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Mario Merelli, nostalgia di parapacio

Ehi Mario, rieccoci al 18 gennaio. È passato un altro anno, la neve sulle montagne è poca e in questi giorni fa freddo ed il cielo è terso, come quell’orrendo 18 gennaio di cinque anni fa, sullo Scais.

Sarà anche che questa sera all’OFF, il Film Festival delle nostre Orobie, parleranno dei bergamaschi che son saliti in vetta sull’Everest, mi è venuta un po’ di malinconia e voglia di ricordarti. 

Abbiamo pigiato molto sui tasti del PC per raccontare di te, delle tue ambizioni, dei risultati alpinistici e anche della tua vita, non sempre facile, ma affrontata tutti i giorni senza “lamentas trop”. Lo abbiamo fatto mentre la tua passione per le montagne cresceva, come le quote e l’importanza delle cime che salivi, e lo stiamo ancora facendo perché rappresentavi la versione nazionalpopolare e più umana dell’alpinismo di casa nostra e non solo. È anche per questo che mi prende la nostalgia di parlare di alpinismo, montagne e non solo, mangiando magari il “parapacio” (pancetta, uova e formaggella), il piatto di tuo padre per gli amici, con una fetta di polenta e qualche calice di rosso. Riti vecchi, vecchissimi, e desueti, dei quali abbiamo una struggente malinconia, ma inconcepibili al tempo del marketing strategico, di prodotto e di relazione, del web, delle app, degli uffici stampa, dell’allenamento estremo.

Sono ancora qui a pigiare tasti, niente parapacio, niente polenta e bicchiere di rosso, ma solo con la certezza che il buon ricordo dell’alpinista e amico di Mario Merelli va tenuto in vita.

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