Alpinismo

Tom Ballard, figlio della montagna

Il suo sogno non erano gli Ottomila, anche se la sua vita se l’è presa la “regina delle montagne”, il Nanga Parbat. S’è l’è portato via nel fiore degli anni su una via che forse fu la prima dell’Himalaya. Un tracciato che, a un primo sguardo, appare logico. Il più diretto alla vetta e, forse, anche il più spaventoso. Mette paura a vederlo quell’enorme sperone di roccia sovrastato da due giganteschi seracchi pronti a scaricare blocchi di ghiaccio grossi come palazzi, ma probabilmente questo non è quel che è accaduto.

L’hanno affrontato Daniele Nardi e Tom Ballard, sapevano quel che stavano facendo non erano due sprovveduti, anzi. Soprattutto Ballard, di cui forse abbiamo parlato davvero poco, non era un giovane asservito al volere di Nardi, ma un alpinista forte e preparato. Un ragazzo con esperienza e cosciente di quel che stava affrontando. È vero, il suo sogno non erano gli Ottomila, ma le grandi pareti dell’Himalaya e del Karakorum. Quelle tecnicamente difficili, in zone poco frequentate, mete per intenditori dell’alpinismo moderno. Alla fine però, quando per la prima volta ha incontrato davvero l’Himalaya, questa se l’è portato via come ha fatto con molti dei nostri compagni alpinisti.

Spesso apriva le serate dicendo di aver raggiunto la vetta dell’Eiger prima di nascere, passando per la Nord. Una frase ironica a ricordare Alison Hargreaves, quella mamma prodigio dell’alpinismo che l’ha portato in vetta quando ancora ce l’aveva in grembo. Sapeva, come sapevano tutti, ci svela un amico, che Alison era più forte di molti uomini. Per questo l’ha tanto ammirata, per questo è sempre andato fiero di quella mamma coraggiosa non solo in montagna ma anche nella vita di tutti i giorni. Per lui era un mito, ci raccontano, e non l’ha mai incolpata di nulla anche se gli è spiaciuto di non averla potuta conoscere meglio.

Tom era un figlio della montagna, un ragazzo timido e riservato. Un uomo di poche parole, all’inizio. Quando però incontrava chi aveva voglia di conoscerlo veramente, di scoprire cosa c’era dietro quel ciuffo biondo, allora si apriva diventando amico sincero. Disponibile, generoso e talentuoso. Cresciuto nell’umido ambiente delle Highlands scozzesi coltivando una passione che ben presto l’ha portato dai 1345 metri del Ben Nevis alle pareti più difficili delle Alpi.

Amante delle solitarie, per carattere, Tom approda nel continente lasciando un segno indelebile, seppur molto riservato. Senza mai troppo mediatizzare le sue salite riesce in poco tempo a ripercorrere i passi della sua talentuosa mamma. Nel 2015, a 27 anni, realizza la salita, in un unico inverno e in solitaria, delle 6 classiche Nord delle Alpi. In ordine cronologico scala la Cima Grande di Lavaredo, il Badile, il Cervino, le Grandes Jorasses, il Dru e l’Eiger. Una salita, l’ultima, che l’ha riportato letteralmente sulle orme di Alison.

La sua infanzia va tra casa e campi base, fin da piccolissimi lui e la sorella Kate hanno occasione di giocare alle pendici delle più alte montagne del Pianeta. Con gli anni si innamora delle Dolomiti e della loro roccia, di quelle pareti che l’han visto crescere nomade. Lui, sua sorella e il papà James vivono per anni in un campeggio a Pozza di Fassa. I soldi sono pochi, ma questo non impedisce al giovane di dimostrare il suo talento. In montagna ha prestazioni eccezionali, spesso con materiali vecchi di decenni, appartenuti alla mamma, come quei chiodi con cui sale la sua ultima Nord. Con il tempo però le cose cambiano, pian piano le aziende si accorgono di questo taciturno ragazzo. Parla poco, ma fa tanto. Con le prime sponsorizzazioni tutto si tranquillizza, Tom ha più tempo per allenarsi e il grado aumenta, poi arriva il Pakistan. Nel 2017 è là con Nardi a tentare la salita del Link Sar e poi, quest’inverno, per quello sperone di roccia e ghiaccio che se l’è portato via.

Tom era un alpinista puro sangue, un toro d’altri tempi, un giovane che crescendo avrebbe potuto fare ancora tanto.

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22 Commenti

  1. Grazie per aver raccontato qualcosa di Tom: l’ho conosciuto personalmente e apprezzavo molto a sua umiltà, il suo mantenere un basso profilo nonostante le pazzesche capacità alpinistiche di cui era dotato….mancherà molto al nostro mondo 🙁

  2. Sig. Gasca, grazie per aver ricordato anche Tom Ballard con questo bello scritto.
    Ciao Tom, riposa in pace vicino a tua madre.

  3. Perchè non fate un articolo con un analisi tecnica collocata in una linea temporale su quello che è successo sul Nanga?
    Troppe cose non quadrano con le informazioni che sono state date da primo giorno di interruzione delle comunicazioni dei 2 alpinisti.

  4. Concordo con Luca, sarebbe interessante avere un’analisi tecnica degli avvenimenti alla luce delle informazioni che abbiamo.

    Per il resto vi ringrazio per questo ricordo di Tom che era un ragazzo preparatissimo (lo vidi una volta in val di fassa è mi impressionò la sua preparazione fisica) e non un ingenuo e impreparato che si sarebbe fatto trascinare come si legge in tanti commenti di queste ore.

  5. Grazie per questo articolo che ha permesso anche a chi non è “dell’ambiente” di conoscere qualcosa di questo ragazzo

  6. Bellissimo articolo.
    Comunque non mi è chiaro come sia successo…..
    Ho letto per il freddo e fatica… Mi sembra un’ipotesi un po’ strana…, avendo la tenda ad una decina di metri che sembrerebbe intatta… Entrambi poi… Anche in una condizione di Whiteout l’avrebbero raggiunta almeno uno dei due.
    Inoltre erano attrezzati per resistere ovviamente a bassissime temperature anche senza tenda… a 6000mt oltretutto.
    Bho… secondo me è successo qualcosa, tipo scarica di ghiaccio che li ha trascinati da molto più in alto a dove si trovano adesso, in condizioni che purtroppo non gli consentiva ormai più di muoversi.

  7. Rossano Ferrari, quello che io non capisco in particolare, oltre a quanto segnalato da te, è la dichiarazione di Alex, che sostiene di averli visti il giorno 5 mentre posizionavano le corde fisse, e questo avvallato da 12 persone che erano con lui…..Cosa è successo dal 24 al 5? Possibile che non abbiano mai comunicato? Troppe lacune di informazioni ….Avevano 2 satellitari e le radio e neanche una celletta solare per ricaricarle? E poi nei 12 sorvoli dichiarati in condizione di sole e di visibilità, possibile che non li abbiano mai visti? Possibile che nessuno si accorga che se si mettono in file le informazioni non c’è niente che ha senso? Quella tenda da dove sbuca? Non è campo 4, non è campo 3, quindi cos’è? Un campo 3 bis dopo aver constatato che il precedente era stato spazzato via? Strana vicenda…Ma quello che per me è più strano è che nessun giornalista si sia fatto queste domande

    1. Ho letto l’articolo che dici Luca, ma credo intendesse dire che secondo lui stavano posizionando le corde fisse, non che li vedeva muoversi. Mi sembra di avere capito così.

    1. Penso anch’io questo…. Sono precipitati li e li sono rimasti.
      Sostenere che siano morti di freddo a 10 metri dalla tenda mi sembra un’assurdità.

  8. Tom, grandissimo alpinista, sicuramente preparato. Ma ha compiuto un azzardo, troppo grande.
    Per grazia di Dio non aveva figli, perchè sarebbe stato terribile lasciarli orfani, come il piccolo Nardi.
    Lascia purtroppo una fidanzata che lo amava. Forse prima di tentare imprese al limite dell’umano bisognerebbe pensare a chi si ama…

    1. Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dirlo (io l’ho scritto in altri blog). Io sinceramente non capisco questo egoismo estremo, inconcepibile. La mamma di Tom che scala una vetta incinta di 6 mesi (solo a pensarlo mi viene una rabbia…) e che poi lo lascia orfano a 6 anni per scalare una montagna. Daniele, pace all’anima sua, che lascia orfano un figlio di 6 mesi. E potrei continuare con un lungo elenco di nomi meno noti e noti, come Rob Hall che morì sull’Everest mentre la moglie era incinta. Anche a me piacerebbe fare il giro del mondo in barca a vela in solitaria, ma dal momento che ho messo al mondo una creatura, ho smesso di fare molte cose. Questa si chiama responsabilità. Quest’altro invece per me è solo egoismo. E adesso sono pronto ad accettare tutte le critiche del caso. Prima però pensate: io che farei se mia moglie, incinta di 6 mesi, decidesse di…?

      1. Quindi fammi capire: un poliziotto, un vigile del fuoco, uno stuntman, ecc. devono licenziarsi e cambiare per forza mestiere se mettono su famiglia???

        Ma non capite che ragionamenti assurdi fate?

  9. I discorsi sulla famiglia e i figli proprio non si possono leggere.

    A questo punto eleggiamo le categorie che dovrebbero cambiare lavoro o non mettere su famiglia… Piloti automobilistici? Astronauti? Paracadutisti? Chi altro?

    Poi sapete che c’è, vedendo Astori o quello che successe a Cech, anche fare il calciatore è rischioso e rischia di creare un dolore alla famiglia.
    Facciamo così allora: se hai famiglia devi chiuderti in casa. Ma se poi scivoli in bagno? Che facciamo?
    Chiudiamo le persone in una teca dove non possano avere un’altra ambizione che non sia quella di respirare.

    1. Io la penso diversamente: a differenza degli altri lavori loro non erano affatto obbligati a fare per forza quella via a detta di tutti oggettivamente pericolosa.

      Tra l’altro non credo proprio siano morti contenti perchè stavano facendo quello che amavano (come invece si dice solitamente in questi casi) sapendo chi avrebbero lasciato ad aspettarli a casa. Ma si sa le disgrazie capitano solo agli altri: ogni volta che sento l’intervista delle Iene a Nardi quando gli chiedono “se non dovesse tornare”, mi chiedo cosa pensasse veramente nella sua testa…

      Mi dispiace molto per Daniele e Tom ma il saper rinunciare è quello che ha fatto grandi molti alpinisti…o almeno quelli che sono arrivati alla pensione.

  10. Posso essere brutale? Ma se a Daniele andava bene così e anche sua moglie aveva accettato la sua decisione…cosa importa a voi? Cosa avete da giudicare?

  11. Se parliamo di obblighi, nessuno è obbligato a fare il lavoro che fa quando potrebbe scegliersi un tranquillo posto in ufficio a timbrar fogli. Eppure esistono alpinisti, pompieri, piloti di f1, astronauti e tanta altra gente che fa il proprio lavoro per ambizione o per spostare l’asticella del limite umano. Al netto di famigliari o legami sentimentali di qualunque tipo.

    Per il resto il rischio della via è soggettivo e tutti i grandi alpinisti si sono presi dei rischi. Non dimentichiamo che il piu grande di tutti, messner, scalò per primo l’everest senza ossigeno quando in tanti la ritenevano una pazzia o affrontò il polo nord su ghiacci spessi pochi centimetri rischiando la sua vita e quella del fratello e vennero fortunatamente poi soccorsi quando una notte il ghiccio si ruppe e finirono nelle acque gelide. Consiglio il libro di messner “la mia vita al limite” per capire come il rischio sia legittimamente soggettivo e parte del gioco che tutti accettano. E fondamentalmente spesso lo accettiamo anche noi, nel nostro piccolo, a nostro modo, nella vita quotidiana di tutti i giorni.

  12. Tutta la vita è un rischio. Non pensate che il lavoro da ufficio ne sia esente. Vogliamo parlare dei danni alla salute causati dallo stress del lavoro d’ufficio?

    Infarto? Giusto un esempio.

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