Alpinismo

Jim Reynolds: non voglio rischiare di morire, ma nemmeno di non vivere

Sandali, pantaloni corti e un’anonima maglietta grigia. Si presenta così Jim Reynolds alla sua prima serata europea, evento del ciclo “A tu per tu con i grandi dello sport” organizzato dal negozio DF Sport Specialist. Merito dello slavista e traduttore Luca Calvi che ha insistito più volte fin quando è riuscito a portarlo in Italia. “Credeva fosse uno scherzo all’inizio, ed è servito l’intervento di Alex Honnold per convincerlo” racconta divertito Luca. Genuino nella passione per la montagna Jim, classe 1993, fino a qualche mese fa era un poco conosciuto arrampicatore californiano. Il suo nome era noto a tutti i climber della west coast e a chi, almeno una volta negli ultimi anni, si è cimentato su El Capitan.

Nella vita di tutti i giorni infatti Reynolds fa parte dello YOSAR (Yosemite Search and Rescue). “Ho partecipato a tanti soccorsi: alcuni più difficili, altri più facili” racconta. “Ho partecipato alla ricerca di persone disperse, di feriti, mi è anche capitato di recuperare dei corpi. Con i miei occhi ho visto quanto può essere pericoloso scalare, e anche effettuare un soccorso”, eppure non ha smesso. Vedere le conseguenze estreme che si possono subire l’ha portato a ragionare su quanto può accadere in montagna. “Ho capito che non voglio rischiare di morire, ma nemmeno di non vivere. Dalle idee molto chiare Jim è un amante della montagna tutto tondo, oltre a essere un vero e proprio esperto di sopravvivenza. Nonostante l’età capita infatti spesso di vederlo dare, ai più giovani, consigli pratici su come cavarsela da soli in quota, sulle manovre di auto-sicura e su quelle di auto-soccorso. Ama il suo lavoro come ama le terre alte in tutte le loro forme: arrampica ma gli piace anche camminare, infatti è guida escursionistica; come pure nuotare nei freddi laghi di montagna. Si potrebbe dire che il suo è un amore genuino per tutto quello che è naturale. Quando parla di sè non cita gradi o difficoltà, racconta invece sensazioni, momenti, istantanee dalla parete che sanno di arrampicatori d’altri tempi. In Yosemite, di cui conosce ogni angolo, ha trovato una seconda casa. Quella in cui è fuggito subito dopo una laurea in economia. “Ho scoperto Yosemite che avevo 12 anni, grazie a un corso di arrampicata. Poi ho continuato a tornarci sempre più spesso, fino a decidere di cercare un lavoro per poterci vivere.

Su e giù dal Fitz Roy in free solo

“Credo faccia parte della naturale progressione di un alpinista. Credo che ognuno debba provare a salire slegato, all’interno della propria zona di comfort” così parla Jim quando gli si chiede cosa l’abbia spinto verso l’arrampicata senza assicurazioni. Non fa riferimenti storici a pionieristici personaggi del mondo verticale, molti nemmeno sa chi siano. Molto semplicemente, in quel momento si sentiva pronto a farlo. Esattamente come nel 2017 quando, insieme a Brad Gobright, ha battuto il precedente record detenuto da Alex Honnold e Hans Florine sulla via The Nose a El Capitan (Primato oggi in mano alla cordata Honnold-Caldwell, scesa sotto le due ore). Sono serviti undici tentativi per portare a casa quella realizzazione, ma in quel momento non c’era altro nella testa di Reynolds. “Ogni volta abbassavamo leggermente i tempi, fino a riuscirci. Lo desideravo tantissimo”.

Sul Fitz Roy, lungo la via Afanassief, le cose sono andate allo stesso modo. Jim non si è presentato come un pazzo sotto la montagna, ma ha “studiato” sul posto le possibilità. Prima della grande impresa ha trascorso due mesi in esplorazione delle vette patagoniche, imparando a conoscerne condizioni, valli e realizzando qualche salita. Solo dopo è toccato al Fitz Roy in free solo. “Non avevo un compagno così ho deciso di andare da solo. Ero pronto, mi trovavo nella mia zona di comfort” spiega. “Volevo salirlo” e l’ha fatto. In tranquillità dalla base fino alla vetta, in poco meno di 16 ore. “Ero certo di poterlo fare” e sapeva anche di poterlo ridiscendere sempre senza corda: disarrampicando per circa 1600 metri di dislivello.

Una rivoluzione mediatica

Jim è un po’ impacciato, quasi intimidito da tanta attenzione mediatica. Con le interviste non è a suo agio come con la roccia. “Non mi sarei mai aspettato di ritrovarmi, pochi mesi dopo il Fitz Roy, a fare una serata in Italia” ride. D’altronde, per come la racconta lui, non ha fatto nulla di eccezionale. Solo “quello che mi sentivo di fare in quel momento”. Si stupisce quando gli si chiede: com’è cambiata la tua vita? Per lui, media a parte, non è cambiato nulla. “Quello che ho fatto ha avuto un grande impatto sul mondo della montagna, ma la mia vita continua come primaracconta con un velo di imbarazzo. “Continuo a passare il mio tempo sul El Cap con i miei amici, ascolto musica e scalo”.

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