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Giornata Internazionale della Montagna: la montagna senza lentezza non è più montagna

Oggi, 11 dicembre, è la Giornata Internazionale della Montagna, un’occasione per fermarsi e riflettere sulle Terre Alte. Per questo vogliamo festeggiarla quest’anno con un pensiero di Maurizio Gallo che ci sprona tutti a vivere la montagna con lentezza.

 

Da un po’ di tempo rifletto su quest’idea e rimango sempre molto sorpreso perchè in montagna vengono trasferite tutte le iperattività di oggi, senza che nessuno cerchi di opporsi a questo processo: non si pensa ad altro che a correre e consumare tutto quello che si tocca o si vede.

E’ importante, per salvarla da un progressivo svuotamento di valori e contenuti, sostenere un messaggio che presenta una montagna lenta, che si richiama al calmo procedere del montanaro, non per forza estrema, che offre uno spazio per esperienze profonde e costruttive in contrapposizione con un mondo che ci trascina verso una sempre più esasperata vita di corsa: corriamo in auto, corriamo sul lavoro, corriamo nei parchi per mantenerci allenati e belli fisicamente, corriamo sui tapis roulant nelle palestre: è possibile che dobbiamo correre sempre anche quando andiamo in montagna?

La corsa è diventata l’attività sportive primaria in montagna, chi fa i record giustifica il proprio approccio anche rifacendosi al principio “meno tempo ci metti più sicuro sei”, ma poi trascinano dietro di sé una miriade di corridori urbani che molto spesso hanno poca cultura della montagna e talvolta finiscono nei guai.

La mattina in montagna prima di andare a sciare si corre per le strade, la sera si corre con la frontale, nello scialpinismo si corre con la tutina attillata, in estate si corre lungo i sentieri e così via.

Ribadivo questo concetto almeno un anno fa e guardandomi intorno e leggendo le cronache alpinistiche non ho cambiato idea, anzi direi che la situazione è ancora peggiorata.

Mi ripeto perché penso che sia veramente importante mandare un messaggio diverso per noi che andiamo in montagna e per la montagna stessa che sta cambiando a nostra insaputa: sta cambiando a causa del cambiamento climatico, sta cambiando per le sempre più frequenti avversità atmosferiche, sta cambiando perché viene sempre più inquinata dalla presenza umana, ma sta cambiando anche perché noi che la frequentiamo la trasformiamo in una palestra.

Da giovane quando ho iniziato ad innamorarmi della montagna e della sua gente cercavo di imitare il passo lento del montanaro con le scarpe grosse che seguivo lungo i sentieri per acquisirne il ritmo e la scelta degli appoggi: il procedere lento che aveva come obiettivo di ridurre al minimo la fatica muscolare per poter percorrere tutti i giorni lunghe distanze portando sulle spalle zaini molto pesanti per approvvigionare gli alpeggi in quota o i rifugi.

Mia suocera da ragazza portava il mangiare dalla casa nel fondovalle ai familiari che seguivano le mucche al pascolo e preparavano il formaggio, ancora oggi vedo come cammina con la schiena sempre inclinata in avanti, ma dritta e senza gobba, e appena il sentiero sale il suo camminare la porta a raddrizzare il ginocchio posteriormente ad ogni passo spostando lo sforzo dal muscolo al sistema articolare per affaticarsi il meno possibile.

In Nepal camminando da tanti anni con i portatori Sherpa ho imparato il loro procedere in discesa: un rotolare verso valle senza modificare l’altezza del bacino rispetto al terreno, quasi si muovessero su un piano inclinato assorbendo tutti i salti nel sentiero usando le gambe come ammortizzatori.

In Pakistan rimango esterrefatto quando cammino sui ghiaioni con i locali che passano di sasso in sasso senza spostarli, quasi galleggiassero sulle pietre spinti da una forza interna che non parte dall’avampiede, come si fa quando si corre), ma da una specie di moto lineare di tutto il corpo: riuscire a muoversi come loro è per noi impossibile!

Ecco, bisognerebbe scrivere un libro dal titolo “lo Zen e l’arte di camminare in montagna” per imparare tutti i segreti del procedere lento e che poi diventa anche veloce e sicuro nel lungo periodo: vorrei vedere quelli che oggi corrono in montagna cosa faranno fra qualche anno con le ginocchia distrutte e la schiena a pezzi: il montanaro non poteva permettersi di fermarsi per acciacchi, doveva continuare a camminare anche da vecchio poiché senza lo spostarsi a piedi la sua vita sarebbe finita inevitabilmente.

Se non si trasmette questa messaggio di una montagna lenta si rischia di trasformarla semplicemente in un dislivello positivo o negativo e in un tempo di percorrenza, niente altro che una palestra per allenarsi.

Anch’io ho corso in montagna, ho fatto gare di scialpinismo, ma la cosa che non ho mai perso è sempre stata la gioia di fermarmi a guardare e a parlare con la gente del posto, di amare la montagna come un mondo delle meraviglie, cercando in tutte le maniere di farne parte, non l’ho mai vissuta come una giostra: comprendo chi oggi corre, ma vorrei che si capisse che dobbiamo far di tutto per comunicare una montagna lenta perché la montagna senza lentezza non è più montagna.

E poi il famoso proverbio ci ricorda che chi si muove piano in montagna con le scarpe grosse ha anche il cervello fino…

 

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14 Commenti

  1. Per capire meglio la montagna ed i suoi abitanti…la situzione migliore e’ andarci a lavorare…se si trova…e stare nell’ambiente civile .Poi le imprese sportive o alpinistiche dell’appassionato non professionista sono solo un aspetto di tutta la vita…si compiono nei ritagli di tempo…ma con tanti amici.Meglio se tra essi c’e’qualche Guida o Maestro di sci che ti insegna in cambio di una cena uno scambio di favori..pero’bisogna immergersi, non fare i superiori.

  2. Estremamente interessante e arguto, ciò che scrive Gallo su Montagna e lentezza. Grazie a lui su una “fotografia” nitida di una realtà che non sempre cambia in meglio

  3. Concordo con l’articolo. Ma questa è la nostra civiltà. Civiltà del correre per prendere, possedere qualcosa e twittarlo, postarlo ecc.
    Non importa più dove si va ma come e quasi sempre di corsa.
    La montagna mi ha lasciato salire e restare qualche minuto sulla sua cima, scriveva Messner. Era un’altra epoca.

  4. Basterebbe tenere sempre a mente quanto diceva il vecchio Berti: andare in montagna è insieme “azione e contemplazione”. In due parole è racchiusa l’essenza della nostra passione.

  5. Ecco, bisognerebbe scrivere un libro dal titolo “lo Zen e l’arte di camminare in montagna” per imparare tutti i segreti del procedere lento …..

    Camminare con consapevolezza.
    Tich nath han. Da leggere.

  6. Bello. Quel passo di montagna degli anni ’50 oggi si è perso ma io lo mantengo e ci vado sempre così, anche negli anta avanzati. Pole pole (swahili).

  7. Si un bell’articolo, ci mancava giusto il riferimento agli spit che ammazzano l’arrampicata, la TV che non crea dialogo, col telefono nessuno scrive più lettere…
    Ma non si tratta di cosa fai in montagna, ma di come lo fai! La passione la puoi mettere nella corsa, nella camminata, nell’arrampicata, così come puoi andare piano quanto vuoi, ma col cellulare in mano…
    E poi, ancora col mito agreste dell’alpe tipo Heidi? I portatori a 40 anni ne dimostrano 80, i montanari quando possono fanno rifornimento col quad o la teleferica. Altro che gerla e zaino pesante…
    Per me sono articoli come questi che creano discordia in montagna, non di certo andare di corsa!

    1. Ooooh finalmente un commento intelligente!
      Che ne sapete di chi sta correndo? Che ne sapete se quello è il solo modo che ha di vivere la montagna. Cosa conoscete della sua esperienza? Ci avete parlato?

      A me la montagna ha insegnato principalmente una cosa. Non giudicare cose che non puoi fare, non giudicare chi non conosci.

      Nessuno correndo pensa: “come vanno piano questi, così la montagna non ha senso”
      Perché ci deve essere qualcuno che camminando vede qualcuno che corre e parte con la stantia predica della lentezza.

      Noiosissimi

  8. …articolo scritto da un anacronista nostalgico.
    Come al solito noi Italiani sappiamo solo essere tifosi di una cosa o dell’altra, ci manca proprio l’educazione al rispetto per la diversità di opinione.
    In montagna uno deve poter decidere il proprio ritmo e la fruibilità che desidera avere dall’esperienza.
    E’ sbagliato affermare che chi va piano ama di più la montagna.
    Ovviamente penso che chiunque abbia il diritto di vivere la montagna nel suo miglior modo possibile.
    Voglio solo sottolineare invece, che quello che manca è come al solito l’educazione al rispetto della montagna; e quello dovrebbe essere insegnato e rivendicato da chi ama la montagna; e non certo voler inserire un limite di velocità per coloro che intendono andar per cime e per monti.

  9. Parla bene lui che è pagato per andare in montagna. Ma la gente che non fa la guida non ha molto tempo da dedicare alla montagna e quel poco che ha a disposizione lo deve sfruttare al meglio se vuole portare a casa dei bei risultati.
    Chi poi vuole vivere la montagna in maniera calma lo può fare anche se vicino c’è un altro che corre.

  10. Il bello della montagna è che ognuno ha la “sua” ….. non esiste una montagna “giusta” che va bene per tutti, e va bene così, anzi benissimo!
    La montagna dello slow non è mai esistita, non si arriva da nessuna parte andando slow, slow è uno slogan ! Correvano, nessuno andava slow neanche 50 anni fa, tutti ( potendo ) correvano.
    Non sono d’accordo affatto con le idee del sig Gallo.

    Quello con le scarpe grosse è il contadino.

  11. Io e molti altri siamo dell’idea che in montagna conti il rispetto per essa e per i suoi abitanti. Non importa il modo di viverla, lento o veloce che sia.
    Certo è che di corsa non si riesce per ovvi motivi a godere appieno dei luoghi e dei panorami. Ma allo stesso tempo non si può scalare una via pericolosa troppo lentamente. C’è spazio per tutti insomma. L’importante, ed è questo il messaggio importante di Gallo, è non mercificare o minimizzare la Natura.

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