Alpinismo

Everest: ossigeno e inquinamento. Meglio fare come Messner e Gnaro Mondinelli

Gnaro Mondinelli, tra un viaggio alpinistico e l’altro, mi ha inviato un bell’articolo pubblicato sul Post, il quale riprendeva un approfondimento del New York Times, che racconta dell’Everest e del problema delle bombole di ossigeno che mi dà la possibilità di ritornare dopo qualche tempo su questo spinoso ed etereo argomento.

Se il percorso del prossimo Giro d’Italia lo fai con una supertecnologica bici con attaccato un supporto elettrico potrai dire di aver fatto il percorso del Giro d’Italia, di esserti divertito e mantenuto in gran forma, ma non potrai pretendere di indossare la Maglia Rosa e nemmeno di essere inserito in alcuna classifica. Nessuno può impedirti di farlo, purché nel rispetto delle regole della sicurezza stradale, per esempio quelle sulla velocità (non capita raramente di veder sfrecciare su percorsi rurali o montani a velocità pericolose e-bike maneggiate con “sprezzo del pericolo”).

Se sali sull’Everest con l’ossigeno è un po’ come fare il Giro d’Italia in e-bike, non sei un campione, ma certamente un ottimo “amatore”, ben allenato, motivato e anche coraggioso.

I limiti e pericoli? Conoscere la propria fisiologia e gli effetti dell’ossigeno che, per esempio, è un po’ come la carica della batteria delle e-bike: se finisce e sei a metà percorso, spingere diventa molto più faticoso e sull’Everest anche pericoloso dato che perdere le gambe e la lucidità in discesa dagli 8850m della vetta perché è finito l’ossigeno è un grande rischio.

Detto questo i professionisti di ciclismo come quelli di alpinismo mirano i primi all’estrema soddisfazione personale e alla Maglia Rosa (con tutto quel che ne consegue), i secondi, gli alpinisti professionali o professionisti, all’estrema soddisfazione personale e spesso al riconoscimento pubblico della loro impresa. Gli amatori di entrambe le attività se la raccontano al bar, in ufficio o al club. E tutti vissero felici e contenti.

Ma la questione ossigeno per l’Everest non finisce con queste mie valutazioni da Bar Sport.

C’è un risvolto ambientale importante da considerare e anche uno tecnico, del quale il New York Times ci racconta in questi giorni.

La prima questione è drammatica e presto detta: quest’anno 1.000 persone tenteranno la salita dell’Everest dal versante nepalese e tibetano. Tutte, sherpa compresi, salvo qualcuno che si conta sulle dita di due mani, useranno ossigeno supplementare. Sono, più o meno, 2.000 bombole che gireranno lungo la valle del Khumbu e sulla montagna. Alcune finiranno in crepacci, altre sotto la neve e nei ghiaioni. Ma quel che preoccupa è che l’Everest è un luogo e un monte relativamente “piccolo” rispetto alla massa di persone che si muovono su di esso con il loro carico di immondizie e inquinamento antropico, feci comprese.

Lo scrissi alcuni anni fa: a campo 2, a 6.400 metri di quota, in una giornata di sole durante una finestra propizia di bel tempo possono dormire fino a 300/350 persone, le quali, dato il regime alimentare particolare, produrranno 200 kg di feci affidate alle cure del ghiacciaio; in una decina di giorni – il clou della salita in vetta – sono 2 tonnellate. Un fiume di m… che scorre a valle, insieme alla plastica, alla carta, alle tende rotte e gli spezzoni di corda. Per non parlare del Campo Base dove qualche sistema di smaltimento e trasporto fuori dal ghiacciaio è stato adottato, ma siamo all’ABC o poco più delle soluzioni. A scanso di equivoci tra questi “scarichi” ci sono anche i miei del passato.

Il tema dell’oggi e del futuro è quindi capire e regolare i flussi sull’Everest e le conseguenze di questi in modo intelligente e con rispetto dell’ambiente, ma anche del business delle popolazioni locali. E se questo non avverrà per scelta ambientale degli alpinisti professionisti o amatoriali con un’autolimitazione della loro ambizione a salire la montagna più alta della Terra (sarebbe uno splendido esercizio di libertà e consapevolezza) ci penseranno altri, anche brutalmente, come hanno fatto i cinesi per il loro versante dell’Everest in questa stagione 2019.

La questione tecnica posta dal New York Times riguarda invece la qualità delle bombole e dei respiratori e forse della ricarica delle stesse.

Le bombole di ossigeno hanno accompagnato Tenzing e Hillary in cima all’Everest, famose e malandrine furono quelle portate da Bonatti oltre gli ottomila metri e poi usate da Compagnoni e Lacedelli per la salita del K2. Di queste ce n’erano alcune prodotte dalla Dalmine S.p.A. e alcune tedesche che sono state recentemente trovate in occasione della pulizia dei ghiacciai supportata da Moncler. Le relazioni dei tempi ci dicono di qualche mal funzionamento, di problemi di perdita dell’ossigeno che veniva compresso a 150 o 200 atmosfere. Ma in definitiva permisero la “conquista” dei primi Ottomila. Certo Hermann Buhl, negli anni Cinquanta, salì il Nanga Parbat e il Broad Peak senza ossigeno, usando per la verità qualche anfetamina.

Negli anni ‘80 arrivarono sul mercato le prime bombole russe della ditta Poisk fatte di titanio o di acciaio rivestito in fibra e resina. Carissime le prime, meno le altre, e scelte ancor oggi dalle spedizioni e agenzie che lavorano sull’Everest che si avvalgono anche delle “bottiglie” e delle maschere di altre aziende come Summit Oxygen e Topout.

La tecnologia delle bombole di ossigeno e dei respiratori è apparentemente semplice, ma rimane il fatto che però devono essere estremamente affidabili perché contengono pressioni elevate, quelle ultime fin a 300 atmosfere (una bomba), potenzialmente pericolose.

La seconda questione riguarda l’uso terapeutico o sportivo alpinistico dell’ossigeno: le bombole, le guarnizioni e gli apparati di erogazione devono essere altamente affidabili e collaudati periodicamente e inoltre controllati continuamente. La loro inefficienza o perdita di ossigeno può essere catastrofica.

C’è un altro problema: il riempimento delle bombole. Una volta che l’alpinista s’è respirato tutto il contenuto, vengono, si spera, riportate a Kathmandu. Il riempimento fino a qualche anno fa veniva fatto in India, oggi avviene in modo molto artigianale e approssimativo in officine per nulla controllate, anche per la qualità e la purezza del gas che viene imbottigliato.

Come raccontato dal New York Times, lo scorso anno furono decine gli alpinisti che si trovarono in difficoltà con i loro respiratori e la stagione della salita sul tetto del mondo rischiò di trasformarsi in un dramma. È per questo che le autorità nepalesi hanno deciso da quest’anno di procedere a controlli molto più stringenti. Ben vengano.

Certo se tutti facessero come insegnò Reinhold Messner che con Peter Habeler nel 1978 salì l’Everest senza ossigeno, come fece per tutti i suoi 14 Ottomila, i problemi delle bombole non ci sarebbero e sicuramente sarebbero enormemente minori anche quelli dell’inquinamento visto che molte meno persone si avventurerebbero a quelle quote senza il prezioso ossigeno supplementare.

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6 Commenti

  1. Tutto ciò dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, quanto sia attuale ancora oggi ciò che fece Messner.

  2. Bravo, è quello che ho sempre sostenuto, meglio tornare indietro o morire piuttosto che usare l’ossigeno!!!!!!!!!

  3. Il livello di Messner e Kammerlander era altissimo, basta pensare al primo ottomila “Hidden Peak” di Messner che ha fatto in stile alpino, con 20 kg in spalla fino a campo 1 e poi 15 kg in spalla fino a 7100m, facendo una parete ripida di 60gradi slegato. Il tutto con tenda e sacco a pelo. O anche il tempo di Kammerlander sull´Everest con gli sci in spalla, telefonando alla Rai dalla vetta.
    IL turismo di massa sull´Everest con centra niente con l´alpinismo. È business come é business se l´ennesimo turista mezzomorto sale il passo Sella in autobus. Ma é anche chiaro che pochi saranno come Messner, ma comunque vogliono fare l´Everest. Allora che fare? Rimane solo organizzarsi, e il discorso delle bombole si risolve. È logistica e questione di risorse. Punto.

  4. Salire con l’ossigeno è puro egoismo e mancanza di rispetto per la montagna.
    Citando il ciclismo, è come vincere col doping!
    Non ha senso, non ha valore nè personale nè sportivo.

  5. Certo meglio fare come Messner e Gnaro ma nell’immediato meglio fare come i cinesi anche se ciò può “perturbare” le nostre pretenzioni di libertà assoluta. Si tratta solo di salvaguardare una zona molto fragile e vulnerabile che un giorno esploderà come una bomba a scoppio ritardato (penso alle deiezioni corporali che prima o poi si ritroveranno nei torrenti e nei fiumi) sopratutto per le popolazioni che vivono ai piedi di questa montagna.

  6. Gia’che ci sono…suggerirei di collegare campo base e cima con tubatura e bocchettoni di riempimento lungo il percorso o di collegamento a mascherine, come nei reparti ospedalieri, Alla base una stazione di compressione e pompaggio.Per le feci, altre tubature…magari tipo posta pneumatica, con involucri speciali…o gabinetti modello astronave.

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