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Il riscaldamento globale mette a rischio la sopravvivenza dello stambecco alpino

Sulle Alpi è arrivata l’estate, si riaprono i passi, si sciolgono le ultime nevi e c’è qualcuno che inizia a soffrire. Non parliamo degli escursionisti alle prese con i primi caldi ma degli stambecchi alpini.

Secondo una ricerca condotta dall’Università di Sassari e recentemente pubblicata su Scientific Reports, la specie mostra sofferenza di fronte al progressivo mutamento del clima, che sull’arco alpino si presenta sempre più torrido. Le prospettive per il futuro dello stambecco non sono affatto rosee, addirittura si parla di rischio di estinzione.  

Come abbiamo ormai compreso dai molteplici articoli scientifici che affrontano il tema degli effetti del riscaldamento globale sulle specie viventi che popolano le zone montane, piante e animali si trovano al momento su una scala verso il cielo, la cosiddetta “starway to heaven”, modo simpatico per descrivere la tragica migrazione verso quote maggiori alla ricerca di nuovi habitat idonei alla propria sopravvivenza.

Salendo in quota lo stambecco incontrerà crescenti difficoltà nel reperire cibo in quantità e qualità idonee. La competizione per l’approvvigionamento di nutrienti non sarà soltanto interna alla specie ma anche tra le diverse specie che saranno costrette a migrare in quota. Spazio e cibo inizieranno a non bastare per tutti.

Lo studio si è concentrato nello specifico sugli stambecchi del Parco nazionale del Gran Paradiso in Valsavarenche, in Valle d’Aosta, la cui popolazione ha già mostrato un dimezzamento dagli anni ’90 a oggi.

I ricercatori ne hanno monitorato comportamenti e spostamenti, che sono poi stati combinati con i dati dei climatologi per costruire uno scenario potenziale del destino della specie.

Lo stambecco alpino risulta essere molto ben adattato ai climi rigidi ma, come spiegato dalla biologa autrice dello studio Francesca Brivio in un’intervista a Galileonet, “non tollera climi caldi. Lo stambecco ha un corpo tozzo e compatto, un pelo scuro e molto isolante ed è in grado di accumulare uno spesso strato di grasso corporeo. Se a questo si aggiunge il fatto che non ha ghiandole sudoripare, si capisce come fisiologicamente lo stambecco abbia difficoltà ad affrontare i rialzi di temperatura”.

Il dimezzamento della popolazione rilevato nel Parco non è ancora ufficialmente correlabile al cambiamento climatico in atto, ma gli studi in corso si stanno concentrando sull’ipotesi che l’anticipo della primavera possa comportare una riduzione dell’erba fresca, essenziale alle femmine nel periodo di svezzamento e allattamento dei piccoli, ovvero tra giugno e luglio. Con uno scioglimento anticipato e rapido delle nevi, a giugno l’erba è già in fase di invecchiamento, ricca di fibre e povera di proteine. La carenza di nutrienti apportati dal latte materno comporta ovviamente una riduzione nelle possibilità di sopravvivenza dei nuovi nati.

Scendendo nel dettaglio delle conclusioni dello studio sul futuro della specie, i modelli elaborati prevedono, nel caso in cui le attività umane principale causa dei cambiamenti climatici restino inalterate, la scomparsa verso il 2100 della metà delle aree attualmente popolate dallo stambecco. La specie dovrà dunque concentrarsi in un’area pari a un terzo di quella attuale.

Non è possibile fare nulla per rallentare il processo? Al di là di intervenire sulle cause antropiche del riscaldamento globale, un processo lungo nel tempo e piuttosto tortuoso, si può intervenire su piccola scala, a livello locale.

Come consigliato dalla dottoressa Brivio, un primo passo in aiuto della specie può essere rappresentato dall’evitare di sottoporre a stress gli esemplari, inducendoli a spostarsi verso pareti rocciose dove l’animale si sente più sicuro ma inevitabilmente trova meno erba e soprattutto molto povera in nutrienti. Situazione che si verifica sovente a seguito del passaggio di un elicottero.

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3 Commenti

  1. Sorprendente constatare che l’Università di Sassari si occupi degli stambecchi. Non vedo l’ora di leggere lo studio dell’Università di Trento sui cavallucci marini.

  2. Si erano praticamente già estinti una volta in Italia per causa dell’uomo (caccia e bracconaggio)…adesso rischiano di estinguersi ancora e sempre per causa umana…Complimenti!

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