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“Alta quota”, un nuovo disco ispirato dalle Dolomiti

Classe 1975, nasce e vive a Palermo, e ha un curriculum musicale di tutto rispetto. Stiamo parlando del chitarrista Germano Seggio che dopo aver suonato con Steve Vai, Ricky Portera, Scott Henderson, Paul Gilbert, Maurizio Solieri, Mike Stern, Alberto Radius, Andrea Braido e Carl Verheyen e dopo aver realizzato due album ha deciso di produrne un terzo interamente dedicato alle Dolomiti. L’album si intitola “Alta quota” ed è in uscita il prossimo 9 novembre. Le otto tracce del nuovo disco sono legate tra loro da un’armonia di suoni che vuole descrivere le emozioni di luoghi dolomitici come Braies, come il Corno Bianco o Cavalese.

 

Germano, come nasce un album dedicato alle Dolomiti?

Stranamente nasce da un problema. Nel 2003 ho subito un brutto incidente in moto che mi ha paralizzato per tre anni, lasciandomi su una sedia a rotelle. In questa situazione prendo la decisione di andarmi a curare in un clinica di Cortina, nel cuore delle Dolomiti. Il recupero è stato molto lungo, ho subito 18 operazioni e, con calma, pian piano ho ripreso possesso del mio corpo. Lentamente sono tornato a camminare, la prima volta l’ho fatto a Cortina dopo tre anni in uno scenario spettacolare che è quello dolomitico. Quando ti trovi in quel posto e ricominci a camminare, provando emozioni così intense, non puoi fare altro che innamorarti di un territorio così maestoso.

Da quel momento la mia vita è cambiata e con lei anche la visione della vita. Prima non mi piaceva camminare, adesso invece torno in Alto Adige dieci volte l’anno solo per andare in montagna e fare Nordic Walking. Pare assurdo, ma è così: quando perdi le cose ti rendi conto del valore che hanno e così inizi a dare un peso diverso a tutto quel che prima era scontato.

Non racconto spesso questa storia, non lo faccio perché non voglio che il pubblico possa vedere in questo la ricerca di un vittimismo volta ad attrarre proseliti.

Come mai hai scelto Cortina per curarti?

Prima dell’incidente ero già stato in Dolomiti e mi ero innamorato di quel territorio. Da lì la decisione di scegliere Cortina per le cure. Ho pensato: se proprio mi devo curare e devo passare un anno chiuso in una clinica almeno voglio farlo in un posto che mi piaccia, tra le montagne di cui mi sono innamorato.

Le tracce dell’album, che abbiamo avuto il piacere di ascoltare, portano nomi di luoghi e montagne suggestive… dove sono nate?

Le tracce sono nate sempre, fisicamente ed esclusivamente, in quota. Io porto sempre con me, in spalla insieme alle bacchette da Nordic Walking, la chitarra. Cammino e quando mi fermo, vicino a una malga o su un passo, traggo informazioni dalla terra, dalla neve e dal tramonto per scrivere la musica prendendo appunti sul cellulare o su carta. Dopo, quando rientro alla baita, in hotel o a casa metto giù il brano che pian piano prende forma cercando di rievocare attraverso le note quelle che sono le emozioni raccolte in quota.

I nomi delle tracce sono i luoghi in cui queste sono state partorite.

Foto Grafimovie

Tre le varie tracce che hai scritto qual è quella a cui sei più legato?

Sicuramente il singolo “Alta quota” che poi è la title track del disco. È uno di quei brani che suono da solo, per sola chitarra. È un brano molto interiore, che riesce a farmi rievocare realmente quel che si prova quando stai a 4000 metri. Hai la sensazione della rarefazione dell’aria, di pulizia assoluta, di rispetto dei luoghi e di timore reverenziale nei confronti della montagna. C’è questa sorta di Do ut des tra me e la montagna grazie anche al fatto che a 4000 metri mi sento più vicino a Dio o comunque protetto, ma allo stesso tempo mi ricordo del luogo in cui mi trovo e per questo sto attento a fare il passo giusto sempre. Dentro “Alta quota” c’è tutto questo.

Cosa intendi quando parli di timore reverenziale nei confronti della montagna?

La montagna è un po’ come il mare. I pescatori dicono che il mare non ha le ossa, ma che rompe le ossa. Io direi che la montagna non solo ha le ossa, ma che oltre ad averle te le rompe anche se sbagli qualcosa. La montagna ha dei pericoli che non vanno mai sottovalutati.

Ti possiamo definire un siciliano di montagna?

Io credo che tutto questo possa servire anche per lanciare un messaggio. Credo che il razzismo nei confronti dei meridionali non esista in realtà. Se tu sei siciliano e arrivi in una terra a te sconosciuta, come può essere l’Alto Adige, il Sud Tirolo o altre, e rispetti l’ambiente, la gente, i tempi, i luoghi e ti confai un poco al territorio alla fine vieni apprezzato. Vieni abbracciato e ti viene dato spazio tant’è che ultimamente l’Alto Adige tv ha deciso di dedicarmi spazio con un’intervista.

Per me il razzismo non esiste. Io divento razzista quando nella mia città arriva uno da fuori che butta la carta per terra, che urla o che beve per strada e butta la bottiglia per strada. In questi casi diventerei razzista anche nei confronti di mio figlio. È un po’ un’invenzione questa cosa del razzismo, la verità è che nessuno vuole stare alle regole degli altri e vuole prendere i sopravvento.

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Un commento

  1. Pienamente in accordo.La bandana meglio indossarla fuori al sole che in ambiente chiuso , caldo , senza vento e non irradiato da raggi UV ( solo un consiglio…)

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