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Cambiamenti climatici e fusione del permafrost: la cause dietro alle frane

Il posizionamento dei termometri per lo studio del permafrost in Alta Valtellina (Photo Share Stelvio)
Il posizionamento dei termometri per lo studio del permafrost in Alta Valtellina (Photo Share Stelvio)

MILANO — La frana del Monte Pelmo ha avuto una dimensione enorme, stimata tra i 2.500-3.000 metri cubi. Ma quali sono le cause che l’hanno provocata? Probabilmente più di una, ma tra le altre ci sarebbe anche la fusione del permafrost, e quindi i cambiamenti climatici.

Il riscaldamento globale provoca infatti l’innalzamento delle temperature, che a sua volta provoca la fusione del permafrost, quello strato di roccia e ghiaccio perennemente gelato situato di solito in alta quota, di solito intorno ai 3000 metri. Il risultato di questa fusione sono appunto dissesti, frane come quella del Pelmo, che ha causato la morte di due uomini del Soccorso alpino.

“Non conosco direttamente quella zona – ci ha detto il Professor Smiraglia, docente dell’Università di Milano, collaboratore del Comitato Evk2Cnr e punto di riferimento internazionale per gli studi di glaciologia e geografia di montagna -, non ho mai fatto misure o lavori lì, però di fatto l’ormai notissimo fenomeno della fusione del Permafrost è ai giorni nostri uno dei fenomeni scatenanti delle grandi frane che si stanno verificando negli ultimi anni”.

“Bisognerebbe vedere esattamente in Dolomiti a che quota è avvenuta la frana – ha concluso Smiraglia -, se ci sono misure delle temperature della roccia e così via. In linea di massima però la fusione del Permafrost è senz’altro il fenomeno che ai giorni nostri sta provocando questo sfacelo delle montagne, anche se sulle Alpi occidentali o Centrali in realtà il permafrost si trova a quote più elevate, di solito sopra i 3000 metri”.

Distaccamenti franosi di queste dimensioni sarebbero poi anche difficili da prevedere, anche perché condizionati da diversi fattori.

“Nel già grave quadro di dissesto idrogeologico in cui versa il territorio nazionale – ha dichiarato Gian Vito Graziano, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi -, le frane di crollo sono spesso sottovalutate. Eppure il quadro delle pericolosità e dei rischi legati a questi fenomeni è diffusissimo non solo nelle nostre aree montane. Si tratta peraltro di fenomeni che si innescano improvvisamente senza che si riscontrino di solito segni precursori di quanto sta per avvenire. E’ quello che è già accaduto a Ventotene e che purtroppo si è ripetuto oggi a Monte Pelmo. Fondamentale per l’innescarsi di queste frane è lo stato di fratturazione della roccia, ma altri fenomeni naturali (gelo e disgelo, circolazione delle acque, eventi sismici ecc.) ed antropici (incendi), ne aumentano la gravità”.

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3 Commenti

  1. mi chiedo come sia possibile paragonare ventotene al monte Pelmo. se le vicende idrogeologiche possono influenzare un isola, questo non è altrettanto vero per il Pelmo e sopratutto per la località in cui è avvenuto il distacco. Ma Graziano lo ha mai visto il Pelmo?

  2. E’ una realta’ che lo scioglimento del permafrost sopra i 2500m ha imposto la ricostruzione di impianti dierisalita, come quello del Corvatsch in Alta Engadina. Inoltre la spraizione di “nevi petenni” aumenta l’esposizione ai cicli di disgelo e rigelo. Frane per erosione si sono sempre verificate: penso cambno pero’ la frequenza e le zone a rischio. AT

  3. Ma non è più probabile che con un mese di Luglio come quest’anno si sia intensificato il fenomeno di gelo/disgelo e sgretolato sempre più una rocca che per sua natura è molto meno resistente agli stress meccanici rispetto a le rocce metamorfiche?

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