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Mai provato il cicloalpinismo?

Testo, video e foto di Bobo, Filippo e Andrea di Cicloalpinismo

SAVONA — Che la bicicletta sia un mezzo di trasporto eccezionale, che permette di esplorare un’infinità di strade e sentieri, in armonia con l’ambiente e con la giusta “lentezza”, è un dato di fatto, ma nell’immaginario collettivo è sicuramente anche uno degli “attrezzi” più utilizzati per competere e gareggiare sui più disparati tipi di percorso.
Di sicuro possiamo affermare che ciò che andiamo a presentare, ovvero il “cicloalpinismo”, non fa parte di nessuna di queste innumerevoli specialità sportive competitive, che vedono la bici protagonista. Per cicloalpinismo essenzialmente intendiamo un modo di vivere la montagna, dove la bicicletta non è nient’altro che un “attrezzo”, come lo sono ad esempio il paio di sci per lo scialpinista o la corda per l’alpinista… le affinità maggiori si hanno con lo scialpinismo, tanto che il cicloalpinismo potrebbe essere considerato come lo una sorta di “scialpinismo senza neve”.

Nel cicloalpinismo, a differenza delle altre discipline a due ruote, non è tanto importante che il percorso sia interamente ciclabile, perché l’ingrediente principale è il contesto “alpino”: spesso una parte della salita è effettuata sulle abbordabili pendenze di un sentiero o una di mulattiera, dove la bicicletta aiuta non poco nella progressione sia in termini di fatica che di tempo impiegato, ma altrettanto frequentemente capita di ritrovarsi su sentieri o tracce assai ripide e tecniche che obbligano a caricarsi la bicicletta sulle spalle, sopra lo zaino: questa fase è comunemente  denominata “portage”, croce e delizia dei biker d’altura… In questo caso l’ingombro e il peso del mezzo (11-15 kg) complicano leggermente la progressione, ma se affrontato con una corretta tecnica, questo costituisce soltanto una piccola fatica in più, che viene  ampiamente ripagata dal divertimento della discesa, come appunto accade molto spesso nello scialpinismo, vedi salite impegnative con ramponi ai piedi e sci sullo zaino.

Una volta raggiunta una cima per scendere entra in ballo l’aspetto tecnico della specialità, che come tutte le attività alpinistiche costituisce soltanto una parte del cocktail perfetto in grado di garantire l’appagamento e la piena soddisfazione del biker alpinista. La componente meditativa e gli spettacolari scenari che solo la montagna riesce a regalare di solito costituiscono già da soli il meritato premio alle tante fatiche, a cui però va aggiunto il piacere nell’affrontare i passaggi più o meno tecnici che riserva una discesa in quota. Questi, a seconda del livello del percorso, richiedono spesso e volentieri alcune “manovre” di stampo “trialistisco”, che vengono svolte a velocità prossime allo zero. Prima tra tutte il così detto “nosepress” che permette, facendo perno sulla ruota anteriore, di spostare in volo la ruota posteriore consentendo in questo modo di affrontare le curve più strette e difficili assai comuni sui sentieri montani… diciamo che ha la stessa valenza della curva saltata per chi fa scialpinismo su pendii ripidi.

Per un cicloalpinista la montagna non è un bike-park, ma un luogo da amare, rispettare e preservare e come tutte le cose belle va assaporato lentamente: la massima considerazione per gli altri fruitori della montagna fa sì che i rapporti risultino generalmente ottimi. In ogni modo chi frequenta l’alta montagna su due ruote è generalmente tenuto a evitare le zone troppo turistiche e frequentate e difficilmente ripercorre più volte gli stessi sentieri; la consapevolezza che non si debba lasciare alcuna traccia del proprio passaggio, sta alla base di tutto.

Da almeno vent’anni scorrazziamo per monti con le nostre bici tentando di diffondere la nostra passione, anche se di vero “cicloalpinismo” in Italia si è sempre parlato molto poco e, spesso e volentieri, a sproposito facendo non poca confusione. Questa cosa non si può dire per altri Paesi europei, basti pensare alla Germania o all’Austria (lo chiamano Bike-Bergsteigen), dove la cultura verso questa forma di frequentazione è assai più diffusa e sviluppata.
Il cicloalpinismo è quindi un universo ancora relativamente nuovo e tutto da scoprire… un modo sano e in armonia con l’ambiente per poter vivere appieno la montagna, in grado di saziare la voglia di esplorazione e la sete di avventura di chi patisce i luoghi troppo affollati e non ha nessun conto in sospeso col cronometro.

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10 Commenti

  1. parlando con trentini sui 90 anni, per loro non esistevano pullman, treni , auto , moto..solo bicicletta pe r l’avvicinamento Non si scopre niente di nuovo

  2. … nessuna pretesa di scoprire l’acqua calda e massimo rispetto e simpatia per gli alpinisti trentini di 90 anni (… comunque anche i non trentini facevano così!!!) … certo è che confondere il cicloalpinismo con gli avvicinamenti alla montagna è francamente moooolttttoooo riduttivo e vuol dire non aver capito proprio nulla di quanto scritto sopra … sicuramente la colpa è nostra che non sappiamo spiegarci!

  3. Ciao Albert,
    sono Filippo, uno degli autori dell’articolo.
    Ti rispondo solo per dire che noi non abbiamo la presunzione di inventare nulla di nuovo ma solo la voglia di praticare e far conoscere l’escursionismo “cicloalpinistico”. Detto questo augoro a tutti ….du bon portage!

  4. Mi piace molto sia la parola cicloalpinismo che la definizione una sorta di “scialpinismo senza neve”. Effettivamente da malato di scialpinismo, le gite in Montagna fatte con la MTB su certi tipi di itinerari assomigliano allo skialp. Complimenti per l’articolo! D’ora in avanti utilizzerò il termine cicloalpinista per le mie gite in MTB in alta quota!

  5. Domenica scorsa sono salito con un amico sul passo dello Stelvio da Bormio, in bici da corsa, con scarponi nello zaino e sci d’alpinismo attaccati allo zaino.
    Arrivati in cima abbiamo raggiunto le piste alte del ghiacciaio con gli sci e siamo poi scesi al passo e quindi in bici siamo rientrati a Bormio.
    Abbiamo inventato qualcosa????
    Hihihihihihi

  6. Ricordo ancora la mia prima via in Dolomiti, sulla Cima Piccola di Lavaredo, arrivammo lì della chiesetta al margine dei ghiaioni in bici…dopo le bellissime ore passate in parete, abbiamo goduto della gioia di una discesa spensierata in sella alle nostre MTB con le corde che sibilavano sugli zaini e i ferri ancora sull’imbrago che risuonavano ad ogni curva. Se chiudo gli occhi quel momento lo sento ancora.

  7. Ma che meraviglia! Ecco cosa mancava alle nostre montagne! ! Ora sí che il panorama è completo. …
    Pensate a che meraviglia sarà incrociare questi “cicloalpinisti ” in qualche passaggino magari un pochino esposto, per non parlare della piacevole sensazione di dover stare attenti a gente che scende a 30-40 all’ora (hanno detto che vanno piano….).
    Ma lo sapevate che esistono anche le moto da trial elettriche??
    Perché non lanciate anche il “trial-alpinismo”??? Vuoi mettere??!

  8. Caro Bacco….
    non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
    Noi tutti condividiamo un profondo amore per la montagna, il che significa prima e soprattutto un assoluto rispetto per l’ambiente e per chi lo frequenta.
    Non abbiamo nulla a che vedere con coloro che si catapultano giù per le montagne ai 30-40 all’ora…quelli sono i frequentatori dei bike-parks, che talora inopportunamente invadono sentieri non “attrezzati”, esportando le loro pessime abitudini dove non ne avrebbero alcun diritto.
    Se fossimo di quella razza, di noi a quest’ora non ne resterebbe uno vivo.
    Come ben esposto nell’articolo, noi scendiamo per luoghi ove la velocità è assolutamente bandita, per ragioni di incolumità nostra e degli altri, e per ragioni di rispetto per l’ambiente.
    Rispondiamo ad una sorta di codice etico, secondo il quale il pedone ha sempre la precedenza; se in uno dei tuoi passaggi esposti ci incrocerai, sicuramente con la bici sulla schiena e sicuramente più affaticati di te, saremo pronti a farci da parte per lasciarti il passo.
    Purtroppo, la categoria dei maleducati è trasversale , se ne trovano a piedi, come in bicicletta…sulle moto da trial elettriche ancora non so…non ho dimestichezza.
    Mi auguro che Tabacco e Venere siano di vedute più ampie.
    In tutta amicizia
    Zio Dodo

    1. Ciao Zio Dodo, 

      detto che non so su quale basi tu faccia distinzioni tra “voi” bikers bravi e rispettosi e “gli altri” parkaioli cattivoni, ma soprattutto non vedo come potrei farne io o un altro escursionista (avete forse un particolare segno di riconoscimento? ). Detto questo, dici bene tu: “talora invadono inopportunamente  sentieri non attrezzati…dove non ne avrebbero alcun diritto “. È solo sul soggetto della frase che non siamo d’accordo! !

      Buone passeggiate! 

      Ciao 

  9. Ri-ciao, ri-Bacco
    grazie per la risposta, dai cui toni capisco che sei una persona con cui si può discutere, anche partendo da idee e posizioni contrapposte, come nel nostro caso.
    Bene, come distinguere i cattivoni evasi dal bike-park da quelli buoni che si definiscono cicloalpinisti?
    E’ semplice: sei su un sentiero di montagna. All’improvviso senti rumore come di biciclette che scendono: ti guardi intorno per localizzarle.
    Se, prima di capire da dove arrivino, ti trovi pancia a terra, con l’impronta di un copertone tassellato da 2,7 (segnati questo numero, i cicloalpinisti buoni raramente vanno oltre il 2,3-2,4) che va dalla nuca attraverso le scapole, fino al solco intergluteo e quindi giu’ giu’ fino ai malleoli, ebbene quello era un evaso…Se al contrario ad un tratto il rumore cessa, e vedi una o più persone che, ferme o quasi, ti salutano, ti sorridono e ti lasciano passare, bene con ragionevole certezza quello è un cicloalpinista, o almeno uno dei tanti che conosco e frequento io.
    Detto questo, inutile negare che il problema esista, esiste eccome ed in misura tale da giustificare ampiamente il tuo disagio. Che è anche il nostro disagio.
    Nelle mail precedenti, sia tu che io accennavamo a diritti e non diritti: ma non esistono diritti per coloro che non siano disposti, prima di tutto, a rispettare ben precisi doveri. Noi sappiamo bene che chi va in montagna a piedi è arrivato prima di noi, e sappiamo che i sentieri che con tanta gioia percorriamo con le nostre biciclette sono stati tracciati prima e soprattutto per gli escursionisti. Per questo, e scusa se mi ripeto, riteniamo preciso ed inderogabile dovere rispettare chi va a piedi, dandogli sempre la precedenza e rispettandolo ad ogni costo. E riteniamo la montagna un patrimonio da preservare, il nostro più bel patrimonio. Con questi doveri ben chiari, riteniamo che andare per montagne in bicicletta o a volte con la bicicletta (sottile differenza) significhi esercitare un legittimo diritto, non essendoci legge alcuna che impedisca questa pratica, se non nei Parchi Nazionali. E’ una tendenza che si sta espandendo, e credo che sia ormai inarrestabile, prova ne sia che molte sezioni del CAI (istituto che non brilla per apertura mentale) si stanno attrezzando o si sono già attrezzate da tempo per costituire i gruppi ciclistici. E’ inevitabile che pedestri e ciclisti debbano trovare il modo per convivere. Devo dirti che la stragrande maggioranza di coloro che incrociamo in montagna, dimostra simpatia e curiosità, contaccambiando il nostro saluto e magari chiedendoci da quale manicomio siamo scappati..raramente ci capita di incrociare l’incazzato per principio, che grugnisce e non contraccambia il saluto, ma per questi purtroppo non c’è niente da fare: chi riesce ad essere intollerante anche in montagna, col sole, è irrecuperabile e non lo riteniamo un interlocutore valido.
    Ciò detto, il problema esiste, eccome: il ciclismo in montagna (ripeto, ben diverso dal”cicloalpinismo”) sta diventando uno sport ” di massa” e dove c’è la massa sorgono i problemi: la vita di tutti i giorni ci insegna che l’educazione ed il buon senso sono qualità tanto preziose quanto rare…e nel grande numero il cafone e l’incivile rischia di diventare più numeroso dell’educato e rispettoso. E’ un problema che prima o poi andrà affrontato, perchè l’ultima cosa che gente come me vorrebbe vedere è che tanti smettessero di andare in montagna a piedi perchè ci sono i cicloalpinisti. Come affrontare la questione? chiudendo tutte le montagne alle biciclette? oppure rendendo obbligatorio che chi va in montagna con la bicicletta abbia la necessaria conoscenza dei propri doveri e del comportamento da tenere (che so, una sorta di “patentino” del ciclista in montagna, senza il quale non sia consentito muoversi…).
    Solo parlandone e discutendone come stiamo facendo noi potremo affrontare e, spero, risolvere la questione.
    L’intolleranza non farà che peggiorarla.
    Un caro saluto
    ZD

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