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La nuova via dei Ragni: il parere di Maurizio Giordani, in vetta all'Uli Biaho nel 1988

Maurizio Giordani (photo Maurizio Giordani)
Maurizio Giordani (photo Maurizio Giordani)

SKARDU, Pakistan – “Roccia verticale, incrostata di ghiaccio, a una quota considerevole…non certo banale”. Con queste parole Maurizio Giordani descrive la parete dell’Uli Biaho, torre di 6109 metri nel Gruppo del Trango, su cui i Ragni di Lecco Matteo della Bordella e Luca Schiera insieme allo svizzero Silvan Schupbach hanno aperto una via nuova nei giorni scorsi. Giordani è stato protagonista insieme a Rosanna Manfrini, Maurizio Venzo e Kurt Walde della seconda salita assoluta della montagna nel 1988: ecco cosa ci ha detto di quella torre e di quella salita, forse ingiustamente trascurata.

La via di Della Bordella, Schiera e Schupbach sale sulla parete Ovest, è lunga 18 tiri, di cui 1 in artificiale, 15 nuovi e 3 finali sullo spigolo Sud già salito da Giordani e soci. Il grado di difficoltà è valutato 6a/6b e potrebbe “essere considerata come la via normale dell’Uli Biaho, visto che gradi alla mano è l’itinerario più accessibile tracciato sulla montagna”. Queste sostanzialmente le informazioni pubblicate sul sito dei Ragni e attualmente conosciute, dal momento che non è stato ancora possibile contattare i protagonisti della salita direttamente sul satellitare.

Nel frattempo però siamo riusciti a raggiungere Maurizio Giordani, straordinario alpinista ed esploratore trentino, uno dei nomi più importanti dell’alpinismo nostrano, con un lunghissimo e variegato curriculum sulle montagne dei 5 continenti. A lui abbiamo fatto qualche domanda sulla sua salita e su quella montagna, poco battuta dagli alpinisti e poco conosciuta ai più.

Com’è la parete che hanno salito i ragazzi?
La parete che hanno salito è oltre lo spigolo e non ne ho conoscenza. Noi non ci siamo spinti fin la. Si tratta comunque di roccia verticale, incrostata di ghiaccio, a una quota considerevole… non certo banale.

Che ricordo hai di quella montagna e di quella spedizione?
Ci siamo stati nel 1988, quando la montagna era stata salita una sola volta, dagli americani. Avevamo quasi tutta la parete a disposizione ed abbiamo scelto di salire il pilastro più attraente e solare, anche se il freddo e il ghiaccio non ci hanno risparmiati.

All’epoca se n’era parlato della vostra salita? Voglio dire, rispetto ad oggi, era “passato” nel mondo alpinistico il valore dell’impresa?
La salita è stata presa in considerazione nei libri più importanti sullo stile alpino in Himalaya ma non c’era internet e quindi la notizia è uscita prevalentemente su qualche rivista italiana. Pensa che in quei giorni ho salito in solitaria la vetta della Grande Torre di Trango ma non si sa molto, oggi, di questo.

Ti fa piacere che altri italiani siano tornati su quella montagna?
Certo. Mi fa molto piacere sapere che vi è ancora qualcuno assetato di vera avventura. E Matteo è uno di questi…

Dovendo suggerire un altro obiettivo alle nuove generazioni, qual è il primo che ti viene in mente senza pensarci?
Io sono sempre stato attratto da montagne poco conosciute, dalle forme slanciate… torri di roccia, pareti ripide, montagne difficili. È qui che c’è l’avventura più bella…

 

I Ragni di Lecco, David Bacci e Silvan Schupbach sfrutteranno gli ultimi giorni in Karakorum su altre pareti: secondo le intenzioni, Della Bordella e Bacci proveranno a salire “Eternal Flame”, una delle vie più famose della zona che sale sulla Torre di Trango, mentre Schiera e Schupbach tenteranno di aprire una via nuova.

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