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Kamtchatka: stop alla traversata di Stefano Gregoretti

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Si conclude a 100 chilometri, in linea d’aria, dalla costa est della Kamtchatka, la traversata che ha impegnato l’atleta endurance Stefano Gregoretti (potete leggere la nostra intervista QUI) per tutto il mese di febbraio. Stefano, e il suo compagno Ray Zahab, si sono fermati prima del tempo a causa dei limiti climatici imposti da madre natura.
Dopo 19 giorni dall’inizio della TransKamchatka, Stefano e Ray si sono trovati di fronte a una barriera invalicabile rappresentata dal fiume Zhupanova, a Nord-Est della capitale della regione Petropavlovsk. Pur trovandosi nel periodo dell’anno più freddo e in uno dei più gelidi territori del mondo, le temperature di quest’anno si sono dimostrate anomale rispetto alla media stagionale e non hanno consentito ai fiumi di gelarsi e di rappresentare, quindi, una via sicura di passaggio e attraversamento. Il forte freddo di giorno e l’elevata escursione termica di notte hanno costituito per i due esploratori solo una fatica da sopportare e non un elemento naturale a supporto della spedizione.
Di strada però ne è stata fatta tanta, molta di più di quella prevista: 250 chilometri in totale autosufficienza a cui si sono aggiunti circa altri 50 chilometri di estenuante “avanti e indietro” per battere la pista lungo il bosco e tornare indietro a recuperare le slitte.

Foto Stefano Gregoretti

Principale difficoltà di questo viaggio è stata la necessità di identificare un buon percorso. Per questo, molte volte, Stefano e Ray hanno salito colline dai cui cercare di identificare un punto lontano là in mezzo al bianco della neve che dettasse un sentiero di passaggio. Pericolo determinato principalmente dal rischio slavine, conseguenza del clima anomalo, e nemico da affrontare in tutte le fasi della spedizione.

Altra importante difficoltà è stato il necessario razionamento del cibo: l’avanzamento molto lento ha comportato anche un allungamento dei giorni di spedizione e quindi l’inevitabile consumo più ponderato delle scorte. Come conseguenza i due hanno sopportato giorni di fatica consumando un solo pasto, troppo poco per lo sforzo che era da mettere in campo.
La spedizione ha confermato, quindi, tutti i suoi aspetti di imprevedibilità che ci si aspettava in una situazione di pura esplorazione, compresa la possibilità di doversi fermare per ragioni di sicurezza che vanno al di là di un obiettivo prefissato. Si tratta di una scelta obbligata e imposta dalla natura stessa: “Nell’esplorazione non c’è mai una gara, non si tratta di sfidare qualcuno o qualcosa o addirittura la natura stessa. In 19 giorni abbiamo raccolto tantissime esperienze che serviranno da scuola per le prossime spedizioni o per chi, come noi, tenterà la stessa via”.

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2 Commenti

  1. Con tutto il rispetto la vera esplorazione prevede che si faccia tutto in autonomia ( compresi andata e ritorno anche in caso di fallimento); rinunciare quando si vuole e rientrare comodamente a casa è solo attività sportiva.

  2. Meglio attivita’sportiva con rientro sicuro e comodo al calduccio che dar lavoro a ricerche con elicottero e a ditte di imprese funebri.La vita vale di piu’ di una definizione da “vero esploratore”.

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