Storia dell'alpinismo

Hermann Buhl, un alpinista destinato a lasciare il segno

Primo alpinista a scalare un ottomila in solitaria e senza ossigeno. Stiamo parlando di Hermann Buhl, leggendario pioniere della scalata austriaco. Conosciuto soprattutto per la sua forza di volontà e la sua resistenza, Buhl ha realizzato imprese di rilevanza eccezionale, nonostante la sua breve carriera alpinistica, a causa della morte prematura avvenuta nel 1957, all’età di soli 33 anni.
  
Prima salita senza ossigeno del Nanga Parbat nel ’53 e del Broad Peak nel ’57, entrambe in stile alpino. È sul Nanga che realizza il suo capolavoro che, come tutte le opere migliori, è avvenuto quasi per caso, per la testardaggine e per la follia di un solo uomo. Niente ossigeno, niente compagni di cordata, solo l’alpinista e la montagna, la forma più pura di scalata.
  
41 ore, quasi due giorni interni per andare da campo 5 alla vetta e ritorno. L’austriaco è sopravvissuto a stento all’impresa, trascorrendo durante la discesa un’intera notte in piedi su una sporgenza minuscola, a quota 8.000 metri e senza protezioni. Le sue azioni sul Nanga Parbat gli vennero aspramente rimproverate, ma contribuirono a cambiare per sempre la visione di cosa è possibile e cosa no su una montagna.
  
Solo qualche anno dopo arrivò anche il Broad Peak senza ossigeno, insieme all’amico Kurt Diemberger. La salita venne realizzata senza appoggi esterni, consolidando le origini di quello che oggi è lo stile alpino.
  
Pochi giorni dopo quest’ultima conquista, la sua tragica scomparsa, a causa del crollo di una cornice nevosa durante una scalata. Buhl è morto facendo quello che amava e, anche se il suo corpo non è mai stato ritrovato, la sua fin troppo rapida parabola nel mondo dell’alpinismo ha lasciato un segno indelebile.
Buon compleanno, Hermann Buhl.
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4 Commenti

  1. Sul personaggio di Buhl, che ritengo comunque un gradissimo nella storia dell’alpinismo, nutro delle riserve sul valore che ad esso si attribuisce; non discuto sulla grandiosità delle sue imprese, ma sull’intenzionalità delle stesse. Tutte le grandi realizzazioni che ha fatto sono nate più dalla necessità o dal caso che per mera volontà. Penso alla nord est del Badile salita in un weekend con viaggio in bicicletta perchè doveva rientrare al lavoro, alla solitaria del Nanga Parbat nata per caso perchè il suo compagno è tornato indietro ed il capo spedizioni lo voleva al campo base, penso alla tanto decantata spedizione in stile alpino del Broad Peak il cui stile leggero è stato anche imposto dal fatto che non avevano a disposizione troppi fondi da potersi permettere grandi spese come i portatori. Per meglio spiegarmi, non ho mai ravvisato un pensiero chiaro e netto relativamente alle sue scalate come poteva essere quello di un Messner che dichiarava di voler salire un 8000 in stile alpino o l’Everest senza ossigeno, ma piuttosto la consapevolezza della propria forza e il tentativo di portare a casa il massimo del risultato senza previa premeditazione. Questo secondo me è quello che lo fa stare un gradino sotto i grandi come Bonatti e Messner, il fatto che lui non abbia mai intenzionalmente voluto portare avanti il limite dell’alpinismo, ma si sia limitato a scalare al meglio delle sue possibilità realizzando in maniera non prmeditata exploits che l’hanno reso immortale.

  2. Altro che se li ho letti, più volte sia nell’edizione originale degli anni 50 che in quella ritradotta da Corbaccio (che tra l’altro ho acquistato entrambe) ed è proprio per questo che ho maturato le considerazioni sopra esposte le quali, ovviamente, non hanno pretesa di essere considerate una verità assoluta.
    Solo considerazioni personali

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