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La fiction Rai “L’Aquila grandi speranze” non va giù agli aquilani

L’Aquila e gli aquilani non ci stanno. “Polemica sulla fiction, danno d’immagine alla città” strillano le locandine dell’edizione abruzzese del Messaggero. 

La prima puntata di L’Aquila Grandi Speranze, la serie scritta da Stefano Grasso e diretta da Marco Risi, è andata in onda il 16 aprile su Rai Uno e ha avuto successo, con 3 milioni 180mila spettatori, pari al 13 per cento di share. 

Ma agli aquilani, che il terremoto lo hanno vissuto davvero, questa rappresentazione della città non va giù. Non si parla d’altro nei bar, sui social, nelle conversazioni sul lavoro. 

Una vergogna immane, ciò che state guardando non ha riscontro. Lo stato di abbandono sì, ma l’inciviltà di studenti, gang improbabili, collera e dolore sfogati in bullismo, corse e arrampicate in zona rossa non esistono” scrive una lettrice sul blog di Repubblica.it.  

L’accento degli attori passa dall’aquilano, al romanesco, al frusinate e pure umbro per poi passare alla dizione italiana perfetta” aggiunte un’altra spettatrice su Facebook. 

Spero che gli aquilani che vedranno questa storia, e in generale gli italiani, si rendano conto che questa serie è stata fatta con il sentimento giusto” aveva detto il regista Marco Risi il 2 aprile presentando la serie all’Aquila, alla presenza del sindaco Pierluigi Biondi e del presidente regionale Marco Marsilio. L’Aquila Grandi Speranze s’inserisce nella tradizione del romanzo di formazione. I giovani protagonisti della fiction trasformano la zona rossa della città in un terreno di gioco e di sfida, e quindi di crescita” aveva aggiunto Eleonora Andreatta, direttore di RAI Fiction, per presentare la serie che ha nel cast attori noti come Donatella Finocchiaro, Giorgio Tirabassi, Valentina Lodovini e Luca Barbareschi. 

Il risultato, per L’Aquila, è all’opposto dalle aspettative. A due mesi dalle elezioni regionali in Abruzzo, a dieci giorni dalle celebrazioni per i 10 anni dal terremoto, L’Aquila Grandi Speranze sembra aver compiuto un miracolo. Centro-destra e centro-sinistra protestano con le stesse parole. 

Una brutta cosa che non meritavamo” protesta Stefania Pezzopane, ex-presidente della Provincia dell’Aquila e oggi senatrice del PD. “Non ci piace il terremoto, e nemmeno chi usa L’Aquila e quella tragedia come un set per raccontare una banale e bruttina vicenda. Ricordatevi sempre tutti che qui sono morti 309 innocenti. Aiutateci o lasciateci in pace. Così ci fate solo danni. Marco Risi, ma perché?”. 

La prima puntata della fiction è stata una delusione pazzesca!! Fantozzi l’avrebbe definita peggio della Corazzata Potemkin!!” rincara la dose Sabrina Di Cosimo, fino a qualche settimana fa assessore alla Cultura del Comune. “Una storia finta, inventata, usando come set cinematografico una città terremotata e ferita nell’anima. Una storia inconsistente, lenta, pesante, banale”. 

Il serial tv “Don Matteo” ha reso famose Gubbio e Spoleto, ambientandovi storie puramente inventate” prosegue Di Cosimo. “Ma gli spettatori sanno che le storie criminali non hanno nulla a che vedere con i cittadini di Gubbio o Spoleto. La fiction non c’entra nulla con la realtà che gli aquilani hanno vissuto e che vivono ancora oggi!”. 

Usa toni più pacati Angelo De Nicola, aquilano doc, giornalista del Messaggero, profondo conoscitore della città e dei suoi umori.  Una fiction va rispettata come opera dell’ingegno soprattutto se di un regista apprezzato come Marco Risi (il suo film-denuncia sulla strage di Ustica, “Il muro di gomma”, è entrato nell’immaginario collettivo)”. Se però questo “romanzo” porta una città nel titolo e, per mesi, ne sfrutta un “traino” (il decennale del 6 aprile) per lanciarsi e promuoversi, allora non può scollegarsi totalmente da questa realtà”. In particolare, prosegue scrive De Nicola, Risi avrebbe dovuto fare attenzione a “due meccanismi delicatissimi e decisivi”. Il primo è “la psicologia di una comunità, di chi ha avuto lutti immani, di chi ha resistito e resiste, di chi vuole darsi una speranza”. L’altro è “la percezione al di fuori della città che, spesso, ne determina l’ottenimento di strumenti, aiuti e simpatie”. Per questo motivo, per non “devastare” una comunità già assai sofferente, basterebbe togliere “L’Aquila” dal titolo, perché L’Aquila è un’altra cosa”. 

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Un commento

  1. Ne ero stato incuriosito dalle presentazioni che ne erano state fatte, ma credo di essere riuscito a guardare questa fiction per ca. 30-40 secondi, un minuto al massimo. Poi ho capito che si trattava di un’altra ennesima presa per i fondelli (che la RAI chiama “fiction”).
    E’ incredibile la quantità di “fiction” che la RAI da diversi anni continua a propinarci, grazie ai soldi pubblici, cioè a i nostri soldi. Evidentemente, il mondo delle “fiction” RAI è un sotto-carrozzone (.. romano) creato per dare il posto fisso ad una schiera (o casta) di sedicenti attori/attrici, pur con poca arte (visti i risultati) ma evidentemente con molta parte (quella.. di papà e/o mammà).
    Che poi tali commedie abbiano successo o meno, alla RAI importa poco. L’importante è aver creato una ennesima “corporazione”, che possa continuare ad auto imporsi e proteggersi, grazie al pizzo annuale nella bolletta elettrica e grazie ovviamente all’appoggio dell’altro carrozzone, quello politico, di cui è al servizio ed a cui fa comodo.

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