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Divieto di arrampicata sul monolite di Uluru. Le inattese reazioni dei turisti

I neozelandesi non hanno mai considerato l’arrampicata sulle montagne australiane in grado di fornire brividi al pari delle loro vette alpine. Il monte più alto dell’Australia, il Kosciuszko (2228 m) nelle Snowy Mountains, è circa 1500 metri più basso rispetto all’Aoraki/Monte Cook neozelandese. E fino al 1977 – quando le preoccupazioni ambientali hanno determinato la chiusura della strada – era possibile arrivare in auto a pochi metri dalla vetta. Più famoso tra i climber è di certo l’Uluru (o Ayers Rock), un accattivante monolite  di arenaria rossa che domina il deserto 335 km a sud-ovest di Alice Springs, sul quale a partire da ottobre 2019 l’arrampicata sarà bandita.

Il divieto arriva da una decisione di Sammy Wilson, presidente del consiglio del parco nazionale Uluru-Kata Tjuta e nipote del compianto Paddy Uluru, riconosciuto come principale proprietario del massiccio, che ha dichiarato Uluru terreno sacro e “non un parco a tema come Disneyland“.

Secondo la tradizione degli aborigeni, il monolite rappresentava un’antica area abitata da uomini sacri che pertanto non dovrebbe essere calpestata da estranei.

La notizia – benché telegrafata con ampio anticipo – ha generato una forte reazione da parte degli oppositori del settore turistico e da alcuni sostenitori della wilderness che vedono in questo primo divieto l’inizio di un  programma che porterà alla chiusura di altri siti cari agli aborigeni.

Il geologo di Sydney, Marc Hendrickx, che ha fondato il Movimento per il Diritto a Scalare Ayers Rock, ha persino presentato una denuncia alla Commissione australiana per i diritti umani, basata sulla discriminazione razziale. Secondo Hendrickx e gli altri oppositori del divieto, gli stessi aborigeni di Uluru hanno scalato a lungo e guidato i visitatori sulla roccia. Ne è prova anche un film degli anni ’40, conservato dalla Chiesa luterana, in cui due uomini aborigeni, chiamati Tiger Tjalkalyirri e Mitjenkeri Mick, guidano esploratori bianchi in una spedizione da una stazione vicino ad Alice Springs fino alla cima dell’Uluru.

È vero che negli anni più recenti, gli Anangu, i proprietari storici del massiccio, hanno chiesto ai visitatori di non arrampicarsi sulla roccia, una richiesta chiaramente indicata su un cartello alla base. Un sondaggio del 2016 ha rilevato che il 72% dei turisti ha compreso il loro ragionamento culturale alla base della richiesta e il 91% ha dichiarato che non sarebbe salito per rispetto della sacralità del luogo.

A discapito di questi dati, dal momento in cui il divieto è stato annunciato un anno fa, il numero degli scalatori provenienti da tutto il mondo è salito da 50-140 al giorno a 300-500, insomma una corsa all’ultima arrampicata prima della chiusura.

Un’altra reazione non prevista da parte dei turisti è stato l’invio di piccoli pezzi di roccia, denominati “Sorry Rocks” all’ufficio del Parco. Un gesto di rispetto nei confronti degli aborigeni per aver profanato un loro luogo sacro.

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Un commento

  1. Qualche ditta italiana produttrice di palestre e macchinari per arrampicata, potrebbe fiutare un affare.Pure per esportare il macchiario che produce neve artificiale senza bisogno di basse temperature …o le piste in spazzole o sci a rotelle. A portata ci sono le montagne della Nuova Zelanda.

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