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I 100 passi di Meridiani Montagne. Ferrari: “Un viaggio entusiasmante”

Sta per uscire in edicola il numero 100 di Meridiani Montagne. Il racconto di un lungo viaggio lungo le Alpi, da est a ovest, realizzato dal direttore scientifico della testata, Marco Albino Ferrari, insieme all’antropologo e past president del CAI, Annibale Salsa. Un traguardo importante quello del centesimo numero per l’editore, Editoriale Domus, per tutta la squadra che da anni lavora alla realizzazione della rivista e anche per il già citato Ferrari che ha ideato e diretto per 16 anni la testata.

Scrittore e giornalista, Marco Albino ha dedicato buona parte della sua carriera al racconto delle terre alte. Amante della montagna inizia a frequentarla fin da giovanissimo legandosi in cordata con la mamma, “un’esperienza particolare che, in fondo, abbiamo provato tutti nei mesi trascorsi in pancia dove un cordone ci univa a nostra madre” racconta. “Un cordone ombelicale che io ho rivissuto in tante estati trascorse sul Monte Bianco”, dov’è avvenuto un travaso intellettuale e sentimentale da genitore in figlio. Un coinvolgimento che in principio ha spinto il giovane Ferrari verso l’alpinismo e poi, in un momento più maturo, verso la scoperta culturale delle montagne. Quella in cui poi ha accompagnato tutti i lettori del bimestrale Meridiani Montagne. “Non mi sarei mai immaginato di arrivare al numero cento” spiega. “Quando ho iniziato pensavo che sarebbero state cinquanta o sessanta le monografie, cento sono tante. È un traguardo importante.

Mettere insieme tutti i pezzi così, a caldo, è difficile. “Non riesco ancora a guardare in modo unitario al percorso fatto fin qui. Se mi guardo indietro vedo ogni numero, singolarmente, ricordo lo sviluppo, gli sforzi necessari per costruirli e l’impronta che poi hanno lasciato”. Ogni numero è una storia a sé, come quel primo fascicolo dedicato al Monte Bianco pubblicato nel novembre del 2002. Una vera e propria scommessa da cui poi è nato un viaggio “faticoso, entusiasmante, mai uguale a se stesso. Un percorso ricco, con momenti di ricerca sul campo e altri di elaborazione in redazione”. Diciassette anni di montagne raccontate su carta, di reportage e ricerche che ora trovano compimento in un grande numero, il 100, che va a toccare i luoghi già narrati, già incontrati, unendoli nella trama di un cammino maturo. Un percorso che ha il sapore della storia, non solo quella alpina, ma anche dell’editoria di montagna.

 

Ferrari, per diciassette anni ha raccontato, narrato e vissuto le terre alte attraverso Meridiani Montagne. Come le ha viste cambiare?

“È difficile parlare unitariamente di Alpi. Nella parte occidentale, soprattutto in Piemonte, si è arrivati a una consapevolezza di quel che significa essere montanari. È nato una sorta di orgoglio montanaro grazie soprattutto a ritornanti fieri della loro scelta. Diciassette anni fa non c’era lo sprono a ritornare in quota, a ripopolare i paesini, a rallentare il ritmo della vita. A fianco di questo c’è poi stato il processo di rinaturalizzazione dell’arco alpino. L’avanzamento dei boschi, che era già in corso vent’anni fa, in questi anni è stato ancora più marcato e ha creato le condizioni ideali per il ritorno dei grandi carnivori. Quando abbiamo iniziato a lavorare sulla rivista il lupo e l’orso non erano un problema. Il progetto Life Ursus aveva portato una decina di orsi dalla Slovenia, ma questi erano ancora confinati all’interno della dimensione controllata del parco. Oggi il numero è drasticamente cresciuto e sono diventati argomento di dibattiti molto accesi. Per il lupo, il cui ritorno è databile intorno ai primi anni Novanta sulle Alpi Marittime, vale lo stesso discorso.

Ci sono poi i cambiamenti climatici, che negli ultimi anni stanno trasformando le montagne, con l’innalzamento delle temperature medie annuali e la riduzione delle precipitazioni nevose. Parlando di neve mi viene anche in mente la crisi a cui è andato incontro lo sci in pista, che però continua a sopravvivere grazie alle iniezioni di capitali pubblici. Molte piccole stazioni hanno chiuso mentre le più grandi continuano a espandersi.”

Per realizzare il numero 100 lei e Annibale Salsa siete ritornati, unendoli in un grande viaggio, in molti dei luoghi già narrati nei vari numeri della rivista. Cos’avete vissuto?

“È stato un grande ritorno sui luoghi dove abbiamo posato la lente nel corso degli anni. L’abbiamo fatto con Annibale perché lui è sempre stato al nostro fianco, fin dall’inizio. Ci ha dato quella prospettiva antropologica, quel metodo di osservazione che antepone a tutto il relativismo. Niente è assodato, tutto va calibrato secondo il punto di vista che vogliamo assumere. Questo, che per noi è stato lo sguardo guida di ogni numero, nel cento lo riviviamo tutto in un’unica volta fianco a fianco ad Annibale.

È stato come ripercorrere un indice di nomi e di fatti che si possono trovare nella storia della rivista. Un indice ragionato, dove ogni voce ha una riflessione e un approfondimento.”

Quale uno dei luoghi che l’ha maggiormente colpita nel corso del viaggio?

“Il cimitero di Colle Santa Lucia, piccola isola linguistica ladina geograficamente collocata ai piedi del passo Giau. Una località incantata, posizionata su un promontorio da cui si gode una magnifica vista sul Pelmo.

Lì non è arrivato l’editto di Saint Cloud, quindi il cimitero non è stato trasferito fuori dal centro cittadino ma si trova ancora tutt’intorno alla chiesa. È un posto magnifico dove la cosa che mi ha colpito di più è che le croci sono tutte uguali. Non ci sono differenze, una dimostrazione di come la cultura montanara tenda all’uguaglianza, a un livellamento. Mi ha regalato la sensazione di una comunità, di un’isola, dove tutti sono uguali e a testimoniarlo c’erano le croci: un po’ la sintesi di come io immagino il meglio delle Alpi.”

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