Storia dell'alpinismo

Inverno al Nanga, una lunga storia

[:it]BERGAMO – Nelle prossime ore Elisabeth e Tomeck tenteranno di raggiungere la cima del Nanga Parbat in invernale, un’impresa che nessun alpinista è mai riuscito a realizzare e che farà entrare chi ci riuscirà nella storia dell’alpinismo. Sulla montagna al momento altre tre squadre (Moro-Lunger, Nanga Dream, Nardi-Txicon-Sadpara) aspettano il momento giusto per la vetta, mentre la quarta, composta da Bielecki e Czech, ha pochi giorni fa rinunciato.

L’impresa che i team in questi giorni stanno cercando di portare a termine non è però cosa nuova, il Nanga Parbat invernale ammalia infatti gli alpinisti da ben 25 anni e la sua inviolabilità accresce ogni inverno il suo fascino.

Il primo tentativo di scalata invernale del Nanga è avvenuto nel 1988-1989. Una squadra di dieci alpinisti (otto polacchi, un colombiano ed un italiano), guidati da MacieJ Berbecka, spinti dai successi delle spedizioni in Himalaya, decisero di tentare la scalata al Nanga Parbat dalla parete Rupal. A causa delle condizioni meteo, il progetto iniziale fu abbandonato, decidendo di ripiegare sulla via Messner. Il team fu però costretto a confrontarsi con le temperature basse, il ghiaccio duro, il forte vento ed il un numero esiguo di finestre di bel tempo.  Dopo aver raggiunto la quota massima di 6800 mt, il tentativo fu abbandonato.

Maciej Berbeka tornò al Nanga nell’inverno del 1990-1991, forte dell’esperienza dell’anno precedente. Undici alpinisti, di cui sette polacchi e quattro inglesi, il piano era conquistare la vetta dalla via dei fratelli Messner, ma anche questa volta il maltempo fu decisivo e gli alpinisti non riuscirono ad arrivare a campo 3, all’altitudine di 6800 mt. Maciej Berbeka non si perse però d’animo e decise di cambiare anche questa volta via, passando per la Schell: il piano era acclimatarsi fino a 7000 mt, poi tentare la cima. Il vento li fece arrendere a 6600 mt.

La stagione invernale del 1992-1993 fu quella del tentativo di due francesi, Eric Monier e Monique Loscos, anche loro dalla via Schell. Anch’essi si fermarono a causa del forte vento a 6500 mt.

DSCN0995Nell’inverno 1996-1997 furono invece due le spedizioni che provarono l’impresa: una inglese, l’altra polacca. La prima sulla via Kinshofer, passando per la parete Diamir; percorso scelto anche dai secondi dopo due tentativi non andati a buon fine sulla via Rupal. La spedizione britannica si fermò ben prima dell’arrivo dell’inverno, a novembre, arrivando alla quota massima di 6000 mt. I polacchi, guidati da Andrzej Zawada, riuscirono ad arrivare oltre campo 4, ma Krzysztof Pankiewicz e Zbigniew Trzmiel dovettero tornare indietro a causa di forti congelamenti, il secondo era solamente a 250 mt dalla vetta.

Sempre i polacchi, guidati da Andrzej Zawada, furono i protagonisti di un nuovo tentativo l’anno successivo, nel 1997-1998, ma la stagione invernale quell’anno si rivelò disastrosa: forti nevicate ed incidenti obbligarono ad annullare la spedizione. Altitudine massima raggiunta 6800 mt.

Ci vollero nove anni, nell’inverno del 2006-2007, prima che una nuova squadra decidesse di tentare la conquista del Nanga Parbat. Il team di alpinisti polacchi, capeggiati da Wielicki, fu però bloccato dalle temperature estremamente rigide e dalle bufere di neve, che non consentirono di arrivare oltre campo 3 a 6800 mt.

L’anno successivo, nel 2007, fu l’italiano Simone La Terra, assieme a Mehrban Karim, che provò a conquistare la vetta scegliendo di passare sulla parete Diamir, ma la notte del 21 dicembre una bufera di neve spazzò via la tenda cucina con tutte le provviste. Senza rifornimenti, i due alpinisti decisero di non proseguire annullando la spedizione.

1Il 2008 fu il turno di una squadra di polacchi, formata da Jacek Teler e Jaroslaw Zurawski, di dirigersi sulla parete Diamir, ma l’abbondante neve, il freddo, le difficoltà di approvvigionamento, costrinse gli alpinisti a terminare la spedizione a dicembre.

Il decimo tentativo di scalata del Nanga in inverno, nel 2010-2011, avvenne ad opera di Serguey Tsygankov sulla via kinshofer, ma solo dopo pochi giorni dall’arrivo al campo base, il russo iniziò ad avere i sintomi di edema polmonare, che lo costrinse a ritirarsi.

Sempre nel 2010 il duo polacco Tomek Mackiewicz e Mark Klnowski, sotto la bandiera di Justice for All, arrivarono al campo base del Nanga Parbat per tentare anche loro la salita dalla via kinshofer. Per l’ennesima volta l’abbondanza di neve, l’alto rischio valanghe, unito ad una mancanza di equipaggiamento, costrinsero i due alla rinuncia.

Nella stagione invernale 2011-2012 ci provò Simone Moro, assieme al kazako Denis Urubko. Al campo base erano presenti anche Tomek Mackiewicz e Mark Klnowski, intenzionati a riprovarci dopo la sconfitta del 2010.  Simone e Denis, decisi inizialmente a passare per la via kinshofer, ripiegarono sulla via Messner/Eisendle. Posizionato il campo 3 a 6800 mt, era solo questione di attendere una finestra di bel tempo, ma quell’inverno nevicò interrottamente dal 27 gennaio al 14 febbraio, costringendo i due alpinisti alla rinuncia. Le terribili condizioni meteo costrinsero anche i due polacchi ad abbandonare la montagna, promettendosi che sarebbero tornati l’anno successivo e così fecero.

L’inverno del 2012-2013 vide quattro squadre sul Nanga Parbat. La prima, composta da Tomek Mackiewicz e Mark Klnowski, che decisero, dopo due tentativi falliti sulla kinshofer, di provare ad arrivare in vetta dalla via Rupal. Dopo campo 3, a causa delle condizioni meteo, Marek decise di scendere, mentre Tomek tentò di salire più in alto, raggiungendo i 7400 mt, trovandosi però costretto a tornare al campo base l’8 febbraio a causa dell’intenso freddo e del vento forte.

La seconda, composta dall’americano Ian Overton e dagli ungheresi David Klein e Zoltan Robert, stava tentando la conquista invernale del Nanga sulla parete Diamir, percorrendo la via Messner. Il team abbandonò il 10 febbraio, il punto più alto raggiunto 5400 mt.

Sempre sul lato Diamir erano presenti Daniele Nardi ed Elisabeth Revol. L’italiano e la francese arrivarono a 6400 mt, ma prima di dover abbandonare la spedizione decisero di fare un ultimo tentativo passando dallo Sperone Mummery, giungendo però solo a 6000 mt.

Lo stesso inverno, lo scalatore francese Joel Wischnewski, scomparve il 6 febbraio, dopo aver lasciato il campo 2. Il corpo fu ritrovato nel mese di ottobre, si sospetta che fu travolto da una valanga mentre tentava di arrivare a campo 3.

Anche l’inverno del 2013-2014 le spedizioni che tentarono la vetta furono quattro.

Sul versante Diamir Daniele Nardi tentò la vetta in solitaria passando per lo Sperone Mummery, ma le condizioni della montagna si rivelarono pericolose, tanto che l’italiano dovette rinunciare a 5450 mt dopo essere scampato ad una valanga.

Sulla parete Diamir anche il tedesco Ralf Dujmovits, per la via Messner, ma anche lui, per timore dei seracchi e della valanga, decise di abbandonare dopo essere arrivato a campo 1 a 5500 mt.

P1040980-788599Due squadre invece sul versante Rupal: la prima composta da Tomek Mackiewicz e Mark Klnowski, il quale per ragioni personali lasciò la squadra nel mese di gennaio, ed altre quattro alpinisti polacchi; la seconda da Simone Moro e David Gottler (al campo base Emilio Previtali). Gli alpinisti provarono per tre volta di arrivare in vetta, ma per le condizioni meteo erano sfavorevoli, il team di Moro e Gottler terminarono la spedizione il 3 marzo, mentre i polacchi fecero un ultimo tentativo l’8 marzo, che si trasformò in una missione di soccorso quando due compagni furono colpiti da una valanga.

L’inverno dell’anno scorso fu il turno nuovamente di Daniele Nardi, intenzionato nuovamente ad aprire una via nuova lungo lo Sperone Mummery sulla parete Diamir. Dopo aver deciso di ripiegare sulla via Kinshofer, si unì alla spedizione di Alex Txikon ed Alì Sadpara. I tre, dopo aver lasciato campo 4, sbagliarono però via, mancando il canale che avrebbero dovuto scalare, decidendo così che la cosa migliore e responsabile fosse rinunciare. Assieme all’italiano, al basco ed al pakistano, avevano iniziato la salita anche gli iraniani Reza Bahadorani, Iraj Maani e Mahmood Hashemi, che decisero però di tornare indietro al campo 1 senza arrivare al campo 2.

Sulla via Messner invece Elisabeth Revol e Tomasz Mackiewicz dopo due tentativi di vetta, il primo tornando indietro a 7500 metri il secondo fermandosi a 7800 metri, diedero addio alla cima per l’intenso freddo.

Sul versante Rupal c’erano invece i russi Nickolay Totmjanin, Valery Shamalo, Serguey Kondrashkin e Victor Koval, arrivati a campo 4 a 7150 mt e fermati dal mal tempo.

Venticinque anni di tentativi per raggiungere la cima di una montagna rimasta inviolata finora. Forse stanotte sarà quella giusta per scrivere finalmente questa pagina della storia dell’alpinismo.

 

 

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