AlpinismoAlta quota

Daniele Nardi: riconoscere i “doctor” del K2

Daniele Nardi
Daniele Nardi

Quando rientro, dopo un rapido giro sul ghiacciaio, al campo base trovo come sempre in questi giorni Taqi, il capo spedizione del team K2 60years later. Sta parlando con Hassan Jan il climber leader che ha condotto tutti verso Campo2. Sono rientrati tutti questa mattina, in quota c’è vento. Ieri erano già rientrati Michele e Simone. La radio oggi tace.

Parlando con Taqi di fronte ad una fumante tazza di tè cerco di capire perché questo gruppo di Pakistani sta tentando di scalare il K2. Fino a qualche tempo fa queste montagne erano prerogativa degli stranieri, i Pakistani erano i portatori. Oggi Taqi mi fa intravedere un cambiamento che lascerà il segno. “Vogliamo mostrare che non siamo solo portatori ma guide sulle nostre montagne, le più alte e belle del mondo”. Ascolto le parole nell’inglese stentato di Taqi, sento la sua passione per la montagna e il desiderio di trasformarla nel lavoro di guida. La passione per le alte quote, per l’aria sottile e per la scalata fa gli uomini uguali penso. Ad Hushey, un villaggio al di là della cresta che separa il ghiacciaio del Baltoro dal resto del Pakistan, è nata una scuola di alpinismo per imparare a scalare su roccia e su ghiaccio. Vedo nei suoi occhi le cascate di ghiaccio che mi descrive, torrenti che di inverno a due passi da Hushey diventano teatro di allenamento per lui e per i suoi trenta allievi della scuola. E ora il sogno di scalare il K2. Un sogno sostenuto da EvK2Cnr che ha dato il definitivo “la” con il suo sostegno forte alla realizzazione della spedizione  nel 60mo anniversario dalla prima salita.

Il team di guide pakistane in questi giorni è sceso e salito lungo lo sperone Abruzzi sistemando corde, tagliando le vecchie e pericolose corde lasciate da altre spedizioni, pulendo la loro montagna. Hanno fissato chiodi, senza risparmiarsi. Con il passare dei giorni altre spedizioni sono arrivate per salire la regina delle montagne: sherpa, Polacchi, Italiani, Iraniani, Finlandesi, Canadesi  ed altri ancora e a dirla tutta mi sembrano tutti un poco in ritardo rispetto alla stagione, o c’è forse chi ha imparato ad attendere il fissaggio delle corde? Le guide pakistane hanno passato la notte a campo 2 per allestire campo 3 e la piramide nera: rocce mescolate a neve e ghiaccio tra i 6700 metri ed i 7300 metri. Le corde sono su. Ma oggi troppo vento.

Penso ai Doctor dell’Icefall all’Everest, che sistemano il grande ghiacciaio con scalette, corde verso il colle sud e poi la vetta. Loro questo lavoro lo hanno imparato già da tempo ma qui al K2 è tutto molto più difficile. Almeno due spedizioni commerciali sono già presenti e forse ne arriveranno altre. Sherpa e tanti clienti, 80 bombole di ossigeno, con pessime corde di nylon di quelle che non sai bene quante salite e discese terranno e sopratutto non sono sufficienti per arrivare in vetta, almeno non per dei clienti che non ne possono farne a meno in nessuna parte della salita (anche se nessuno esclude che dentro una spedizione commerciale ci possano essere scalatori forti).

Taqi è andato a chiedere soldi per la stesura ed il fissaggio delle corde a tutte le spedizioni presenti. Alcuni hanno rifiutato, altri dopo tanto parlare hanno proposto in cambio del lavoro sulla montagna, il trasporto delle corde in alto. Eppure fino a questa notte a campo 2 con l’intenzione di andare verso campo 3 ci sono stati i pakistane, aiutati dai polacchi. Tutte le corde necessarie sono ora su. Lungo la morena del campo base ho visto erigere una torre di sassi per la Puja, la preghiera Nepalese per ingraziarsi le divinità e per la buona riuscita di una scalata. Riso che vola in aria, preghiere e sotto le bandierine verranno benedette le attrezzature, la corda fissa, le piccozze, i ramponi e 80 bombole di ossigeno. Simone La Terra, Tamara Lunger, Klaus Gruber e Giuseppe Pompili non hanno fatto una piega ed hanno pagato i soldi che i Pakistani hanno chiesto per il lavoro svolto sulla montagna, riconoscendo di fatto il loro lavoro e la loro professionalità. Questa mattina, dopo la Puja, la tipica cerimonia, alcuni sherpa sono partiti per campo due.

Tempo fa passando sull’Icefall dell’Everest in Nepal mi capitò di superare un gruppo di persone passando non proprio sulla strada preparata da corde fisse e scalette. Fui veloce e le occhiate aggressive degli Sherpa non fecero in tempo a posarsi. Qui per fortuna l’aria è molto più serena. Chiedo a Taqi che utilizzo faranno di quei soldi e lui mi risponde “Questi soldi li useremo per far crescere la nostra scuola di alpinismo, per insegnare ai giovani a scalare e poi abbiamo bisogno di imparare l’ inglese perché altrimenti non saremmo delle buone guide”.

Daniele Nardi

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2 Commenti

  1. Sono molto contento che il lavoro e la dedizione nei confronti di questi bravissimi ragazzi stia dando i suoi frutti. E’ grazie a questi programmi educativi che si possono creare nuove e vere opportunità di lavoro e di miglioramento. Senza assistenza, senza imposizioni, senza stravolgimenti.
    Cinicamente mi piacerebbe che fossero meno religiosi, troppo facile pensare che con una preghiera e qualche rito la montagna sia più buona. La natura è assolutamente e del tutto indifferente, la salvezza sta nella preparazione non nella preghiera. Tuttavia, se tutto ciò serve a dar loro serenità e forza di volontà, anzichè renderli cinici avidi ed egoisti come gli occidentali, beh ben venga!

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