo fatto ma su neve pessima e misto non banale) ma aggirarlo a sinistra fino a trovare un accesso facile (80m 60° max) che termina praticamente in vetta.

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