Alpinismo

Là dove la natura ha odore: il Parco del K2 prende vita nei villaggi

Maurizio Gallo nei villaggi del Karakorum
Maurizio Gallo nei villaggi del Karakorum

SKARDU, Pakistan — Hushey, meno venti gradi. Siamo sopra i 3000 metri di quota sotto l’incredibile parete del Masherbrum, quasi un 8000 di roccia e ghiaccio verticale praticamente inscalabile. In questi villaggi, la prima cosa che colpisce è l’odore. Qui si vive dentro la natura: noi non sappiamo neanche più cosa vuol dire. Sono loro i primi che daranno una mano al Parco del K2 per favorire questo continuo scambio uomo-ambiente da cui nasce la loro storia.

Dopo gli incontri con le autorità del Gilgit Baltistan per la presentazione e l’avvio del processo di approvazione del management plan, sono “partito” per le montagne, diretto ad incontrare le comunità locali per presentare loro i contenuti del piano di gestione del Parco del K2 e per raccogliere commenti, proposte e verificare i confini della Core zone e Buffer zone.

Intorno al Parco, stiamo parlando di 10mila km quadrati, ci sono un centinaio di villaggi alcuni raggiungibili da Skardu con sei ore di jeep su strade per lo più improbabili spesso interrotte da frane. Quando si dice “adesso parte il processo di implementazione del piano” quasi tutti non si rendono neppure conto di cosa questo poi vuol dire.

A Skardu erano riuniti 16 chairmans di tutte le organizzazioni locali dei villaggi di tutta la parte del Parco che sta in Baltistan, da Hushey a Stak. Il primo incontro non è stato facile: con il mio inglese, l’urdu di Yasir, il braccio destro di Abid il direttore del Parco, lo Shina di Shazada, il Balti di Ismail, (questi ultimi dello staff EvK2Cnr) si è cercato di fare “chiarezza” in un mare di dialetti. Fra ripetuti passaggi di tazze di the, capannelli agli angoli oscuri della sala si è arrivati a una conclusione positiva e all’impegno di continuare la presentazione comunità per comunità.

Il management plan se l’è cavata bene. Si è discusso sull’assunzione dei 25 game watcher, guardaparco. Garante di tutto questo è il progetto Seed, implementato tre anni fa da Evk2cnr e incaricato della sopravvivenza del Parco, la qualificazione e la formazione personale nonché della stesura degli strumenti attuativi come il Management Plan.

Poi via per Hushey a meno venti gradi. Hushey… villaggio sopra i 3000 metri di quota sotto l’incredibile parete del Masherbrum, quasi un 8000, di incredibile bellezza, roccia e ghiaccio verticale praticamente inscalabile. La strada è bloccata da frana. Cambio jeep, fango ghiacciato sulla carreggiata. Il villaggio è spazzato da un vento gelido che scivola giù dalle pareti del Masherbrum ed entra nelle case scavate nel fango quasi per ripararsi.

Ali Rosi, un “high porter” ormai a riposo ma sempre presente nel nostro Concordia Rescue Team e un guru locale, mi sta aspettando di fronte a casa sua circondato da un nugolo di bambini. Mi dice che e stato un inverno difficile, poca neve e di conseguenza tanto vento e freddo. Per loro neve significa caldo…

Mi invita a bere un the in casa. Ecco, per chi non e mai stato in inverno in questi villaggi, la prima cosa che colpisce è l’odore. Mi rendo conto immediatamente che ormai noi viviamo in un mondo senza odori, quello che chiamiamo asettico, olfatto praticamente inutilizzato.

Dopo un lungo inverno passato chiusi nel “kaza” una specie di grotta dove vivono assieme uomini e capre, per quattro mesi praticamente sempre accucciati davanti al fuoco sempre tenuto acceso dalla nonna, accucciati per rimanere sotto la cappa di fumo che invade le parte superiore della casa-grotta, tutti uomini bambini hanno un addosso un odore profondo e sono tutti praticamente neri e affumicati, senza lavarsi perché tutti i torrenti sono gelidi.

In estate sono molto più puliti, devono accogliere i turisti alpinisti, mettono i vestiti della festa e si lavano un po’, ma in inverno… Siamo quasi in un’altra era. Qui si vive dentro la natura: noi non sappiamo neanche più cosa vuol dire.

Qui tutto quello che la natura dà o nega è di loro proprietà, con regole di diritto che esistono da sempre e regolano la vita fra i villaggi e all’interno del villaggio: l’erba è loro, gli arbusti sono loro, gli animali, siano l’amico ibex dalla buona carne affumicata per passare l’inverno o il nemico leopardo delle nevi che preda le capre, sono loro.

L’acqua, il bene primario, è loro. e rigide regole ne regolano la proprietà e l’uso. L’acqua è scambiata per terra coltivabile, qui non vivono le galline perché è troppo freddo, si mangia daal a colazione con pezzi di capra che io non riesco neanche a masticare anche se mi impegno al massimo per riuscirci. Sono cacciatori incredibili: anche solo armati di bastone rincorrono una specie di fagiano su rocce ripide come camosci per colpirlo. Combattenti e predatori di natura, uomini duri e donne sempre al lavoro.

Io sono qui a parlare di gestione delle risorse del parco del Karakorum. E intorno a me un branco di ragazzini con i capelli dritti per la polvere e fango: sono praticamente identici ai rami di rosa canina spinosa di cui mangiano le bacche come caramelle, alternando scagliette di arenaria che per loro fa un po’ da cioccolata. Le donne riempiono a mano gerle di letame che svuotano nei campi appena scoperti dalla neve e poi con le stesse mani cucinano chapati.

Quando, radunato il consiglio dei saggi, inizio a parlare di Parco, di regole per proteggere l’ambiente, mi rendo conto che la comunità ha molto chiaro cos’è il global warming. Stanno già modificando le loro abitudini per adeguarsi alla nuova situazione con meno neve, mi spiegano che da sempre hanno delle regole interne di gestione, ogni famiglia può raccogliere un numero massimo di gerle di legna, se ne raccoglie di piu deve pagare una quota alla comunità, se qualcuno viene sorpreso con legna verde paga una multa perché la legna verde può essere usata solo per scaldare la moschea.

Insomma loro non potrebbero proprio vivere senza la natura e sono i primi che daranno una mano al Parco per favorire questo continuo scambio uomo ambiente.

 

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