Ricette e sapori

Il vino e la montagna

Il cambiamento climatico riporta i vigneti in quota per sfuggire ai picchi di calore e ottenere vini originali

I vini di montagna sono tanti e diversi tra loro, ed è difficile riscontrare elementi comuni. In genere sono vini freschi, immediati, non pesanti: si accompagnano bene con i piatti locali, e sono sempre apprezzati da alpinisti ed escursionisti. Perché sono buoni, perché sono montagna e fanno parte a tutti gli effetti di quel mondo.

Il vino venuto dal freddo

Perché la vite, che si considera in genere piuttosto erroneamente una pianta mediterranea, era così popolare tra le montagne? e perché a un certo punto ha cessato di esserlo?

L’azienda contadina di montagna non era specializzata, si cercava di strappare a una terra dura e sassosa tutto ciò che si poteva. La viticoltura si sviluppò soprattutto nelle valli con orientamento Est-Ovest, che presentano quindi un versante esposto a sud, come la Val di Susa, la Val d’Aosta, la Valtellina. Basata in buona parte sull’allevamento di animali, l’azienda contadina riservava alla vite spazi spesso impervi, sui pendii esposti a mezzogiorno, dove la forte radiazione solare estiva e la scarsa capacità dei suoli di trattenere l’acqua non favorivano la crescita dell’erba: d’altra parte in piena estate le mandrie salivano in alpeggio a quote più alte, le zone di fondovalle e i versanti più ombreggiati erano destinate alla fienagione. Alla vite, quindi, toccavano spesso le terre più difficili, con forte insolazione ma fredde di notte.

Le terrazze, la “grande opera” dei montanari

Per limitare l’erosione, aumentare lo spazio destinato alle radici e trattenere un poco del calore del giorno i montanari creavano i ben noti terrazzamenti in pietra, che ancora segnano tanti paesaggi montani, dal Piemonte alla Svizzera fino alla valle della Mosella in Germania e alla valle del Douro in Portogallo. Non si possono guardare simili meraviglie senza provare un senso di gratitudine per quegli uomini che a prezzo di fatiche sovrumane ci hanno lasciato questa straordinaria eredità. Si è calcolato che mettendo in fila tutti i terrazzamenti in pietra delle vigne d’Europa si supererebbe di molto la lunghezza della Grande Muraglia Cinese. Un patrimonio oggi a rischio, perché i costi della manutenzione sono altissimi e scarseggiano le persone capaci di farla. Pensateci, quando avete l’impressione che un vino di montagna costi troppo.

Lo spopolamento

Nel ventesimo secolo l’abbandono dell’agricoltura ha cambiato il volto delle valli in quasi tutta la montagna europea. Ne hanno beneficiato i boschi. Solo la zootecnia, prevalentemente pastorale, e la selvicoltura hanno mantenuto almeno in parte un presidio umano su molti territori coltivati fino ad alcuni decenni fa a segale, patate, grano saraceno, legumi. E vigneti. Ma per la vite il nuovo millennio ha portato un’inversione di tendenza, anche se lontana dal recuperare il terreno perduto. Basti pensare che nella valli tra Pinerolo e Saluzzo, nel Piemonte pedemontano, all’inizio del secolo erano attestati 25.000 ettari di vigneti, più di quanti se ne coltivino oggi nella Langhe!

In Abruzzo la viticoltura era praticata, fin dal tardo medioevo, soprattutto nelle valli interne, a i piedi delle montagne, e ancora all’inizio del novecento la provincia più vitata era L’Aquila, che oggi rappresenta invece meno del 5% della produzione regionale. I vigneti si sono spostati nella fascia sub-costiera, più fertile e facile da coltivare.

Il ritorno

Oggi molte valli di montagna si vanno pian piano ripopolando di vigneti, anche sotto la spinta del riscaldamento climatico. Vigneti non proprio uguali a quelli vecchi, le tecniche si sono evolute e almeno per alcuni lavori ci sono le macchine invece dell’asino, della vacca (il bue era un lusso per pochi) o dell’uomo. E anche i vini magari non saranno gli stessi, quasi sempre saranno migliori. L’Alta Langa un tempo era colonizzata dal Dolcetto, oggi si produce anche un eccellente spumante metodo classico con le classiche uve della Champagne, Pinot nero e Chardonnay. Molti vigneti di montagna hanno preso questo orientamento, perché le uve da spumante hanno bisogno di maturazioni lente e notti fredde: un clima abbastanza simile a quello che la latitudine offre alla Champagne, sulle Alpi e gli Appennini è frutto invece dell’altitudine.

Riserva di biodiversità

Ma non certo solo vitigni francesi popolano oggi le montagne italiane, che sono, al contrario, un’incredibile miniera di varietà indigene. Negli ultimi decenni gran parte del lavoro degli ampelografi italiani (gli studiosi delle varietà di vite) è stato un lavoro da archeo-botanici: l’enorme patrimonio di varietà di vite presenti in Italia era, in parte è ancora, a rischio: di molte varietà citate dagli studiosi ottocenteschi non è rimasta traccia, di altre sono sopravvissute poche piante, qualcuna è stata salvata dall’estinzione. Ed è stata soprattutto la montagna italiana, da Nord a Sud, a conservare le varietà reliquia: per lo più in vigne familiari, non destinate alla produzione di vini commerciali, ereditate e propagate da generazioni.

Perché queste varietà, dai nomi strani come Cornalin o Baratuciat, non hanno avuto successo? A volte perché la loro qualità enologica è mediocre, ma spesso per altri motivi. Produttività bassa, sensibilità a certe malattie, produzione incostante. Il vino è diventato un genere voluttuario solo negli ultimi decenni: prima era, per il popolo, un’abitudine alimentare, una fonte di calorie a basso costo, e il concetto di qualità soccombeva all’esigenze di riempire il tino.

La riscoperta dei vitigni autoctoni è una delle chiavi del successo recente di certe viticolture di montagna, penso soprattutto alla Val d’Aosta con una serie di campioni come il sanguigno Fumin (vini rossi) e la profumata Petite Arvine (vini bianchi, vitigno originario della confinante Svizzera vallese). Varietà come il Timorasso (originario della Val Borbera) e il Pecorino (dall’Appennino centrale) sono stati anch’essi protagonisti di una recente, grande riscoperta, che ne ha determinato anche la parziale migrazione a quote più basse: ma sono molti i gioielli nascosti ancora in attesa di essere valorizzati.

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