Alpinismo

Maurizio Gallo: una notte da boy-scout con capra bollita e chapati d’artemisia

Haramosh (Photo courtesy www.unclimbed.com)
Haramosh (Photo courtesy www.unclimbed.com)

SKARDU, Pakistan — “Oggi sono a Stak. C’è una stradina che dal fondovalle si arrampica con curve sempre più strette su una parete di sassi in bilico. Ad ogni tornante la jeep deve fare una manovra per riuscire a girare con le ruote sempre vicine al bordo. Sul bordo delle curve sono allineati alcuni sassi per fermare le auto quando, in discesa, devono fare manovra in retromarcia. Così per almeno 20 tornanti, sempre con l’Indo sotto i piedi, sempre più piccolo”. Continua il viaggio nei villaggi del Gilgit Baltistan di Maurizio Gallo, responsabile delle attività in Pakistan del Comitato Evk2Cnr, per discutere con le comunità locali il piano di gestione del Parco del K2.

Poi di colpo la valle si apre e si spiana in una conca bellissima con lo sfondo dei ghiacciai che portano all’Haramosh una cima di oltre 7000 metri quasi inviolata. Assomiglia all’Annapurna. Vedo da lontano delle sagome che scendono da un costone ripidissimo: sono le donne che tornano da chissà dove portando sulle spalle un carico enorme di rametti di Artemisia. Si vedono solo le gambe colorate sotto una montagna di legna. Sono partite col buio e tornano ora perché devono preparare il pranzo: si vede che sono in ritardo e accelerano quando possono: scendono da un posto così ripido che da noi verrebbe attrezzato con cavi metallici uso ferrata. Ho sempre pensato che se i pakistani facessero arrampicata sportiva sarebbero imbattibili: hanno un equilibrio e una sensibilità sui piedi da far invidia anche al “mago”!

L’Artemisia è un arbusto che piace all’ibex e al markhor (specie di caprone enorme, con corna stupende, cacciato per 50.000 $ a capo e naturalmente protetto!). Non piace alle capre, ma è indispensabile per la sopravvivenza anche degli umani. Qui la usano per fare i tetti delle case intrecciandola e ricoprendola di fango, sterco e residui della trebbiatura per rendere i tetti piani impermeabili e in grado di sostenere le numerose persone che ci camminano sopra per mille usi domestici. La usano come fertilizzante mescolando le foglie secche con il letame e lasciando macerare il tutto in acqua per una settimana prima di spargerlo sui campi. Ma soprattutto l’artemisia è il legno ideale per cucinare i migliori chapati, assolutamente diversi dagli altri.

L’Artemisia è da proteggere, ma come fare a farglielo capire se da sempre continuano ad usarla? Non si può piantare, si riproduce da sola abbondantemente, ma cresce molto lentamente.

Ormai mi son fatto la bocca ai chapati, e quelli cotti sulle ceneri di artemisia non hanno uguali, per me può essere uno sfizio, ma per loro che mangiano praticamente solo quello è tutta un’altra cosa. E’ come se noi, invece di bere un buon bicchiere di vino, fossimo costretti sistematicamente al vino acido tutti i giorni per tutta la vita.

Poco dopo il nostro arrivo iniziano ad arrivare tutti, specialmente gli anzianissimi e i ragazzini che si accalcano fuori dai vetri delle finestre per vedere cosa fanno dentro i grandi. Tutti seduti in cerchio a gambe incrociate: una frase, un the, una frase, un the. E avanti così per tre ore (poi alla sera non riesco a chiudere occhio neanche un attimo).

Dopo un po’ inizio a non farcela più a stare seduto così, dolori alle ginocchia e formicolii, allora iniziano a portarmi dei cuscini rotondi da mettermi dietro la schiena. A volte è un supplizio questo management plan.

Ma poi scopro che loro, da sempre, si sono dati un “management plan” delle risorse che hanno: dobbiamo solo conoscerlo e adattarlo. Per vedere come sono le condizioni delle pasture e della foresta di ginepri decidiamo di arrivare al limite della neve, un ultimo gruppetto di case poco prima del fronte del ghiacciaio.

Poi arriva il momento della cena, attorno al fuoco, caldo davanti e freddo sulla schiena, come quando dodicenne facevo il boy scout in Dolomiti. Noi facevamo le “scenette” e loro danzano attorno al fuoco, una danza solo fatta da uomini con gesti che alludono a rapporti intimi e strani fischiettii.

Nel pentolone sul fuoco bollono pezzetti di capra che hanno sgozzato facendo scivolare il sangue sui capelli in segno di augurio. Purtroppo dopo un’ora arriva il momento di mangiarla in una ciotola buia, provo ma non ci riesco: odore e sapore fortissimo, da vomito. Che fare? Ciotola piena, tutti bevono e mi guardano, decido di mettermi a ballare e con rapida mossa riesco alzandomi a svuotarla dietro la schiena…

Il peggio è passato, e troviamo ancora un po’ di tempo per discutere come mai invece di coltivare i pioppi (diffusissimi in tutte le altri del valli del Parco ma non qui) continuano a tagliare ginepri per costruire le nuove case. Decidiamo di attivare una piantumazione di 10.000 pioppi in una area messa a disposizione dal villaggio che poi gestirà l’utilizzo e la distribuzione del legname prodotto.

Anche questa sera vado a dormire “stanco ma contento”. Dove? In una casa del villaggio su una copertina che vi raccomando!

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